Nei giorni scorsi, promosso dall’inossidabile Galbiati, si è tenuta una riunione per un libero scambio di opinioni sullo stato di INSIEME, per esaminarne punti di forza e punti di debolezza. Ho apprezzato la scelta di seguire l’approccio che si adotta nella ricerca libera, scevra da pregiudizi. La mia lunga esperienza nel Consiglio Nazionale delle Ricerche mi ha spesso confermato l’importanza insostituibile della ricerca di base, madre di tutte le ricerche, da quella finalizzata a quella applicata. INSIEME è ancora nel primo stadio di ricerca, perché deve affrontare e chiarire molti punti, propedeutici al passaggio alla fase più concretamente operativa. Compito non certo agevole, ma che può contare sull’eccellente livello culturale di molti aderenti.

La base portante di INSIEME cioè i presupposti ideologico-politici da cui trae ispirazione, costituiscono una solida e confortante polizza assicurativa contro il rischio di derive dei valori non negoziabili. Chi aderisce a INSIEME lo fa perché ne condivide i principi e la proposta progettuale. Queste premesse però, devono trovare lo strumento adatto a trasformare le idee in azioni politiche. Di questo si è parlato e gli spunti emersi dalla discussione costituiscono un utile contributo per passare dalle parole ai fatti.

Ogni territorio ha le sue prerogative e la Lombardia ha una storia politica ricca e complessa, spesso palestra di sperimentazioni che si sono poi imposte nel Paese. Ancora oggi le attività sociali e i fermenti culturali non sono certo secondi alle dinamiche economiche. La Lombardia rimane perciò una fucina di formule politiche originali, sensibile ai cambiamenti in atto, e spesso anticipatrice.

Che cosa fare allora per fare crescere la pianta di INSIEME? Come diventare un interlocutore attendibile delle istanze locali? Come intercettare i bisogni della gente e farsi portavoce delle necessità dei più deboli e delle loro giuste rivendicazioni? Che cosa sostanzialmente ci manca e come far giungere la nostra voce a chi non ci conosce? Questioni non irrilevanti; prioritarie nella società della comunicazione. Quali sono i messaggi da far passare? Servono slogan?

Non si tratta di banalizzare o svilire gli ideali nobili della nostra matrice culturale, ma serve applicarsi alla diplomazia della parola, usando termini che lasciano il segno perché scuotono le coscienze. Si avverte la necessità di elaborare una strategia politica capace di incidere per la capacità di analisi degli eventi e di avanzare proposte adeguate. Vero che la nostra potenza di fuoco in termini comunicativi è debole – e sarà opportuno mappare il territorio in ragione delle nostre rappresentanze politiche e dei terminali cui fare temporaneamente riferimento – per cui bisognerà supplire con la forza del messaggio.

Vanno sicuramente favoriti e implementati gli incontri pubblici, mettendo in campo le nostre migliori risorse per informare, educare e formare nuove coscienze, nuove idee, nuovi orientamenti, interagendo coi settori più immediatamente vicini al nostro sentire e sensibili alle nostre proposte, come gli Enti del Terzo Settore. Vanno però tenuti distinti Magistero Ecclesiale e Magistero Politico, occupando gli spazi che può offrire la Pastorale Sociale ma senza pretendere una delega alla rappresentanza. E’ bene che i due ambiti rimangano separati, per evitare indebite patenti di confessionalismo.

Bisogna invece dire, forte e chiaro, da che parte stiamo, come avviene coi temi sensibili della vita ma anche con la tutela delle prerogative della dignità umana, a partire dalla libertà individuale e dal lavoro. Lodevole quindi il lavoro delle petizioni.

La guerra in corso è sicuramente un tema scomodo ma moralmente inderogabile, su cui misurare la nostra coerenza e credibilità. Quando i conflitti non riguardano più solo gli altri, ma ci chiamano in causa sempre più direttamente è difficile mantenere dritta la barra dei doveri, sotto la pressione di interessi e convenienze. Servono misure adeguate non sempre esenti da rischi ma, quando la posta è alta non si può giocare al ribasso. Certo le ragioni non stanno mai da una sola parte ma le responsabilità degli aggressori sono macroscopiche. Si può discutere sull’opportunità di negare l’uso della lingua russa sul territorio ucraino e alcune rigidità non hanno certo giovato, ma i fatti sono oggettivamente evidenti e la pretesa di mettere ordine in uno stato sovrano, come fosse sotto sorveglianza è inammissibile, così come insostenibile è la motivazione di “denazificare”. Quand’anche fossero presenti forze eversive, spetta al governo locale intervenire e così anche per l’adesione alla NATO e i paventati rischi per l’istallazione di missili.

C’è quindi chi può permettersi di attaccare, con un potenziale bellico incomparabilmente superiore a quello dell’avversario, che deve subire in silenzio, senza

chiedere aiuto. I morti sono considerati teatranti e spostati da un fossa all’altra per strumentalizzare la violenza e piatire l’opinione pubblica. Ma quand’anche si ricorresse a questi mezzi di “suggestione di massa”, non certo originali (da noi basterebbe ricordare, per altri versi, i cannoni di Mussolini oppure le mucche di Fanfani, ma più in grande l’esercito di terracotta in Cina o la foresta mobile nel Macbeth), ma pur tuttavia espedienti legittimi per quanto discutibili. Chi non farebbe altrettanto, non avendo altri mezzi per difendersi. I morti sono stati spostati? Forse, ma sicuramente sono stati uccisi e non dal fuoco amico.

Servono decisioni dal forte significato simbolico. Personalmente avevo proposto, all’indomani dell’inizio delle ostilità, il trasferimento della UE in seduta permanente a Kiev come atto dimostrativo e una delegazione dell’ONU per sorvegliare sui crimini di guerra. La visita della Presidente della Commissione Europea, seguita a breve da quella del Premier inglese Johnson, vanno a mio avviso, nella giusta direzione.

INSIEME non risolverà i contrasti, ma mandare dei messaggi chiari su che posizione tenere, ritengo sia per lo meno utile se non necessario.

Nell’incontro si è parlato di Politica della Speranza e mai come in questo frangente drammatico per le sorti dell’umanità, c’è bisogno di avere fiducia, di non perdersi d’animo e di non dividersi. Ci vuole però coraggio, non molto ma abbastanza per qualche piccola rinuncia personale, pur di perseguire un obiettivo alto, quello della pace.

INSIEME deve battersi per perseguire questo obiettivo, senza reticenze o tentennamenti e farlo con coraggio perché la Politica della Speranza possa diventare realtà.

Adalberto Notarpietro

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