E’ sempre un bel momento quello in cui nella vita di un paese il principio di responsabilità si impone attraverso gli atti ben combinati di uno o più protagonisti (persone o istituzioni) che riescono, in tal modo, ad assumere l’iniziativa e a ricacciare ai margini le opposte forze della irresponsabilità, dell’avventura o della partigianeria irragionevole.
Ad esempio, una tale virata improvvisa si ebbe nel luglio 1948: nelle ore in cui – dopo l’attentato a Togliatti – tutto sembrava convergere verso uno sciopero generale gravido di rischi insurrezionali. Fra l’altro, com’è noto, è proprio da questo episodio che ebbe origine il libero sindacalismo cristiano destinato – dopo pochi mesi – a raccogliersi sotto le bandiere della CISL.
Lo stesso “miracolo della responsabilità” non si era invece verificato nel 1922, nei mesi che precedettero la marcia su Roma quando – fra le forze antifasciste – prevalse il settarismo dei comunisti e di una parte del Partito socialista: fattore che – in sede storica – è da tempo stato riconosciuto come la principale causa di un avvento del fascismo altrimenti evitabilissimo.
Oggi il Paese può scivolare verso una stretta decisiva che potrebbe di nuovo porci di fronte al bivio responsabilità-irresponsabilità (nelle sue due declinazioni dell’avventurismo o della partigianeria irragionevole).
Può infatti accadere che l’”equilibrio Conte” vada rapidamente ad esaurirsi.
Debolezza soggettiva (sia in termini di uomini che di forze sociali rappresentate) comparata all’aggravarsi di una situazione oggettiva non ordinaria. E’ ben difficile che chi si trovava in affanno già in una situazione ordinaria (ante-epidemia) risulti invece idoneo a gestire la situazione straordinaria.
Non è solo una questione di personale di governo, né di contenuto dei provvedimenti, ma di orizzonte: il governo Conte si è mosso (e può muoversi) solo in un determinato orizzonte, poiché il parallelogramma delle forze parlamentari e sociali che esso esprime, della sua credibilità internazionale e dei suoi uomini (con la loro cultura e i loro valori) non può esprimere niente di diverso. Per quanto il premier – come persona – sia “flessibile”.
Se l’”equilibrio Conte” si esaurisce è evidente che occorrerà ricercare un nuovo equilibrio. E ogni persona di buona volontà, ciascuno nel proprio ruolo, sarà chiamata a questo non facile compito.
Personalmente sono convinto che – se l’attuale equilibrio si esaurisse – le chance di successo del nuovo equilibrio (non poche, vista la posta in gioco e il valore di un asset come l’Italia) sarebbero affidate alla sua credibilità su tre piani: il paese reale, l’Europa e i mercati.
Il paese reale
La nuova formula politica di governo dovrebbe saper trasmettere a tutto il paese un messaggio di verità: la situazione è davvero seria, più delle contrapposizioni politiche perché è in gioco la continuità dell’esperienza repubblicana, se non unitaria.
Le tensioni che si sono accumulate – e rischiano di trasformare la nostra crisi nella tempesta perfetta – sono infatti tantissime. Le notizie della insubordinazione delle Regioni o dell’occupazione del Parlamento preoccupano non in quanto tali (non facciamo i candidi: l’Italia è sempre stato il paese della insubordinazione di un potere contro l’altro, nel quale ciascuno occupa tutti gli spazi disponibili), ma perché tutti sappiamo che questi episodi di ordinaria improvvisazione istituzionale questa volta potrebbero – già dalle prossime settimane – saldarsi con un fortissimo e giustificato malcontento popolare. A quel punto il rischio di scivolamento nell’anarchia diventerebbe concreto. E non osiamo pensare a quanto effimera potrebbe dimostrarsi anche la timida apertura della fase 2 – e a quanto accentuato risulterebbe il rischio di anarchia – nel caso in cui l’epidemia avesse una seconda fiammata.
Ma qui è bene chiarire cosa significa che la crisi è più seria delle “contrapposizioni politiche”. Questa frase, se presa sul serio, ha un significato rilevantissimo. Infatti le contrapposizioni hanno – in Italia – una funzione identitaria. Quanto più le espressioni politiche si sono depauperate di energie programmatiche, progettuali, valoriali, tanto più la contrapposizione ad un “avversario” è diventato elemento irrinunciabile, unico fattore identitario rimasto. Senza di esso si rischia la rapida dissoluzione (per mancanza di idee e di radicamento sociale). La vera crisi della politica è tutta qui. Oggi ci sono in Italia due fronti sotterranei – legittimi entrambi, intendiamoci – che però rischiano di costituirsi come elementi di resistenza rispetto a quello che ho chiamato il “momento della responsabilità”. Il primo è il fronte “antileghista” – che raccoglie espressioni fra loro incompatibili ma per ciascuna delle quali appare irrinunciabile (e quindi vitale) la contrapposizione a Salvini. Il secondo è il fronte che con espressione cacofonica si autodefinisce “antinciucista” che non può – per definizione – sedersi al tavolo con il PD e i 5 stelle. E’ interessante (e forse lo spiegheranno i political scientist in futuro) che non si sia invece mai saldato un fronte anti-5 stelle. E questo – oggi – finisce con l’essere un bene (lo affermo anche se personalmente sarei andato di corsa ad iscrivermi ad un tale fronte).
Cosa vuole dire questo? Che finché non ci libereremo di queste concrezioni mentali, non potrà nascerà una convergenza di forze che credibilmente potrà dire di aver messo in primo piano la salvezza del paese. E finché non si creerà questa convergenza, gli italiani non crederanno che tale obiettivo prevalga davvero sulle esigenze (particolari) delle attuali espressioni politiche e quindi non conferiranno alcuna autorevolezza al futuro governo.
Non sto descrivendo un ipotetico futuro governo di unità nazionale (“tutti dentro”), ma solo quello che credo sia il processo per giungere ad una ipotesi credibile agli occhi del paese. Occorre porre in primo piano la salvezza del Paese. E farlo sul serio. Poi chi sarà dentro e chi fuori si vedrà. Ma solo se questo processo sarà svolto con serietà ed onestà intellettuale, si realizzerà una conditio sine qua non di quella “svolta della responsabilità” che qui si auspica.
L’Europa
Un governo autorevole in patria avrebbe ottime chance di presentare in Europa quella che è una verità oggettiva: le dimensioni della crisi italiana (con l’ultimo declassamento da parte delle agenzie di rating) rischiano di far precipitare l’intera Europa nel caos, a partire proprio da una buona fetta dell’industria manifatturiera e delle banche tedesche. Ciò è indubbiamente vero. Ma anche i più recenti avvenimenti ci dimostrano che non basta che questa sia una verità affinché in Europa si affermi come tale. Infatti essa si scontra con la precaria situazione interna di altri paesi. In primis la Germania. Affinché essa si affermi è necessaria la politica. Cioè: questa verità deve essere portata e fatta valere nelle sedi europee da un soggetto politico davvero forte, cioè autorevole e sostenuto da un ampio schieramento di forze di ricomposizione sociale.
Il Recovery Fund – con le remore e i distinguo da cui è uscito dopo la riunione del Consiglio del 23 aprile non è la soluzione. E l’argomento della Merkel (i Trattati ci impediscono di mutualizzare il debito futuro derivante dalla pandemia) non è una risposta perché i Trattati si cambiano. E questo è il momento giusto per farlo. Senza precipitazione ma con chiarezza di obiettivi. Nell’interesse dell’Europa.
I mercati
Ad essi va mandato un duplice segnale:
- il governo italiano è autorevole, gode di un adeguato sostegno parlamentare e sociale e ha tutti i requisiti per impedire che la situazione sfugga di mano;
- l’obiettivo di questo governo è molto chiaro: impedire che il rapporto debito-PIL precipiti, attraverso (i) una severa selezione della spesa (un taglio immediato e rilevante di spesa improduttiva, l’assistenza necessaria, e solo quella, l’aiuto anche a fondo perduto alle unità produttive per rimanere in vita, anche a costo di creazione temporanea di debito) e (ii) un piano strategico volto ad una rapida e robusta ripresa del PIL e quindi al rientro – per questa via e non attraverso politiche deflattive – nei parametri virtuosi che i mercati giustamente reclamano.
Una svolta di questo genere – se gli eventi portassero in questa direzione – troverebbe facilmente la sua maggioranza parlamentare. E oso scommettere che – a prescindere dai suoi contenuti – i primi a convergere sarebbero proprio i 5 stelle che da una situazione siffatta vedrebbero meglio garantito il bene a loro più caro: la durata della legislatura fino a scadenza naturale.
Enrico Seta