Quanto più si prolunga il travaglio e la partoriente soffre, tanto più aumenta il rischio che il bimbo nasca asfittico, con i possibili danni cerebrali che ne conseguono e le permanenti limitazioni funzionali, destinate a comprometterne la vita, fin dal primo vagito. Nella sala-parto allestita al Nazareno, il Pd è steso su un letto di Procuste che non promette nulla di buono.

Un sistema politico decotto, a destra ed a manca, alle prese con l’ appuntamento elettorale di settembre, conferma –  sarebbe stato meglio per il Paese che ci fossimo sbagliati – l’analisi che INSIEME, fin dalla sua prima origine, ha sviluppato in ordine alla nostra situazione politica. La cosiddetta “Seconda repubblica” è giunta al capolinea, anzi è letteralmente fallita, nella misura in cui è venuta meno ai suoi stessi presupposti ed ha sostanzialmente tradito – sia nella versione berlusconiana che in quella prodiano-ulivista – le istanze invocate, ormai trent’anni or sono, a sostegno della sua legittimazione.

Il bipolarismo maggioritario si è rivelato una palla di piombo, che, al piede del Paese, ne ha inceppato il cammino.
La politica è geometrica ben più di quanto comunemente si ritenga e quando non se ne rispettano i “fondamentali”. Se si prendono le mosse da assiomi sbagliati ne deriva una catena ininterrotta di errori che si inanellano l’uno nell’altro, a quel punto “necessari”, cioè strutturalmente inscritti nel sistema e, dunque, inevitabili.

Il primo “fondamentale” tradito è stata la pretesa di comprimere, con leggi elettorali maggioritarie, la ricca e vitale articolazione di un Paese eminentemente plurale come il nostro, nella camicia di forza del bipolarismo, che, anziché dar luogo all’ attesa “democrazia dell’alternanza”, ha prodotto la paralisi del sistema politico per reciproca interdizione delle parti. Il secondo “fondamentale” buttato alle ortiche – pure alla metà degli anni ‘90 – è stato quello di credere che si potesse sanare la crisi dei partiti sommando le loro debolezze e nascondendo sotto il tappeto quelle differenze che pure ancora davano conto della originaria ricchezza ideale di ciascuno, pur nel momento agonico della loro vita.

Ne ha sofferto soprattutto il PD, il partito che, come tale, non è neppure mai nato: non poteva e, come dimostrano plasticamente le vicende di questi giorni, neppure può rappresentare l’approdo ad una comune opportunità elettorale di forze eterogenee. In altri termini, lo ha sostenuto, in una certa misura, anche Paolo Mieli nel fondo del Corriere di ieri l’altro. Ne ha sofferto la cultura politica cattolico-democratica e popolare, privata – anche grazie all’ interessato tradimento di troppi chierici – della possibilità di vedersi rappresentata nel discorso pubblico. Nonostante fosse l’ unica, tra le culture politiche tradizionali della nostra vicenda democratica, ad aver titolo per accedere al nuovo secolo. Nella misura in cui, fondata su chiari principi, era ed è tuttora, l’unica a non essere ossificata nei paradigmi prettamente ideologici che, al contrario, incaprettano le classiche dottrine del “liberismo” da una parte, del “collettivismo” dall’altra.

Il “combinato disposto” dei due errori suddetti rappresenta il peccato originale da cui, ineluttabilmente, è discesa la progressiva involuzione di un sistema politico, giunto allo stato catatonico che oggi osserviamo. Non è successo tutto dal 4 marzo 2018 in qua. Le radici e le ragioni dell’ implosione attuale sono ben più datate. Siamo dentro un’ingarbugliata matassa di relazioni tra gli schieramenti contrapposti e all’interno di ciascuno dei due, cosa che ha reso l’apparato bipolare impotente a fronte dei due adempimenti fondamentali di ogni sistema politico: dare al Paese un governo secondo le regole classiche di una maggioranza parlamentare ben connotata ed eleggere il Capo dello Stato.

Per nostra somma fortuna, l’uscente rieletto al Colle si chiama Sergio Mattarella. Evidentemente, “La Provvidenza c’è…”, come afferma Manzoni per bocca di Renzo Tramaglino. Un sistema politico – è il terzo indizio – che non è stato in grado neppure di reggere lo sforzo di unità nazionale, cui è stato chiamato dal Presidente della Repubblica, in un momento già di per sé difficile, reso addirittura drammatico dalla guerra in Ucraina, intervenuta nel frattempo. E, per giunta, impotente – quarto indizio che suggella la prova – perfino a riproporsi credibilmente al Paese con una certa decenza, come risulta del tutto evidente in questi giorni. Anzi, costretto a somministrare, ancora una volta, agli italiani una over-dose di quel bipolarismo che, come un cappio, si sta ancora più stringendo al collo dell’Italia, soffocandone l’articolazione plurale che, invece necessariamente, è il primo requisito di quella “democrazia del tempo post-moderno” che siamo chiamati a costruire.

Ce n’è d’avanzo per ribadire come il compito di INSIEME – forza di chiara ispirazione cristiana che, in questo momento, aspira, come anche su queste pagine è stato più volte affermato, piuttosto che ad un ruolo di potere, ad un compito di verità – sia anzitutto quello di segnalare che “il re è nudo”, sottraendosi all’abbraccio bipolare.
Augurandosi che, nella variegata compagnia del nostro arco parlamentare e nella stesso ampio contesto sociale e culturale del Paese, vi sia qualcuno in grado, a sua volta, di farsi carico del coraggio politico e civile, necessario per partecipare ad un tale annuncio.

Detto sinteticamente: non si deve soggiacere al reciproco ricatto tra le due parti in campo del cosiddetto “voto utile”, classico strumento di una politica “contro” – altro stereotipo di cui dobbiamo liberarci – piuttosto che capace d’indicare, in positivo, una visione ed una speranza. Il “sistema” non ha avuto il coraggio di rimettersi in discussione effettivamente varando una nuova legge elettorale proporzionale, all’autonomia di giudizio e alla libera capacità critica del popolo, cui appartiene, secondo il dettato costituzionale, la “sovranità”. Cerca, piuttosto, di sopravvivere e di perpetuare sé stesso e, dunque, di blindarsi in quel sottinteso patto di reciproca convenienza che i due schieramenti tacitamente e consensualmente perseguono da troppo tempo. A detrimento di una dialettica ampia ed aperta che dia rappresentanza alla ricchezza plurale del tessuto civile del Paese.

Resta da percorrere un cammino impervio, ma necessario, diretto a costruire una posizione “altra”, alternativa al duo-polio soffocante che ci godiamo da troppo tempo.

Domenico Galbiati

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