E’ tempo che le forze politiche si diano, ciascuna per la sua parte, una mossa e decidano, una volta per tutte, come intendano accompagnare il Paese alle urne.

La guerra, ancora la pandemia, pur sempre il PNRR e le riforme annesse, anziché accelerare, fungono da ammortizzatore e frenano la costruzione, nel metodo e nel merito dei contenuti programmatici, di una strategia con cui i partiti pensino di proporsi agli italiani, invocando da loro indicazione di marcia, piuttosto che, di fatto, imporla autoritativamente, costringendoli in una polarità tanto obbligata quanto sghemba dall’una e dall’altra parte.

Il rischio è che il Governo – sotto vari aspetti doverosamente, poiché si tratta pur sempre di “governare” qui ed ora –
diventi una sorta di camera di compensazione, la quale, pur scossa a tratti da tensioni impellenti, tenda ad ovattare il tutto in una bonaccia ingannevole. Saremo accompagnati in questo modo fino a ridosso del momento elettorale? Cosicché, quando necessariamente si passerà alla contesa aperta, dovremo affrontare un tornado con trombe d’aria e bombe d’acqua che un sistema fragile come il nostro non sarebbe in grado di reggere se non buttando il tutto in una rissa tanto astiosa, quanto incomprensibile ed inconcludente. Peraltro, sostanzialmente un “deja’ vu”.

Al contrario, la scadenza elettorale del prossimo anno andrebbe preparata accuratamente, allargando il confronto a quella ricca articolazione della società civile che in molti cercano, al contrario, di comprimere e preordinare entro una concezione “proprietaria” del sistema politico; cosa che fa comodo ad entrambi gli schieramenti.

Gli attori politici attualmente in campo devono mettersi – se cosi si può dire – una mano sulla coscienza e rendersi conto di avere condotto alla consunzione un sistema che non è stato in grado di compiere i due atti fondamentali che gli competono: formare una maggioranza di governo secondo le classiche regole della dialettica parlamentare ed eleggere un Presidente della Repubblica, cosa cui si è giunti solamente invocando la disponibilità di Sergio Mattarella a continuare il suo illuminato servizio al Paese.

Soprattutto, siamo in presenza di un apparato che ha letteralmente spinto metà degli italiani fuori dal sistema politico, nel limbo di un astensionismo frutto non solo e non tanto di una neghittosa e passiva indifferenza nei confronti della vita pubblica, ma di una frustrazione che disaffeziona ed allontana chi pur vorrebbe concorrervi. E’ l’esito di una oggettiva difficoltà per molti a ritrovare una proposta che li rappresenti nella contrapposizione polare dei due schieramenti di destra e sinistra.

La pandemia e la guerra, a maggior ragione, impongono che gli italiani tutti s’interroghino a fondo e il Paese collettivamente affronti quello che potremmo chiamare un “momento della verità” in grado di dar conto della “trasformazione”, cioè della nuova prospettiva di cui abbiamo bisogno.

Le vecchie categorie di lettura ed interpretazione della realtà sociale che hanno accompagnato la politica nei quasi trent’anni della defunta “Seconda repubblica” già di per sé sono superate. E men che meno possono reggere l’urto di due eventi, come sono quelli della guerra e della pandemia, che abbiamo lasciato ci rovinassero addosso impietosamente.

Da un lato, nel centrodestra, il “centro” e la sua supposta cultura liberal-democratica non ci sono più. In modo tale che, al suo interno, la competizione è tra chi interpreta meglio, sotto le spoglie del nazional-sovranismo, quel tratto di chiusura e di difesa “identitaria” che, alimentato ad arte dall’enfatizzazione delle paure e dalla caccia al “diverso”, induce nel Paese sentimenti di reciproca diffidenza e di rancore. Insomma,  si va ben oltre il classico atteggiamento conservatore e s’inclina, piuttosto, verso atteggiamenti chiaramente reazionari.

A sinistra, il “campo largo”, a fronte della pericolosa inconsistenza dei 5 Stelle e della pochezza politica del loro leader, si sta rivelando una sorta d’illusorio “campo dei miracoli” o addirittura, ove pure fosse comunque allestito, un rissoso “campo di Agramante”. D’altra parte, il PD, forse consapevole della sua strutturale ed originaria precarietà, ha preferito rifugiarsi in una soluzione “securitaria” e non ha avuto, almeno fin qui, il coraggio di sfidare sé stesso e “affrontare” apertamente il Paese attraverso un confronto elettorale aperto, affidato a una legge elettorale proporzionale.

Domenico Galbiati

 

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