Il gatto anche quando fa le fusa è pronto a sfoderare le unghie, all’istante. Pure se ronfa è vigile ed, infatti, la sua reazione può essere davvero “felina”, pronta ed immediata, “graffiante” ed efficace. Eppure, se punta la preda, sa muoversi a lungo con passo felpato, paziente, perseverante, non fa alcun rumore che ne riveli la presenza, addirittura si immobilizza e guidato dal suo infallibile fiuto “vede” la preda, anche quando è fuori dal suo campo visivo. E’ tanto agile quanto infingardo.
Se ha paura rizza il pelo perché, anche quando sta sulla difensiva, è pronto, se del caso, appena gli si offre uno spiraglio, ad aggredire. Kissinger, nel libro che ha dedicato alla ripresa dei rapporti tra Stati Uniti e Cina, che ha guidato personalmente negli anni della Presidenza Nixon, sostiene come nei secoli i cinesi, pur passando dal tramonto di una dinastia all’altra, abbiano imparato a vincere le guerre senza sparare un colpo, grazie alla arti finissime di una sperimentata diplomazia, capace di dividere i loro nemici, in modo che elidano a vicenda.
E’ legittimo chiedersi se la Cina di Xi non si stia muovendo sulla stessa lunghezza d’onda? Il “Celeste Impero”, nel segno del Dragone, continua a concepirsi come un mondo a sè, staccato, distante e superiore rispetto ad ogni altro Paese, destinato, infatti, anzi tenuto, prima o poi, a baciare la pantofola dell’ imperatore che siede, imperturbabile, sul trono di Pechino? Non dobbiamo forse comportarci, adottando un principio di cautela, come se le cose stessero davvero così? E la stessa guerra ucraina non va forse letta entro un’ ottica del genere?
Deve cautelarsi l’Occidente, ma non dovrebbe fare altrettanto – “Timeo Danaos et dona fetente” – anche Putin? Ha buon gioco la diplomazia cinese nel proporre un piano di pace, sostanzialmente centrato su due punti: il riconoscimento della sovranità’ territoriale di ogni Paese e la cessazione delle ostilità sul piano militare. In realtà, il gatto cinese finge di guardare a Kiev ed intanto pregusta il boccone di Taiwan, come se già gli si sciogliesse in bocca il sapore del sorcio e cerca di preordinare una piattaforma di principi da rivendicare a suo tempo. Non dovrebbe, al fine di asseverarli, chiedere, anzitutto, a Putin – per mostrare l’affidabilità di fatto del suo piano – di abbandonare unilateralmente il suolo ucraino e solo sulla base di questo presupposto aprire un confronto sullo “status” del Donbass?
In effetti, torna d’attualità una domanda che, su queste pagine, ci si faceva – giorno più, giorno meno – appunto in questi giorni, un anno fa. E’ tutta farina del sacco di Putin? Se non il mandato, fin dove si spinge l’endorsment di Pechino, che forse ha bisogno di un Occidente turbato dalla guerra per nascondere debolezze interne che evidentemente conosce meglio di noi? Peraltro, Putin dovrebbe rammentare che spesso il gatto gioca con il topo prima di pranzare a sue spese.