La “riforma” del  MES, che le forze politiche del nostro Paese non hanno mai mostrato di apprezzare e tanto meno di voler utilizzare- salvo casi isolati-,  conviene all’ Italia  oppure può essere un rischio? E’ più sensato e più “utile” assecondare le scelte di tutti gli altri Stati dell’ Eurozona,  ratificando la riforma del trattato, oppure è meglio  difendere ostinatamente gli interessi nazionali o presunti tali?  Sono  interrogativi certo legittimi, ma che configurano in termini angusti, riduttivi e fuorvianti i problemi dell’ UE. Interrogativi che rimandano ad  una lettura superficiale e banale della storia, purtroppo prevalente.

Si tratta della lettura nazio-centrica , se non nazionalista, dei problemi europei- la medesima per cui oggi vediamo nella guerra difensiva dell’ Ucraina contro la Russia soltanto la  questione della indipendenza dell’ Ucraina e non anche o soprattutto la questione del sistema delle relazioni europee e internazionali sconvolto dal ritorno della guerra e di una guerra assoluta, priva di autolimitazioni, nel cuore dell’ Europa.  E’ purtroppo questa lettura che è propria anche di tanto “europeismo”,  dell’ “europeismo” incapace di “pensare europeo”, che insegna a vedere nell’ UE una occasione da utilizzare a nostro vantaggio o un vincolo esterno da rispettare nel nostro interesse, uno degli ostacoli che, a mio avviso, ci impedisce davvero di “fare l’ Europa”, cioè di completarne la costruzione. Nella situazione drammatica in cui ci troviamo dovremmo invece rovesciare questa prospettiva. Se quindi parliamo del MES,  dovremmo allora chiederci in cosa il MES, come altre istituzioni, il Fiscal compact e altro, possa oggi essere  utile o dannoso per rafforzare la coesione e perfezionare l’integrazione europea in una congiuntura decisamente drammatica.

Alla lettura nazio-centrica della vicenda europea è imputabile poi anche quella visione riduttiva della solidarietà europea che condiziona gli strumenti di intervento europei, a partire dalla “assistenza” finanziaria, come quella del MES.  Lo spazio angusto e ridotto della  visuale ( nazionale) sacrifica la prospettiva temporale necessaria a comprendere la realtà e eventualmente a modificarla. Dare invece la priorità allo spazio rispetto al tempo- invertendo l’ ordine umanizzante del reale- concentrare gli sforzi per risolvere tutto nel presente,  cristallizza la realtà e produce una emergenza infinita, che ci chiude in una disperata coazione a ripetere. Ci costringe a combattere l’emergenza con l’emergenza, il male col male, le armi con le armi, ad affrontare i problemi ex post invece che ex ante. Infatti solo “il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce” ( Papa Francesco, Evangelii gaudium, 222). La globalizzazione selvaggia  neo-liberista che ha creato uno spazio in cui la nostra presenza è ubiquitaria distrugge la distanza, ma così ci ha spinto ad azzerare il tempo, l’ordinatore umano della realtà, pretendendo che il futuro sia ridotto al presente e cioè cancellato, come nello slogan “Il futuro è adesso!”coniato qualche anno fa dall’entusiasmo di un politico astuto, ma anche decisamente maldestro.

E tutti noi oggi ci siamo talmente assuefatti, a partire dall’inizio degli anni Duemila, alla cancellazione del tempo ed alla “normalità delle emergenze” ( terrorismo globalizzato, crisi dei debiti pubblici, disastri climatici, Covid-19, deficit energetico, e, dulcis in fundo, l’emergenza delle emergenze, o meglio, la guerra ricomparsa in Europa in una forma devastante, inimmaginabile sino all’anno 2022  ) che ormai non sappiamo più concepire altra solidarietà politica se non  quella che dall’emergenza nasce o da essa è imposta. Ci pare quasi ovvio e naturale pensare che la “solidarietà” sia soltanto una risposta all’emergenza, all’ eccezione, alla “fragilità” come ripetiamo tutti dopo il Covid. Perché dovremmo ricorrere ad essa in fasi di “normalità”?  Dovremmo dire grazie, allora,  in un certo senso, al Covid-19, come si è già fatto ?  E domani magari dire grazie anche ad una guerra, se essa ci avrà spinto a perfezionare l’Unione?

L’ emergenza pare così esser divenuta la vera  “guida” cui si affida ciecamente l’Europa, o anche la versione aggiornata della “crisi necessaria” per far  progredire l’ Europa, come ripetono fino alla nausea i “talebani” dell’ “europeismo da parata”, che hanno magari letto, senza capirla, una nota pagina delle Memoirs di Jean Monnet.  E’ allora il caso di vedere meglio queste connessioni tra  solidarietà ed emergenza,  o tra solidarietà e “stato di eccezione”.

Certamente dall’emergenza Covid-19 possiamo datare l’inizio di una nuova solidarietà europea. Sembrava l’inizio di un nuovo e atteso Rinascimento Europeo, capace di aprire la strada a riforme di sistema e al  radicale intervento sui Trattati, qualcosa di  auspicato, non solo dal presidente francese Macron, ma anche da coloro che hanno pensato possibile ridisegnare il “futuro dell’ Europa” lanciando una Conferenza sul tema.  E davvero il Next Generation EU era, ed è ancora, indubbiamente, una vera novità: “il programma NGEU [rappresentava] una prospettiva nuova rispetto al MES. Non solo perché [sembrava] stabilire una gerarchia di valori che [poneva] al centro la solidarietà in Europa; ma anche perché [sembrava] prefigurare un’integrazione che funzionalizza gli strumenti economici a finalità di protezione e di sviluppo sociale”.( Gilberto Antonelli, Andrea Morrone,  La riforma del MES: una critica economica e giuridica in : Federalismi/it  16 dicembre 2020, Rivista di diritto pubblico, italiano, comparato, europeo, p. 21).   La solidarietà del NGEU infatti  non rispondeva infatti soltanto ai disastri causati dall’emergenza Covid, ma anche al bisogno di disegnare un progetto di futuro dell’ Europa, magari secondo le linee emerse nella, oggi dimenticata, Conferenza sul  “futuro dell’ Europa”.

Il MES ( Meccanismo Europeo di Stabilità), invece,  di cui oggi parliamo soprattutto per la questione della ratifica italiana, era nato con lo sguardo rivolto al passato, per rimediare ad un tracollo finanziario, ad una “emergenza” imprevista. Si trattava e si tratta di un’istituzione finanziaria di diritto privato ( definita in modo un po’ strano, ma significativo, “meccanismo”) nata attraverso un  trattato intergovernativo, al di fuori del quadro giuridico dell’ UE, divenuta operativa a partire dall’ottobre 2012, destinata a intervenire per concedere assistenza finanziaria ai paesi europei in difficoltà per il debito pubblico, come era allora la Grecia. Certo il MES  è qualcosa che pare oggi confinato nel passato, anche se non per questo ha senso derubricarlo e ridurlo a problema minore, come si è fatto. Decisamente ottimistico ( e “tranquillizzante”) affermare, come ha fatto Giulio Tremonti, che “la discussione sul MES è sul passato. …Il problema è procedere con gli strumenti di debito europei, quelli che proponevo quando mi davano del colbertiano” ( Intervista al ministro Giulio Tremonti, ne: La Stampa 14 gennaio 20209, p. 7  Alessandro Barbera “ Problema minore, la ratifica ci sarà  è una discussione  fuori dal tempo”).

Per capire come stanno le cose, meglio lasciare cronaca e interviste e rivolgersi alla “storia”, e sia pure ad una”storia” recente. La storia del  MES  ci esemplifica le contraddizioni e i dualismi con cui si confronta il processo di integrazione europea. E’ una “lente di lettura” che può essere  utile, configurando un esempio di quella “solidarietà”interstatale su cui  l’ UE, prima del NGEU, ha calibrato le sue iniziative, traducendo in atto, sia pure in un  ambito ristretto, un “principio” essenziale riconosciuto dal TFUE, o Trattato di Lisbona e dalla Carta di Nizza.

Il Principio di solidarietà interstatale e i Trattati europei

Come si definisce, nella attuale UE, l’ idea europea di “solidarietà”? Cosa la caratterizza? Il diritto euro unitario, e il diritto internazionale, nella società post-moderna, si alimentano a partire da una pluralità di dinamiche e di soggetti che lo rendono disomogeneo rispetto ai caratteri tradizionali della giuridicità.   Credo che  si possa affermare che il principio di “solidarietà” entro i Trattati europei  abbia una genesi prevalentemente sociologica.  Nella sociologia moderna si è elaborato un  concetto di solidarietà piuttosto diverso da quello elaborato dalle filosofie del diritto e dalle teorie costituzionaliste e presente invece nel testo costituzionale italiano.  La sociologia ha infatti cercato di individuare i  “meccanismi” che garantiscono la coesione entro una società pluralizzata, pluri-valoriale, mobile, individualistica, “liquida” e globale, mecca<nismi che connotano più una societas che una  communitas.

Non è certo questa la solidarietà che informa il testo costituzionale italiano, che rimanda alla dimensione della comunità.  Noi , in Italia, possiamo contare  su  una lunga e risalente tradizione giuridica, per cui la solidarietà realizza una sorta di  obbligazione naturale, che fa esistere la   communitas, cioè la collettività umana composta di persone reciprocamente legate l’un l’altra da un “munus”, cioè da un obbligo/dono di soccorrersi reciprocamente e di “portare gli uni i pesi degli altri”, senza alcuna garanzia di un ritorno. E la reciprocità non ha nulla a che vedere con lo scambio, sia perché la prestazione è offerta senza condizioni, sia perché, anche se la prestazione  è ricambiata,  essa non lo è mai sulla base di uno “scambio di equivalenti”, come nelle relazioni di mercato.

Non è ovviamente questa, la “solidarietà” su cui è strutturato  il MES. Anche se nelle dichiarazioni pubbliche i significati impliciti del termine “solidarietà” non si precisano mai ed, anche per questo, il confronto pubblico europeo è, sul tema in questione, superficiale o inesistente. Ma quale è allora la fonte del principio di solidarietà operativo oggi in  UE?

La fonte del principio  di solidarietà- il principio che regola il rapporto tra gli Stati UE-  ha  piuttosto a che fare con l’analisi della società moderna così come sviluppata dalla sociologia.  In particolare ha a che fare con le teorie di Emile Durkheim ( 1858-1917) , come emerge esplicitamente anche dallo studio di un think tank europeista- più oltre qui citato-  che analizza il concetto “europeo” di “solidarietà”proprio negli anni in  cui si organizza il MES.

La premessa necessaria è la moderna divisione del lavoro, quella che si basa su mercato e contratto, e che ad essi è funzionale.  La solidarietà europea è essenzialmente  ciò che è solidarietà organica per Emile Durkheim (Sofia Fernandes Eulalia Rubio, Solidarity  within the Eurozone: how much, what for, for how long? in: Notre Europe n. 51, 2012, p.4)  ,vale a dire una solidarietà funzionale, essenziale per assicurare la necessaria coesione entro una società disomogenea, individualistica, differenziata nei valori, ed  in cui l’individuo è una entità “libera”, in quanto orientata ad agire individualmente per realizzare a pieno le proprie potenzialità e legata al tessuto sociale solo attraverso la mutualità predefinita del contratto.

Questa solidarietà organica non ha fondamenta culturali ( non ha nessi con la coscienza collettiva) – ma ha fondamenta socio-economiche, essendo in stretta relazione con la divisione del lavoro. In fondo l’ obbligazione contrattuale è il vero cemento della società e la risorsa essenziale  se vogliamo far funzionare l’ “individualismo competitivo”, che domina una società orientata verso “un’economia sociale di mercato fortemente competitiva” ( NTUE, Art. 3/3) e verso una concorrenza assoluta  ( più o meno quanto intendiamo con le espressioni “capacità di mettersi in  gioco”, o di essere “imprenditori di se stessi”)  .

E’ un concetto che risponde ad una chiara visione antropologica: il cittadino  agisce sempre  uti singulus, come individuo assolutamente autonomo, secondo “…un’ idea di umanità il cui tratto fondamentale  è l’indipendenza più che la relazionalità costitutiva dell’esistenza umana” ( G. Comazzetto, La solidarietà nello spazio costituzionale europeo- tracce per una ricerca, in : Rivista AIC, n. 3/2021, p. 3). L’individualità prevale assolutamente sulla dimensione relazionale, che diviene secondaria o irrilevante, da qui la dissociazione tra società e comunità, e tra  società politica e solidarietà politica ( che presuppone sempre una  comunità).

Una dissociazione più profonda di quella dell’economia capitalistica, che conosceva ancora almeno la relazionalità delle “classi sociali”, connessa a processi culturali  di decivilizzazione in corso da anni, nel mondo occidentale, processi che fanno emergere un individuo “libero” in quanto “indipendente” e “socialmente distanziato”,quello di cui abbiamo conosciuto la manifestazione più plastica nel corso della “pandemia”.

Se  società e comunità si separano, certamente non resta che la solidarietà “organica” e “funzionale”, come  prerequisito dell’ ordine economico, e questa solidarietà non può certo servire a disegnare o progettare il futuro, ma può solo fornire uno strumento assicurativo, che opera per prevenire i rischi comuni o per porre rimedio a  shock imprevisti, ma ricorrenti entro la società del rischio in cui viviamo.

Una solidarietà “emergenziale” e “condizionale”

Ed infatti è proprio secondo questa prospettiva- quella  assicurativa– che si orienta la costruzione dl MES, che appunto la “stabilità” del sistema finanziario deve garantire, attraverso meccanismi di “solidarietà interstatale”. Una solidarietà  che può essere declinata in due modalità diverse, a seconda della tipologia del rischio, ma tra loro coerenti.

Innanzitutto la solidarietà può funzionare in una logica di  reciprocità diretta , quella che si concretizza ogniqualvolta i soggetti statali diversi si aiutano reciprocamente,  perché tutti di fronte ad un rischio “esogeno”in cui  ogni soggetto potrebbe rischiare esattamente allo stesso modo dell’altro. E’ la solidarietà emergenziale o “di eccezione”, quella che può essere sempre esercitata, senza problemi. Una sorta di  “eccezione permanente”. Ne abbiamo avuto un esempio, anni fa, con la solidarietà in risposta agli episodi di terrorismo islamico a Parigi e , più di recente, col disastro pandemico, appena ci si rese conto che esso aveva i caratteri del rischio simmetrico. Non è un caso che solo a questo punto si siano accettati gli strumenti finanziari “anomali” per fronteggiare la crisi, prima con le deroghe ai divieto degli aiuti di stato e poi col cosiddetto  NGEU, Next generation EU ( inizialmente Recovery Fund) contenente al suo interno addirittura dei grants, cioè delle sovvenzioni a fondo perduto.

La seconda modalità della “solidarietà interstatale” è invece quella che risponde alla logica del cosiddetto   interesse particolare  illuminato, ( enlightened self-interest, come si   definisce in: S. Fernandes E. Rubio, Solidarity  within the Eurozone, .p.6) In questo caso la solidarietà è esercitata da Stati “forti” verso  stati “più deboli” e si richiede l’adempimento di precise “condizionalità” , che hanno carattere in parte conformativo, in parte disincentivante. In questo caso la “solidarietà” che rimuove un rischio già concretizzatosi ,derivante ad esempio da squilibri finanziari, tende ad essere a termine. E’ il caso della “solidarietà assicurativa”messa in atto nel periodo della crisi greca del debito pubblico.

In questa modalità non vi è reciprocità dei vantaggi ed è per questo che si  richiede una  “condizionalità”, come surrogato della reciprocità. Come potrebbero uno Stato sovrano membro dell’ UE ed un Parlamento sovrano  ad accettare che le risorse dei propri cittadini vengano utilizzate per una spesa destinata a risolvere un problema creato da altri,  senza che ne venga anche un utile diretto o indiretto al “beneficiante”? Inevitabile, entro questa logica assicurativa, la contropartita delle  “condizionalità” richieste allo Stato “assistito”, di solito  “riforme”, intese come interventi  funzionali a risolvere problemi “finanziari” comuni ( ad esempio saranno tali  le “riforme” che tagliano la spesa pubblica, o liberalizzano l’economia del paese “assistito”, per migliorare le condizioni della finanza comune ).

E’ da questa seconda modalità di “solidarietà assicurativa” che origina la scelta del MES, che non è la via del’emissione di eurobond per creare debito comune, ma, all’inverso, è quella di un meccanismo che interviene ex post sulle emergenze finanziarie dei singoli Stati, prima che esse coinvolgano l’insieme delle finanze dell’ Eurozona.  Una “solidarietà finanziaria” di tipo assicurativo che si giustifica dunque col suo carattere “emergenziale” ( ricordiamo  i trattati “proibiscono” solennemente il soccorso finanziario e la clausola di divieto di salvataggio o  no bail-out).   ( Segue)

Umberto Baldocchi

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