Il 14 marzo del 2021 Enrico Letta è stato eletto Segretario del Pd. Il pronunciamento fu plebiscitario con 860 voti favorevoli, 2 contrari e 4 astenuti. Ovviamente, egli sapeva della genuinità dei sentimenti di moltissimi dei suoi ritrovati sostenitori che lo avevano abbandonato sulla scia di quello “stai sereno” con cui Matteo Renzi aveva preparato la sua uscita da Palazzo Chigi. Ma cosa farci? Il Pd continuava ad essere avvitato nella sua crisi esistenziale cui non era riuscito a trovare una soluzione neppure Nicola Zingaretti che, in effetti, ha lasciato Via del Nazareno un po’ come fa l’acqua sui sassi.

Il ritorno di Enrico Letta non è stato dunque un “passaggio del Rubicone”. Di fronte non aveva un Pd forte e potente. Del resto è malaticcio ancora oggi. Letta non ha dovuto gettare alcun dado. Era certo che nessuno l’avrebbe raccolto per vedere il lato uscito, tanto le criticità in cui si dibattono i democratici.

Molti gli anni passati da Letta a Parigi da moderno Cincinnato. Era giunto persino a lasciare il seggio di deputato quale estremo segno di distacco da un sistema politico, e da un partito, il suo Pd, in piena crisi di idee, prospettive e sentimenti. Sono stati gli anni della Presidenza Macron. Dell’uomo che ha di fatto spezzato la lunga tradizione storica del secco antagonismo tra destra e sinistra francese. Anche se, a ben guardare, sia la prima, sia la seconda, anche in Francia, sono sempre state costituite da aggregazioni composite, come del resto è ovvio che sia in una società ricca ed articolata, forte e vitale, qual è quella del paese transalpino.

Eppure, Enrico Letta è venuto a fare il “primo a Roma” ribadendo la sua visione bipolare. In essa, a ben considerare, è quella in cui è cresciuto ed ha vissuto esperienze importanti sulla scia degli insegnamenti di Romano Prodi e di Arturo Parisi, vere e proprie vestali del bipolarismo. Letta, così, ha subito accantonato l’ipotesi che anche il Pd sembrava coltivare per l’introduzione di un nuovo sistema elettorale. Appena rientrato da Parigi, si è capito che non intendeva farsi alfiere di una legge d’impronta proporzionale, nonostante un po’ da tutti fosse già stata considerata l’unica occasione da spendere per rigenerare il quadro politico parlamentare ed assicurare l’avvio di una prospettiva di trasformazione dell’intero Paese. Trasformazione  che non può non venire che dalla restituzione ai gruppi sociali della possibilità di portare in Parlamento forze fresche e davvero rappresentative.

Letta ha poi assunto delle prese di posizioni, e c’è da chiedersi perché lo abbia fatto nonostante fosse evidente la mancanza di una solida maggioranza parlamentare al riguardo, su questioni altamente sensibili quali quelle sul “suicidio assistito” e il Ddl Zan, servite solamente a confermare la deriva seguita dal Pd per un lungo periodo di anni che lo ha portato ad essere definito “partito radicale di massa”.

Il Segretario del Pd può dire che sotto la sua gestione il Pd è riuscito a risalire la brutta china presa dai sondaggi. Questa chiusura d’anno, infatti, è marcata dalla definizione, sempre da parte dei sondaggisti, di Pd “primo partito”. Ma parliamo di ben poca cosa. Da non far certo poter contare su una vittoria nitida e netta ad eventuali prossime elezioni cui si dovesse andare con il sistema maggioritario. Anzi, in questo momento potrebbe essere dato per certo che in caso di ritorno alle urne si riconsegnerebbe il Paese alle destre.

Tornato in Parlamento, in quel collegio di Siena diventato tanto problematico per le questioni del Monte dei Paschi, ma rinunciando all’uso ufficiale del simbolo del Pd, Enrico Letta è più che mai impegnato in vista delle elezioni del nuovo Presidente della Repubblica. Purtroppo per lui, ma anche per noi, Sergio Mattarella ha preferito rinunciare al bis. Dal Pd non è venuta quella convinta adesione all’idea di un suo secondo mandato pieno. Probabilmente, Mattarella avrebbe comunque declinato la candidatura, tante sono forti le sue motivazioni d’opportunità e di metodo, ma certo è che se veramente qualcuno avesse voluto provarci a convincerlo lo avrebbe dovuto fare mostrando più  motivazione.

La partita non è facile. Anche perché l’altro candidato spendibile, il più spendibile oggi al Quirinale, cioè Mario Draghi è stato in qualche modo, anche da parte di Letta e del Pd, “incollato” alla poltrona di Palazzo Chigi. Cosa su cui la destra si sta accanendo sulla base del convincimento che, così facendo, il Presidente della Repubblica sarà finalmente sua espressione. Tutto da vedere, ma in questa situazione possibile.

E’ prevedibile che con la scelta per il Quirinale tutto si rimetta in discussione. Forse persino la continuità dell’attuale Governo. Ammesso che la cosa non sia proprio fatta precipitare dalla salita al Colle di Mario Draghi. Può darsi che a quel punto vedremo le reali intenzioni di Enrico Letta che, fino ad oggi, ha dato solo l’impressione di voler assumere la figura più dell’equilibrista sulla vecchia fune del Luna park di famiglia piuttosto che provare a rinnovare completamente il Circo.

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