Da mesi ormai si discute, nel nostro Paese, sulle risorse da destinare ai “rimborsi”, ai vari bonus, all’innovazione, alla formazione e così via; si è dibattuto sulle variazioni del bilancio dello Stato e del debito pubblico; sull’utilizzo dei fondi europei.

Il “Recovery plan “ è al centro dell’attenzione del Governo e del Parlamento. In questo quadro di polemiche, spesso confuse e contradditorie, colpiscono alcuni aspetti di base del nostro vivere sociale. Sembra, ad esempio, che il rigore amministrativo sia inteso come un limite allo sviluppo economico, mentre è vero il contrario; cioè, che il rigore amministrativo sia un potenziale di crescita economica ed è pienamente coerente con la logica capitalistica di produrre ricchezza. Inoltre, tra i vari equivoci, c’è l’errata convinzione che lo spendere con rigore significhi una vita “grama”. I fatti dicono il contrario: a Copenaghen come ad Oslo è diffuso il buon vivere insieme ai conti economici in regola. Non sprecare le risorse, anzi impiegarle in maniera intelligente consente investimenti produttivi e politiche di emancipazione sociale. Il contrario (cioè, la spesa pubblica facile) porta ad una limitazione della sovranità del nostro
Paese, che si è progressivamente indebitato col sistema finanziario internazionale ed è debole la sua capacità di restituire il debito e contemporaneamente investire.

La recente storia italiana è un esempio delle difficoltà incontrate nei programmi di impiego efficiente e efficace del reddito, per colpa di un apparato amministrativo non all’altezza del suo ruolo nel produrre risultati di crescita economica. L’Italia, invece, riesce molto meglio nel compito ingrato e autolesionista di un cattivo utilizzo delle proprie ricchezze. Si pensi allo spreco avvenuto dell’enorme ammontare dei mezzi finanziari trasferiti agli operatori privati a seguito della nazionalizzazione dell’energia elettrica. Si aggiunga la riduzione della base produttiva, che era stata realizzata con grande impegno dalle generazioni artefici del miracolo economico. L’economia industriale italiana, infatti, disponeva di grandi imprese competitive a livello mondiale. Finito il boom economico, il capitale privato ha disinvestito o ha fallito: Olivetti, Ferruzzi, Montedison, tra le varie imprese, sono capitoli significativi degli insuccessi della politica industriale italiana. In più, Fiat se ne è andata negli Usa.

Va caldeggiato, quindi, un radicale cambiamento nei vizi italici, adottando, tra l’altro, il rigore amministrativo che non è esattamente un “must” della politica elettorale praticata dai partiti. Questi promuovono, piuttosto, populistiche erogazioni di denaro che non producono redditi futuri ( vedi gli improduttivi 80 euro di Renzi, il reddito di cittadinanza, quota 100 etc.). Criticamente, si può dire che il bene comune viene sostituito dal “bonus comune”:
bonus vacanze, bonus bicicletta, bonus monopattino etc.

In questa fase di profonda crisi, i soggetti economici privati non investono in formazione professionale, in istruzione, in cultura territoriale, aree dove le risorse, se sono ben usate, consentono solidarietà sociale contribuendo alla difesa del lavoro. E’ naturale, a questo punto del ragionamento, domandarsi quale è la qualità dei consumi del comune cittadino. Spesso viene data priorità all’apparenza e all’ostentazione, (nota debolezza mediterranea); quindi, si spende soprattutto in consumi immediati, e talora superflui.

In altri termini, un’idea debole sulle prospettive economiche e sociali giustifica una propensione al consumo priva di effetti di crescita sull’economia reale. Trova incentivo, invece, la speculazione finanziaria e la rendita; viene rifiutato il rischio imprenditoriale. Rischio che, invece, è stato fondamentale per gli italiani del miracolo economico.

Possiamo affermare che il successo delle generazioni passate, invece di stimolare la ricerca di una crescente produttività, ha incentivato il vizio italico di fare i soldi sfruttando la propria “furbizia“. Il rifiuto dell’efficacia a medio termine dell’investimento tecnologico e della lotta allo spreco nelle spese correnti trova una contropartita nel crescente indebitamento pubblico, che è al servizio dello spreco clientelare dei partiti, di cui si è già detto.

Così, il risparmio delle famiglie è tra i più alti in Europa, mentre la competitività del sistema produttivo è tra le più basse. Di fatto, l’egoismo individualistico porta con sé la preferenza per la speculazione realizzata con la rendita finanziaria, mettendo nell’angolo la crescita della innovazione “rischiosa“ che però crea occupazione. Poco spazio trova l’economia reale, perché la parte del leone è fatta dalla cultura della rendita, tassata meno del lavoro produttivo. Questa diversità di trattamento fiscale la dice lunga.

Infatti, lo Stato ha perso la virtù di fare investimenti in nuovi processi di accumulazione che creano ricchezza, per preferire una gestione corrente priva di un disegno prospettico. L’ultimo risale agli anni della programmazione economica. Dall’azione del Governo ci si aspetta una risposta alla domanda di un futuro prospero. Ad esso si richiede di ricoprire un ruolo attivo nella gestione dei nuovi processi di accumulazione; in particolare, di favorire la transizione verso una società più verde. Nello specifico, si tratta di promuovere un’innovazione tecnologica a bassa
emissione di carboidrati di carbonio mediante appalti intelligenti.

Si auspica la capacità di realizzare piani a medio-lungo termine in materia di R&S nelle Università e nei Centri di ricerca. E’ sicuramente importante l’investimento in reti a 5G per tutto il territorio italiano, indispensabili per la crescita della affidabilità delle comunicazioni digitali. In campo sociale, è molto sentita l’esigenza di una politica di riduzione delle disuguaglianze economiche, sempre più accentuate, grazie a una spesa pubblica che spenda prioritariamente nella sanità ( ricerca e macchinari, formazione del personale), nella scuola (borse di studio, stage), nella digitalizzazione dei servizi sociali, in joint venture col privato nella produzione e nell’erogazione dei servizi assistenziali, nella sostenibilità dell’ambiente.

E’ fondamentale un’azione governativa di riequilibrio della ricchezza, punto imprescindibile del patto sociale, che è alla base delle democrazie occidentali. A questo fine, il sistema delle relazioni industriali dimostra evidenti segni di vetustà. Anche qui urge un’iniziativa del Governo. Infine, non c’è idea di futuro valida senza cultura: la cultura è lavoro, è pensiero critico, è libertà, è democrazia. Dunque, Per riprendere la via dello sviluppo, occorre una forte e
coraggiosa idea di futuro.

Una proposta molto incisiva la troviamo in “Fratelli Tutti “, lettera enciclica di Papa Francesco. Prima di tutto, bisogna prendere atto che l’attuale classe dirigente non è stata finora in grado di promuovere un progetto efficace
per la realizzazione del bene comune, e, in primo luogo, neutralizzare i limiti del sistema, di cui si è detto, a cominciare dalle rendite parassitarie, nonché dalla finanziarizzazione speculativa della società. Inoltre, vanno banditi decisamente sovranismo e xenofobia, punti critici che rendono fragile la nostra società; va invece recuperato il senso sociale dell’esistenza umana, attualmente sufficientemente ai margini della nostra vita.

Vivaci e decise sono le argomentazioni contenute nell’ Enciclica di Papa Francesco, per favorire il senso della fratellanza tra gli uomini, nella accresciuta consapevolezza di un comune destino. La migliore idea del futuro, quindi, ha alla sua base la laboriosità, la sobrietà, il rigore, la solidarietà, la democrazia. Sembra un elenco ovvio e banale, il fatto che non lo sia dà la misura della gravità della attuale congiuntura. Papa Francesco, nell’Enciclica, parla di “amicizia sociale”, valore che fa apprezzare i diversi carismi presenti nel sociale, rifiutando un futuro “monocratico”, imposto dal consumismo e da un “individualismo disumanizzante“, che, grazie all’ideologia di un libero
mercato esasperato, può trasmettere, di generazione in generazione, un egoismo sempre più radicato e violento.

L’ Enciclica ricorda che S. Paolo VI e S. Giovanni Paolo II hanno ribadito come i diritti personali, sociali, economici, politici dei cittadini vengono prima dell’egoismo del libero mercato. Al giorno d’oggi, le parole democrazia, libertà, giustizia hanno perso la pienezza del loro significato. Per riacquistarlo è necessario che la “migliore“ politica sia al centro del sistema e alla guida della economia. Non è accettabile che i soli interessi economici accentrino in sé il potere reale dello Stato, ostacolando il cammino verso la giustizia sociale.

Il mercato da solo porta lontano dagli obiettivi precedentemente indicati. Come abbiamo ribadito, occorre una politica attiva da parte del Governo per coinvolgere tutte le componenti della società italiana, e realizzare un secondo miracolo economico, grazie soprattutto a un’ edizione aggiornata dell’attuale “Recovery plan” in discussione in Parlamento. In esso potrebbe trovare una sistematica armonizzazione la globalizzazione, la digitalizzazione
del mondo del lavoro, la finanziarizzazione della società, la tutela dell’ambiente, la sanità per i più deboli, con risultati che siano fruibili da tutti.

Roberto Pertile

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