I sondaggi devono essere presi per quello che sono. E questo vale sempre. Non solo quando ci dicono solamente quello che ci fa piacere sentire. Devono essere considerati un’espressione significativa e da non trascurare, anche se emotiva, istintiva e spesso primordiale, di sentimenti più generali e profondi, ancorché fortemente semplificati.
E’ inevitabile che le indagini demoscopiche, anche quelle che circolano adesso sulla guerra in Ucraina e sulla corsa agli armamenti che essa ha innescato, esprimano soprattutto le opinioni e le sensazioni del quidam de populo. E che quindi non tengano gran conto delle valutazioni proprie agli “addetti ai lavori”, cioè dei responsabili politici, degli studiosi di storia o di geopolitica, né degli esperti militari e dello spionaggio, in possesso di ben più fondate informazioni non solo sui fatti, su quel che effettivamente avviene, ma anche, e spesso soprattutto, sulle loro implicazioni con altre aree di analisi, impossibili da trascurare. In particolare, il quadro d’insieme delle relazioni internazionali, dell’effettivo movimento delle diverse nazioni sullo scacchiere mondiale, delle connessioni dei fatti oggetto di analisi con i processi finanziari ed economici.
Emerge così, e più che mai nell’attuale pericolosa situazione di guerra, una cesura, tra – da un lato – il sentimento raccolto dai sondaggi, che è un più semplice ed immediato, ma diffuso tra la gente, e – dall’altro lato – le “linee informative”, per così dire, che vengono seguite dalla comunicazione di massa e da gran parte della politica. Cesura che rende assai breve il passo che porta alcuni a sostenere che la pubblica opinione non capisce la dimensione dei fenomeni. Ma non si ricorderà mai abbastanza, a chi si abbandona a queste valutazioni e a tali lapidari giudizi, che il rispetto delle opinioni di tutti e di ciascuno, che ai “tecnocrati” appare come un fastidioso prezzo da pagare alla democrazia, ne è invece la regola fondamentale, indipendentemente dal fatto che chi le esprime appartenga al volgo o all’inclita.
Nel caso specifico dell’Ucraina i sondaggi di queste ore ci dicono che gli italiani hanno le idee abbastanza chiare e che essi, mentre si dicono in difesa del popolo ucraino, non sono d’accordo con l’incremento delle spese militari.
Le immagini di questa guerra in corso, cui non si getta più un occhio distratto, come sempre accaduto per quelle sino a ieri combattute in terre lontane, hanno creato, indubbiamente, un moto di solidarietà per l’Ucraina, vista come la vittima di un’aggressione. Ma al tempo stesso costituiscono il motivo più fondato, certamente per sostenere gli ucraini e condannare Putin, ma anche per scatenare un rifiuto generale istintivo della guerra e, dunque, dell’aumento delle spese militari. Anche perché, secondo molti, e non dei più sciocchi, le dinamiche del si vis pacem para bellum sono sempre – anche nel caso presente – un’arma a doppio taglio.
Più o meno inevitabilmente, la preparazione alla guerra (specie, ma non solo la preparazione da parte degli altri) anche se finalizzata a garantire la pace, è vista dagli uni come una minacciosa anticamera della guerra. E finisce così per giustificarla agli occhi dei più, e in definitiva provocarla, invece di evitarla.