Il bipolarismo senza idee di cui ha parlato Giancarlo Infante (CLICCA QUI), quello per cui ad esempio è un punto essenziale individuare il candidato premier (ma non era  una prerogativa del Capo dello stato la sua designazione?) a prescindere naturalmente dalle idee e posizioni politiche che si sostengono, sembra la prospettiva verso cui si indirizza questa campagna elettorale estiva, col supporto della complicità mediatica, che “mette in scena” questa competizione che ha sempre più l’aria di un “derby nazionale” o di una “sfida ” tra opposte tifoserie di followers.

C’è da stupirsene? Non credo. Piuttosto c’è da capire meglio. Credo che siamo di fronte a tendenze che nascono dalle aporie della cultura democra­tica e dai processi di de-civilizzazione che avanzano in Italia e in Europa, e non  certo di fronte ad effetti automatici, inevitabili,  della modernizzazione tecnologica, e  della nuova agorà mediatica, come magari si potrebbe pensare ( la politica personalizzata, il peso dei media ecc.) .  Quello che ancora sfugge è piuttosto il fatto che questa degenerazione è in qualche modo legata al mito della “governance” tecnocratica, che erode gradualmente gli spazi della democrazia rappresentativa, non in opposizione, ma in perfetta- anche se ufficialmente deprecata- sincronia e sintonia coi “populi­smi” che possono assumere la “parte” degli unici e veri oppositori, quali in realtà non riescono ad essere.

Sia chiaro, l’ Italia ha certo bisogno disperato, oggi più che mai,  di veri competenti al governo ed al Parlamento ed anche  la competenza nei settori extra- politici è fondamentale. Né si possono contrapporre ai “tecnici” i “politici”. Ed è ovviamente incomprensibile l’essersi sbarazzati di un governo che certamente aveva le competenze opportune. Nella bistrattata prima repubblica i partiti “veri” allora esistenti erano pieni di tecnici veri e di competenti in aree anche esterne alla politica.  In una repubblica invece in cui si diviene parlamentare e ministro già prima della laurea e ci si insedia subito sulle poltrone più alte, difficile, se si lavora sul serio nelle istituzioni,  che residui il tempo per costruire competenze e preparazioni adeguate.

Ma vi è un pericolo non considerato nel prevalere senza contrappesi  di un po­tere tecnico e “regolatore” – quale appunto si configura oggi soprattutto  il governo, anzi, la “governance” europea  – che opera con moduli più affini a quelli di una pubblica amministrazione che a quelli della politica. E’ il pericolo che si manifesta quando esso mira a realizzare un «ordine sociale ed economico naturale» che guidi la società con la “mano invisibile”, magari della “concorrenza”, e renda “superata” la prospettiva “illuministica” della costruzione politica di quell’ ordine, nonché la prospettiva dei “vincoli interni” necessari del  costituzionalismo e dei principi costituzionali. Principi di cui oggi si può fare tranquillamente strame, come ancora indica Giancarlo  Infante, nel suo testo sul “Bipolarismo senza idee” proprio in relazione alla normativa che  per queste elezioni preclude la possibilità di raccogliere firme in modo digitale, usando lo Spid, in controtendenza rispetto peraltro a una sentenza della Cassazione ed a quanto accaduto per i referendum radicali e, naturalmente, preclude così anche la possibilità di avere “nuove rappresentanze” in Parlamento.

E’ utile allora, per meglio comprendere i rischi, fare tesoro della storia. Il prevalere di questo potere tecnico- amministrativo pare configurare una situa­zione anomala, nuova, moderna, senza precedenti. Ma non è così. Nella nostra ricca, tormentata e complessa storia italiana abbiamo un precedente almeno, in cui l’amministrazione fagocita la politica ! Si tratta della tipologia  di un governo “tecnico” e, per la precisione, di un governo dei “creditori”, cioè dei finanziatori di una repubblica.

Non si tratta della  Firenze del XIV e XV secolo, cui si potrebbe magari pensare di primo acchito. Il potere dei banchieri a Firenze si alterna con quello della politica, ogni tanto subisce dei rovesci (Bardi e Peruzzi), non è questo un “governo dei tecnici”. Ci fu invece un altro caso che non sfuggì all’attenzione di Niccolò Machiavelli, che, in una pagina delle Istorie Fiorentine, ci ha descritto una vicenda in cui esiste una “finanza intelligente” che risolvere i problemi, subordinan­do la politica all’economia. È ciò che succede nella Repubblica di Genova governata dal Banco di San Giorgio all’inizio del XVI secolo.

“Le patologie della Repubblica di Genova, che, insieme a Venezia e Firenze, vede la nascita del sistema moderno del debito pubbli­co, sono straordinariamente vicine ad alcune patologie ben note a noi oggi in Italia. A Genova c’è persino una corruzione che prospera a fianco di un efficiente governo tecnico. Nel regime re­pubblicano affermatosi nel 1339 con il doge Simon Boccanegra, si è stabilizzato un sistema in cui le due fazioni popolari, gli Ador­no e i Fregoso, che si alternano al “potere”, non dispongono di alcun appoggio materiale o finanziario preciso, ma riescono a turno a “vincere” grazie al supporto delle grandi casate nobiliari che hanno il vero potere finanziario ed economico, i Fieschi, gli Spinola, i Doria, i Grimaldi, che si fanno pagare la loro alleanza con moneta sonante, o anche con privilegi e uffici. Queste fami­glie restano il vero perno del potere, anche se non si espongono mai in prima persona. I continui mutamenti di fazione al potere e la violenza delle lotte non toccano così il sistema di potere, che vive una continuità e una stabilità straordinaria. Una meravi­gliosa “governabilità”! Piccolo, ma non insignificante dettaglio: l’astensionismo civile è il presupposto essenziale di questa poli­tica “senza cittadinanza attiva”. Nessuno però ha l’ipocrisia di lamentarsi della «disaffezione dei cittadini alla politica». Ed i cittadini divengono allora «quella sorta di maggioranza si­lenziosa che […] assisteva alle lotte per il dogato, senza pren­dervi parte, solo badando a conservare i propri beni. […]  La vita politica della repubblica rimane monopolio di lotte tra le due famiglie rivali che si alternano al potere, e “vincono” alternativamente, senza che nulla muti nell’amministrazione pubblica. L’apatia e l’estra­neità alla politica sono, in questo caso, indicatori di buona salute del sistema e di indipendenza vera della società civile” ( Umberto Baldocchi, Riscoprire l’ Europa- Le radici umanistiche smarrite e il Coronavirus, Firenze, 2021)

Del resto, come è stato sostenuto, anche oggi, al di là della retorica di cir­costanza, in Italia non si aspira che ad ottenere che questo risultato, non si aspira ad altro che a creare una vera nuova Repubblica con affinità straordinarie col modello “genovese” come descritto da Machiavelli: “La partecipazione è vista ormai come un intralcio rispetto ai nuovi compiti dello Stato, che consistono nell’adeguamento alle leggi del mercato. Per questo allo Stato sociale si rinuncia senza rimpianti: esso è diventato inutile, nel momento in cui la partecipazione non è più richiesta né gradita.[…] il Parlamento viene privato del compito della mediazione e del compromesso, che non viene eliminato, ma ristretto ai gruppi di interesse ritenuti più rilevanti, ed esercitato tramite i procedi­menti opachi della cosiddetta “governance”; quest’ultima è guidata o vigilata dall’Esecutivo, cui si assicura una legittimazione autonoma tramite forme di investitura “diretta”. Al popolo viene accordata una for­ma di influenza che – pur presentata come più libera e immedia­ta – si rivela ristretta ed episodica: essa si esprime, da un lato, nella scelta di un Governo, o meglio di un leader, che tuttavia è chiamato a resistere alla pressione delle domande sociali” ( Michela Manetti, M. Manetti, Costituzione, partecipazione democratica, populismo, in Relazione al Convegno Aic, Democrazia oggi, Modena 10-11 novembre 2017, p. 8).

Del resto, come ci spiega in dettaglio Machiavelli, nel Governo di San Giorgio, libertà e tirannide, vita civile e corruzione, giustizia e “licenza” possono coesistere fianco a fianco. È un miracolo straordinario, una società senza un vero governo politico, ma ugualmente ben funzionante! L’ordine economico che ingloba e neutralizza, per così dire, il disordine politico!

Ecco il sogno della “società senza politica” che senza dubbio è l’aspirazione di molti e soprattutto di chi alimenta oggi il bipolarismo senza idee. Un  sogno che è l’effetto del sonno della ragione, anche in questo caso un sonno che genera  mostri. Mostri che non sono solo evidenti nella successiva decadenza e poi fine della Repubblica di Genova, ma che nell’ Italia del 2022 si concretizzano nel fatto che questo “ordine” presunto che ci consentiva di dormire sonni tranquilli, ci ha invece  “regalato” la pandemia, il ritorno della guerra in Europa, ed ora ci “promette” anche la recessione.  Il passo ulteriore sarebbe  distruggere anche il pensiero, il confronto e la riflessione umana. Per questo dobbiamo restituire alla politica il suo volto umano e razionale. Credo che questo sia un compito molto più urgente rispetto a quello di “vincere” in questa competizione elettorale, arrivata all’improvviso, senza il tempo di porre mano ai noti difetti ( anche di costituzionalità forse, ma che importa?) della legge elettorale, sull’onda delle emergenze che da noi in Italia sono considerate tutte permanenti, tranne l’  “emergenza civile” di cui nessuno si cura. Non importa quanti faranno questo sforzo, importa che qualcuno però  inizi a farlo.

Umberto Baldocchi  

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