Chi pone mano alla creazione di un nuovo soggetto politico, un partito, di chiara ispirazione cristiana, dunque non integralista, aconfessionale, laico secondo la lezione che ereditiamo da Luigi Sturzo, aperto ai non credenti, anzitutto si assume una responsabilità. Su questo punto è necessario insistere.
Una responsabilità personale, diretta, che concorre alla dimensione collegiale del partito, ma non si stempera nel “collettivo”, bensì grava in prima persona su ciascuno. Una responsabilità che si sostanzia nel progetto politico che si concorre a costruire, ma è accompagnata, anzi preceduta, al di là dei contenuti di merito, da ciò che concerne il metodo e si configura, anzitutto, nel costume di franchezza, di oggettività che ciascuno è tenuto ad assumere come “cifra” della propria azione.
La politica è un “moltiplicatore” a dismisura di responsabilità ed è necessario sentire sulla propria pelle il senso compiuto di tale condizione. Per loro natura, i gesti della politica non restano circoscritti nel perimetro di chi li pone o del suo immediato contesto, ma impattano la comunità, la polis, come un sasso che lanciato in aria segue una traiettoria che va oltre la mira e l’intenzione di chi è pur sempre l’attore del suo movimento, anche quando questo si divincola dal suo controllo.
A maggior ragione, la risonanza dei comportamenti che si assumono in politica e le relative determinazioni hanno una straordinaria pervasività nell’età della comunicazione e del “villaggio globale”, laddove, già di per sé, le relazioni interpersonali si infittiscono in misura incredibile, fino ad adombrare l’incipit addirittura di una mente collettiva.
Quando Tommaso Moro prega il Signore che lo protegga da “quella cosa troppo invadente che si chiama “io”” e, per altro verso, Francesco Cossiga evoca l’”autoironia” come qualità necessaria al politico, entrambi richiamano l’opportunità che quest’ultimo prenda quella giusta distanza che gli consenta di osservare se stesso con disincanto e con quel tanto di spirito critico che gli permetta di non scaricare le sue paturnie sulla collettività. Ha idealmente bisogno, si potrebbe dire, di un’ascesi, di un lavoro su di sé che gli permetta di non soggiacere, nella formulazione dei suoi giudizi e nelle determinazioni che assume, a quel mix di malumori, irritazioni, rivalse o compensazioni psicologiche che attraversano normalmente la vita di ognuno ed il politico dovrebbe preventivamente separare dall’intreccio con le sue funzioni cognitive. Ragione e sentimento compongono, in prima istanza, un tutt’uno inestricabile
Non si tratta, dunque, di anestetizzare quella passione che è inseparabile dall’azione politica, come se questa fosse qualcosa di algido e di altero, ma di setacciare, trattenendoli, quei sentimenti perturbati e negativi che possono alterare la misura oggettiva e la lucidità dei giudizi di chi opera nella sfera pubblica. Insomma, la responsabilità del politico è impegnativa, non facile da sostenere.
Una respondabilità che anche a noi compete, nei confronti del Paese e nei confronti di noi stessi; verso gli italiani e verso la storia cui sentiamo di appartenere, cioè nei confronti della tradizione e della cultura politica dei cattolicesimo democratico. Abbiamo una responsabilità come cittadini e come credenti, alla quale ci impegnano concordemente la Costituzione e la Dottrina Sociale della Chiesa. Abbiamo una responsabilità a fronte del nostro tempo ed a riguardo delle generazioni che seguiranno, nei confronti di quel “domani” di cui la straordinaria intensità dei giorni che viviamo, delinea fin d’ora il carattere di fondo.
Siamo impegnati nei confronti dei nostri concittadini, delle persone, singole ed associate, cui e’ data da vivere con noi questa fase della storia difficile e meravigliosa, irta di sfide, costellata di insidie, ma ricca e sovrabbondante di opportunità. Altrettanto nei confronti della coscienza di sé che collettivamente e costantemente l’umanità matura, per un verso aggiorna e, per altro verso, conferma e scopre perennemente uguale, eppure perennemente nuova in una stagione di trasformazioni incalzanti.
Abbiamo il dovere di essere responsabili. Abbiamo, nel contempo, il “diritto” di esserlo; il diritto, cioè, di poter impegnare la nostra libertà, di poterla applicare, nel pieno esercizio del nostro titolo di cittadinanza, alla soluzione dei problemi della comunità.
Domenico Galbiati

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