L’incontro che INSIEME ha tenuto lo scorso 2 luglio all’Angelicum, recava, tra i temi proposti, anche la questione, sempre attuale, del rapporto tra impegno politico e momento pre-politico o culturale. Tra “militanza” partitica e formazione delle coscienze. Tra assunzione in prima persona di una responsabilità diretta e l’ opera educativa e di inculturazione dei valori cristiani nel complessivo contesto civile.

Il tema, infatti, è vivo particolarmente in area cattolica e, per fasi successive, riemerge dalla falda carsica in cui è perennemente presente ed irrompe all’attenzione del momento. Succede, inevitabilmente, anche in questa fase di disorientamento, eppure di transizione. Argomento che, nei lunghi anni della prima repubblica ha interpellato anche i partiti maggiori, scodellando diverse interpretazioni e prassi differenti, ma, di fatto, mai approdando ad una soluzione del tutto soddisfacente. Forse, peraltro, questione indebita, impossibile da definire, strutturandone la forma in una modalità stabilità una volta per tutte.

La politica è cieca senza un retroterra storicamente consolidato, senza una cultura che, ad un tempo, la preceda e la trascenda. E la cultura è zoppa se non approda ad una efficacia storica che si attualizzi in una puntuale responsabilità politica. Almeno su questo si dovrebbe concordare anche da parte di coloro che guardano all’impegno in un partito con una certa “pruderie”. Come se il fatto evocasse la presunzione di voler imporre la propria identità oppure strumentalizzasse la fede e, ad ogni modo, offuscasse quel distacco e quel candore che risponde alla supposta superiorità morale dell’ impegno finalizzato a formare coscienze rette, piuttosto che trafficare con quel po’ di diabolico che l’idea del potere reca sempre in sé per gli animi più avvertiti.

C’è del vero in tutto ciò oppure si vi può ravvisare, almeno in alcuni casi, una certa “nuance” piuttosto farisaica? La questione, comunque, oggi va affrontata in un contesto talmente distante dai termini in cui si poneva nel secolo scorso, da richiedere una riflessione tutt’altro che indifferente su che cosa debba essere oggi e come si debba porre un partito politico.

Si tratta di dare vita ad un percorso che tocca anche INSIEME, che, per forza di cose e per una certa urgenza dei tempi, è nato adottando una impalcatura statutaria sostanzialmente ricalcata, a prescindere da un dato dimensionale talmente differente, sulla fisionomia dei classici partiti di popolo del ‘900. Senonché, nell’età in cui ogni questione sociale, ogni tema culturale, ogni argomentazione politica si intreccia in una matassa inestricabile con mille altre, è necessario concepire una relazione tra questi differenti livelli di lettura del mondo reale in cui viviamo che non ripeta schemi sperimentati quando la società era più semplice e stratificata.

I partiti tendevano nel passato ad arruolare ogni espressione della società civile che mostrasse affinità ideale o una sostanziale convergenza di interessi con la loro visione. In un certo senso, militarizzavano il campo, assumevano una struttura piramidale e finivano per assecondare una concezione totalizzante della politica. Ora, complessità e pluralismo si rincorrono in un quadro cosiddetto “liquido”, sfuggente, carente sul piano della coesione sociale, senza capacità di riconoscersi in un orizzonte di senso comune.

Siamo entrati in una fase storica che esigerebbe una forte reciprocità solidale, trascinandoci, al contrario, la coda di quella cultura individualista che abbiamo alimentato a piene mani nei decenni scorsi, finché ha assunto la fisionomia di un abito mentale di cui facciamo fatica a liberarci. La complessità evoca differenti modalità di connessione, una circolarità di saperi, di ruoli e di funzioni che favorisca la formazione di nuclei di aggregazione che avviino processi di condensazione del tessuto sociale.

I partiti devono rivedere le loro modalità organizzative e concepirsi non più come cittadelle fortificate ed autosufficienti, bensì come spazio in cui portare a sintesi analisi e contributi che nascano da collaborazioni strutturate con espressioni e forme associative che arricchiscono il pluralismo civile e culturale del Paese. Si tratta di studiare le modalità dirette a creare una rete di competenze che diano luogo ad un aggregato di soggetti che sviluppano diverse funzioni, in un rapporto paritario e di rispetto delle reciproche funzioni, al di fuori della vecchia logica del collateralismo. Quest’ ultima generava rapporti asimmetrici di subordinazione che oggi non sono più pensabili.

Non ha più senso coltivare una sorta di polarizzazione, a tratti quasi oppositiva, tra chi fa militanza politica e chi sviluppa ruoli di animazione formativa e culturale. Anche in questo senso siamo tutti sulla stessa barca, senza gelosie di ruolo o sospetti di reciproca strumentalizzazione. Anche INSIEME che intende essere un partito nuovo deve valutare come affrontare questo necessario passaggio.

Domenico Galbiati

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