Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), approvato il 30.04.2021, ha una forte impostazione dirigistica statale, inappropriato per un documento di così ampia portata e durata, che avrebbe dovuto, invece, derivare da processi di aggregazione delle istanze provenienti dai diversi saperi: quelli dei centri di competenze dello Stato e degli enti pubblici territoriali, fra di loro e con i saperi espressi dalla società organizzata. L’approccio corretto non avrebbe dovuto essere di tipo dirigistico statale e non si esce dal dirigismo concedendo audizioni temporanee più o meno pletoriche a partiti politici, organizzazioni rappresentative del mondo produttivo (datori di lavoro e lavoratori), del mondo culturale, del Terzo settore. Si entra nella relazionalità lavorando insieme, confrontando i propri valori, dalla declinazione dei quali emergono gli obiettivi finali particolari e, con le opportune mediazioni, quelli condivisi dalla comunità dei soggetti.
Una certa apertura è stata comunque introdotta nella Parte I (“Governance per il PNRR”) del D. L. 31.05.2021, n. 77. Viene istituita (art. 2), presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, una Cabina di regia, presieduta del Presidente del Consiglio, alla quale partecipano i ministri e i sottosegretari di Stato competenti in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta. La Cabina di regia esercita i poteri di indirizzo, impulso e coordinamento generale sull’attuazione degli interventi del PNRR. Alle sedute della Cabina di regia partecipano i presidenti di regione e delle province autonome di Trento e di Bolzano, quando sono esaminate questioni di competenza di uno dei predetti enti territoriali, ovvero il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, quando sono esaminate questioni che riguardano più regioni o province autonome. Alle sedute della Cabina si regia possono, inoltre, essere invitati, in dipendenza della tematica affrontata, i rappresentanti dei soggetti attuatori e dei rispettivi organismi associativi e i referenti o rappresentanti del partenariato economico e sociale.
Inoltre, è prevista (art.3) l’istituzione del Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, che svolge funzioni consultive nelle materie e per le questioni connesse all’attuazione del PNRR ed è composto dai rappresentanti del Governo, delle regioni, delle province autonome, degli enti locali e dei rispettivi organismi associativi, delle parti sociali e delle categorie produttive, del sistema dell’università e della ricerca e della società civile.
L’art. 9 dello stesso D. L. fissa il quadro dell’attuazione degli interventi del PNRR, determinando che alla realizzazione operativa degli stessi provvedono le amministrazioni centrali, le regioni, le province autonome, gli enti locali, sulla base delle specifiche competenze istituzionali ovvero della diversa titolarità degli interventi definita nel PNRR, attraverso le proprie strutture ovvero avvalendosi di soggetti attuatori esterni individuati nel PNRR ovvero con le modalità previste dalla normativa nazionale ed europea vigente.
Il ruolo delle Autonomie locali risulta fortemente compresso. Si riconosce la possibile compartecipazione possibile nella fase di progettazione degli “investimenti” che concorrono a formare le componenti del piano stesso, la cui definizione e giustificazione – nonché le “riforme” che sono necessarie affinché gli investimenti indicati possano essere effettuati con il massimo di efficienza – sono già prefissate nel PNRR, ricorrendo anche a specifici allegati. Il tutto con un documento di 2478 pagine alla cui stesura le Autonomie locali non hanno concorso per niente.
Il PNRR fa pienamente sue le raccomandazioni specifiche paese per paese dettate dal Consiglio Europeo, ma soprattutto deve essere coerente con gli obiettivi dei tre assi d’intervento condivisi a livello europeo:
- digitalizzazione e innovazione;
- transizione ecologica;
- inclusione sociale.
e individua i nodi da risolvere per rilanciare lo sviluppo del nostro Paese:
- l’insoddisfacente crescita economica dovuta, non solo alla debole dinamica degli investimenti produttivi, ma anche a una serie di fattori strutturali: la dinamica demografica declinante dovuta al basso tasso di natalità, la ridotta dimensione media delle imprese, l’incompleta transizione digitale e verso un’economia basata sulla conoscenza;
- le disparità di reddito, di genere, fra le generazioni e i territori;
- la debole capacità amministrativa del settore pubblico.
Le linee d’intervento e le politiche da attuare con il Piano devono essere accompagnate da riforme di contesto, come quelle riguardanti la complessità e la lentezza della giustizia, alcune componenti del sistema tributario, il mercato del lavoro nella direzione di una maggiore equità. Il PNRR individua anche le priorità trasversali che attraversano tutti i diversi campi d’interesse che compongono il Piano: la Parità di genere, i Giovani e il Mezzogiorno.
Il Mezzogiorno, quindi, priorità trasversale del PNRR. Nei confronti di ciò, il Rapporto 2021 della SVIMEZ mostra perplessità: Centro-Nord e Sud, uniti nella crisi del 2020, sono divisi nelle previsioni della ripartenza: nel biennio 2021-22. il contributo del PNRR alla ripresa del Mezzogiorno è stimato dalla SVIMEZ significativo, ma non sufficiente a compensare la minore crescita tendenziale dell’Area.
Le perplessità della SVIMEZ discendono dai dubbi riguardanti la capacità delle regioni e degli enti locali del Sud di saper di fatto realizzare quanto stabilito – in sede di conversione del D. L. Semplificazioni Bis – con il vincolo che mediamente il 40 per cento degli investimenti del PNRR (che, ricordiamolo, sono stanziamenti e non veri progetti d’investimento) sia speso nel Mezzogiorno, e questo a causa sia della mancanza di una ricognizione puntuale dei fabbisogni d’investimento sia della difficoltà delle regioni e degli enti locali a partecipare alle gare. A quest’ultimo fine occorrerebbe anche che venissero superate la frammentazione e l’autoreferenzialità delle programmazioni regionali e locali, creando una governance condivisa, costituendo centri di competenza territoriali formati da specialisti nella progettazione e attuazione delle politiche di sviluppo in grado di supportare le amministrazioni pubbliche.
Al fine di rendere efficaci al massimo la capacità delle risorse del PNRR di sostenere lo sviluppo del Mezzogiorno, occorre ricordare che il predetto vincolo del 40 per cento è una misura media che non dev’essere ripartita casualmente fra le diverse componenti del PNRR, ma tenendo presente dei diversi effetti moltiplicatori che hanno gli investimenti delle diverse componenti, cercando di avere più (meno) del 40% nelle componenti con maggiore (minore) effetto moltiplicativo.
Va da sé che gli investimenti previsti nel PNRR devono essere programmati e realizzati in sinergia con gli investimenti finanziati con i Fondi Strutturali europei e con il Fondo di Sviluppo e Coesione nazionale, riuscendo quindi, forse, a velocizzare i tempi di programmazione e realizzazione degli interventi finanziati da queste altre fonti. Inoltre, complementare e aggiuntiva rispetto al PNRR dovrà poi essere la programmazione della politica di coesione 2021-27.
È comunque doveroso stigmatizzare il fatto che, a distanza di quattro mesi dall’approvazione ufficiale del PNRR, non si abbiano ancora dati precisi circa la ripartizione territoriale degli investimenti indicati nel piano stesso. Checché ne dica il primo capitolo del PNRR riguardo alle rilevanza della ripartizione territoriale degli investimenti, dal momento che il Mezzogiorno è indicata come una priorità trasversale del Piano, la conoscenza della quota parte effettiva delle risorse che saranno investite nel Mezzogiorno è ancora un segreto di Stato.
Daniele Ciravegna