Ora che gran parte d’Italia è da settimane nuovamente alle prese con il forzato confinamento nelle mura domestiche, con la chiusura di negozi bar ristoranti, con le scuole medie inferiori e superiori costrette a rifugiarsi nella didattica a distanza, il dibattito politico si esercita soprattutto sullo scarico di responsabilità da uno scenario che – a parole – tutti volevano assolutamente evitare.
Certo, governare durante una pandemia mondiale che ha innescato una gravissima congiuntura economica innestatasi sull’onda lunga della crisi partita nel 2007, è compito arduo. In nessun Paese del Mondo messo a dura prova dal virus ci sono governanti che spiccano per capacità di prevenzione del contagio, anche se un tedesco ha oggi qualche sicurezza in più rispetto a uno statunitense, per la differenza evidente tra il pragmatismo della Merkel e la superficialità di Trump.
Da noi, Giuseppe Conte e il suo governo si sono affidati ai responsi del CTS, il Comitato tecnico scientifico, e almeno nella prima ondata si sono limitati i danni. Non che gli esperti abbiano brillato per lungimiranza e omogeneità di proposte: le divergenze di opinioni tra virologi non hanno aiutato la politica a prendere decisioni corrette e tempestive. Tutta la macchina della sanità – a partire dalla Regione che si credeva migliore, la Lombardia – ha mostrato impietosamente vistose carenze di programmazione, solo in parte colmate dall’impegno di medici, infermieri e altro personale sanitario al limite dell’eroismo.
Non avendo competenze in campo medico né come manager nella sanità, le osservazioni che seguono riguardano prevalentemente la comunicazione politica, tanto più importante quanto più riferita a temi che, come in questo caso, riguardano la totalità della popolazione. Una sola considerazione di ordine tecnico: prima o poi occorrerà porre fine al numero chiuso alle Facoltà di Medicina, che programmano tanti studenti in entrata quanti medici si prevede servano in uscita. Con il risultato di avere chi non arriva in fondo agli studi, chi ci arriva con tempi lunghi e un po’ di benevolenza dei docenti, non così motivato, specialmente per affrontare le specialità più impegnative. “Mancano i medici”, sentiamo dire da troppi anni. E se questa situazione ha fatto gioco per una sanità via via ridimensionata negli anni da continui tagli – che non sono però riusciti a ridurre la spesa – tuttavia mostra drammaticamente la corda di fronte all’epidemia: non avere a disposizione un letto di terapia intensiva per salvare una vita non è come avere una lista d’attesa di 10 mesi per fare una visita oculistica. E dove sono state allestite strutture d’emergenza di terapia intensiva, in diversi casi non sono attive perché manca il personale medico e infermieristico…
Il Governo in carica non può essere imputato di scelte e carenze sedimentate da decenni. Giuseppe Conte non può avere responsabilità se il piano pandemico nazionale era stato rivisto nel 2016 di fatto riproponendo la stesura del 2006. Il Direttore del Ministero della Salute tra 2014 e 2018, Ranieri Guerra, era forse troppo impegnato a inseguire un salto di carriera all’OMS (ne è diventato direttore aggiunto nel 2018) che a redigere un piano accurato di prevenzione per affrontare una pandemia…
Ma il Governo, e il Presidente del Consiglio per primo, anche in quanto front-man sui canali TV a reti unificate, hanno precise responsabilità per il clima di incertezza, paura, sfiducia e rabbia che si è creato un gran parte della popolazione. La comunicazione e i provvedimenti per contenere la diffusione del virus sono stati colpevolmente ambigui e contraddittori.
Vediamone un esempio. Andare al ristorante è pericoloso o no? Se i dati degli esperti dicono di sì, andavano chiusi con decisione. Se invece il distanziamento e le altre precauzioni attuate dai gestori tra giugno e ottobre hanno funzionato, andavano tenuti aperti. Che senso ha obbligare alla chiusura per cena e consentire l’apertura per pranzo? Il Covid-19 ha forse abitudini notturne?
Un secondo esempio. Il monitoraggio dell’AGIS sui circa 2800 spettacoli dal vivo tra metà giugno e inizio ottobre ha certificato un solo contagiato tra i 347.000 spettatori presenti: o sono dati fasulli (ma nessuno lo ha neppure adombrato) oppure il drastico distanziamento in sala, i posti ridotti a meno di un terzo della capienza, percorsi differenziati, entrate e uscite scaglionate, attenta igienizzazione dei locali, tutto questo insieme di precauzioni ha avuto successo. Decisione: cinema e teatri chiusi. Con le chiese – dove si attuano analoghe precauzioni – che invece restano aperte per le funzioni, La fede sarà anche ben più importante dello svago, ma ai fini del contenimento del contagio le situazioni sono le stesse. Però trattate diversamente. La gente non ne capisce il motivo e si dà solo un argomento di polemica agli anticlericali.
Un terzo esempio: abbiamo sentito per giorni e giorni parlare di un peggioramento dei dati epidemiologici in tre Regioni, Lombardia, Piemonte e Campania. Fino a che il governo ha giudicato rosse e rimesso in quarantena le due del nord-ovest, con l’aggiunta della Val d’Aosta. E la Campania? Regione gialla, neppure arancione. Per la gioia dei giovani della movida partenopea ma nello sconforto dei medici e nell’incredulità generale di chi non è riuscito a capire la ratio della scelta, visti i presupposti. Non ha aiutato nella comprensione il presidente regionale De Luca, che prima reclama potere decisionale per le chiusure, poi chiede al governo di prendere decisioni nazionali, quindi con la Campania in zona gialla è sembrato chiedere misure più severe, una volta passata in zona rossa lamenta il danno del lockdown…
La responsabilità si dovrebbe esercitare non solo quando si prevede di ricevere applausi, ma anche quando le decisioni assunte possono creare malcontento e proteste, tanto più forti e giustificate quanto più la comunicazione è debole e contraddittoria.
Se i “governatori” non hanno brillato per linearità, anche il Governo si è mostrato poco lucido nell’affrontare questa seconda ondata della pandemia. Lasciamo perdere la surreale vicenda del commissario della sanità in Calabria, che non fa ridere anche se a raccontarla sembra una barzelletta. La colpa maggiore dell’esecutivo è aver di fatto assecondato il “liberi tutti” da maggio in poi, senza esercitare il doveroso ruolo di informazione e prevenzione sui rischi latenti di contagio. “Tanto gli italiani, e i giovani in particolare, avrebbero fatto di testa loro”, dirà più d’uno. Forse. Ma il ruolo di un governo non è assecondare i desiderata dei cittadini: deve invece attuare ciò che è meglio per il “bene comune”, in questo caso la tutela della salute e il contenimento del contagio. Con messaggi chiari e coerenti: l’uso della mascherina riduce del 95-99% il rischio di contagio (su questo tutti gli esperti concordano) e gli assembramenti favoriscono la trasmissione del virus. La decisione conseguente da prendere, sino alla fine della pandemia dopo l’arrivo del vaccino, era l’obbligo di indossare la mascherina e di distanziamento, vietando gli assembramenti. Quello che gli italiani hanno imparato a fare in primavera. Con le dovute precauzioni, ogni attività sarebbe potuta rimanere aperta.
Certo che se poi in estate le cautele svaniscono, se le discoteche sono il carnaio di sempre – dalla Sardegna del Billionaire a Rimini a Gallipoli –, se il Governo si preoccupa di spendere miliardi per i banchi con le rotelle e non per potenziare il trasporto pubblico locale su cui sono costretti ad accalcarsi studenti e pendolari, non stupiamoci che la seconda ondata, partita dal periodo estivo, si sia diffusa così ampiamente tra la popolazione, rendendo di fatto impossibile i tracciamenti e quindi ogni strategia di contenimento. E siamo ripiombati nel lockdown.
Aspettiamo fiduciosi il vaccino. Ma riflettiamo su questo anno disgraziato e traiamone qualche lezione. Una di queste è che la necessaria, profonda trasformazione di cui ha bisogno il nostro Paese può partire solo da una “operazione verità” sullo stato delle cose: parole chiare e scelte coerenti, la cui logica sia comprensibile da parte di tutti.
Sembra poca cosa, ma sarebbe già una rivoluzione.
Alessandro Risso
Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione i Popolari del Piemonte ( CLICCA QUI )