E’ certo difficile non vedere – o fingere di non vedere – la presenza di un intento di beffa, da parte dei Cinesi, nell’aver scelto il giorno della presidenziale incoronazione di Donald Trump per rilasciare la loro nuova grande creazione – semplicemente denominata R1 – nel campo della Intelligenza Artificiale.
Messa a punto da una piccola entità di ricerca, essa contiene però anche un grande insegnamento, reso più evidente dal fatto che il significato della “sorpresa” cinese sia stato recepito dai giganti del big tech solo nei giorni immediatamente successivi alla decisione di Trump di creare Stargate. Un tentativo di assicurare all’America il controllo sulla A.I. (o meglio il successo di alcuni suoi discutibili progetti di intelligenza artificiale) grazie ad un mostro gigantesco per quantità di mezzi disponibili.
Un mostro con cui la nuova leadership americana – scegliendo la linea di Sam Altman, non a caso aspramente criticata da Elon Musk – ha indubbiamente finito per dimostrare di confondere ciò che e volgarmente “grosso“ con quello che è tecnicamente ed intellettualmente “grande”.
Il grande e la beffa
C’è indubbiamente, dietro questa scelta, una visione stessa dell’America: una visione di cui Trump è il più esplicito e ingenuo rappresentante, la vera e propria bandiera di una linea probabilmente destinata ad essere perdente. Ma c’è da dire che neanche la linea di Politica Scientifica dell’amministrazione Biden era stata – negli ultimi quattro anni – molto diversa, nel suo tentativo di rivaleggiare e di ostacolare la Cina.
Una linea, ed una visione, che debbono oggi incassare, accanto alla beffa, anche un danno assai sostanziale, che va ben oltre il fatto che nel giro di poche ore, DeepSeek ha spazzato via mille miliardi di dollari dallo stock market americano. DeepSeek potrebbe infatti aver addirittura aperto “a new era”, o almeno una nuova stagione. Clamorosamente annunciata da Trump, ma assai diversa da quella da lui preconizzata.
Il grosso e il danno
Non sembra infatti confermato soltanto che l’investimento dei cercatori Cinesi sia ammontato in tutto a sei milioni di dollari. E che con queste risorse essi siano stati in grado di mettere online, e per di più in modalità “aperta” a tutti utilizzatori – e anche a possibili miglioramenti – un prodotto comparabile a quello che agli Americani è costato miliardi di greenbacks e anni di ricerche. E’ stato anche chiarito che – come ha scritto più di un autorevole quotidiano internazionale – questa mossa strategica costituisce una sfida diretta al dominio monopolistico delle grandi aziende tecnologica statunitensi come Google OpenAI e Meta, che paiono ormai esposte ad un futuro incerto
E con esse, purtroppo, anche la straordinaria Nvidia. Non solo perché l’equivalente cinese di ChatGPT è costato 30 volte di meno, con effetti inevitabilmente negativi per i fornitori di componenti. Ma anche – anzi soprattutto – per la relativa semplicità e “arretratezza” dei chips utilizzati. Il che getta un’ombra assai pericolosa dal punto di vista imprenditoriale sull’enorme sforzo fatto per produrne di composti da strati sempre più sottili. I quali potrebbero, a questo punto avere difficoltà a trovare mercato. Sforzo fatto principalmente attraverso Nvidia, che gia oggi conta perdite per 18 miliardi di dollari.
Ci sarà modo, nei prossimi giorni, di ritornare sui complessi dettagli tecnici e politici di questa vicenda. Non rinviabile è però prendere atto del segnale che essa ci ha mandato. Un segnale che potrebbe essere assai interessante per l’Europa, se ci fosse qualcuno in grado di raccoglierlo.
Un segnale che indica come non ci sia per forza bisogno, per avanzare nel campo dell’intelligenza artificiale, di traferirsi o di investire negli Stati Uniti. L’Europa potrebbe, infatti, guardando all’insegnamento dei Cinesi, avanzare in questo campo anche con le proprie forze. Che invece oggi depaupera attraverso una tragica emigrazione intellettuale e, da parte dei suoi governi, attraverso un atteggiamento spesso servile.
Giuseppe Sacco