Non ho l’ardire di ergermi a paladino del popolarismo. Però ho il coraggio di misurarmi per difenderlo da mani e parole che tanto lo temono da consigliar loro di impossessarsene. Anche approfittando della crisi morale che avvolge ogni manifestazione di presenza sociale organizzata. Questo non è un lavoro scientifico, è e vuole essere una riflessione politica.
Allora, dico subito che l’adesione ai valori storici del popolarismo e alla loro attualizzazione è il presupposto indefettibile per cambiare il Paese. Non vedo nient’altro in giro che presenti tutte le caratteristiche necessarie alle azioni di trasformazione politica. E rigetto come frutto di una gravissima sbandata interpretativa il tentativo di avvicinare al popolarismo il populismo forzando, indecentemente, la comune radice etimologica. Come si è fatto tra cattolici manifestamente imboniti dal frulliamo, dal proto e dal tardo grillismo.
Io credo fermamente che il popolarismo contenga la base di ciò che deve possedere un partito. Il popolarismo, un bel po’ di tempo dopo la sua enunciazione, concretizza il modello del “partito dei principi “ datoci in eredità da Hume. Simbolo della trasformazione politica pretesa dalla evoluzione dei diritti e simbolo del superamento delle “fazioni personali” e delle “fazioni per interesse”. Maurizio Cotta ci troverà echi del pensiero di suo padre (la nascita dell’idea di partito nel XVIII secolo).
Io sostengo che il popolarismo sintetizza proprio il “partito di principi”. Ed un Paese come il nostro che è tornato ad essere vittima di fazioni personali e di interesse, incistate nei partiti ha urgentissimo bisogno di una classe politica che del popolarismo sia interprete autentica. E non sia figlia di fazioni ed interessi. Per questo occorre dare uno sguardo approfondito all’indietro, al nostro passato. Per risalirlo in avanti. A tutti coloro che sono stati e sono collaborazionisti del populismo dobbiamo lanciare, in campo aperto, nella luce dei suoi principi, la sfida del popolarismo, attuato, punto per punto, in forma di proposta di governo e di assunzione di responsabilità.
“Ora la discussione deve passare dalle analisi alle indicazioni concrete…da un lato stiamo assistendo ad un tentativo di emarginazione o di strumentalizzazione del partito e dall’altro osserviamo una crescente sfiducia della gente verso le istituzioni…la nostra sfida è rivolta a ridare vigore all’iniziativa, alla strategia del partito e a ricostruire la fiducia della pubblica opinione verso la politica “. (Scotti, 14 gennaio 1984)
“Una verità storica: grazie a una grande forza Popolare come la DC, è stata possibile la TRASFORMAZIONE di questo Paese…le scelte non sono più fra destra e sinistra ma fra vecchio e nuovo…altrimenti la decadenza della politica, la sua estraneità rispetto ai problemi della gente tendono ad aumentare…vince chi è in grado di risolvere i problemi di oggi, non chi dice di aver risolto quelli del passato “. (De Mita, 16 gennaio 1984)
“Per raggiungere obiettivi così impegnativi la DC deve abolire le correnti “ (De Mita, 9 gennaio 1984)
“Il recupero schietto e trasparente della nostra identità è uno dei temi fondamentali del congresso…anche perché solo la chiara conoscenza del nostro essere politico…consente di procedere ad intese con altre forze politiche “. (Rumor, gennaio 1984)
“Potranno essere dibattute politiche diverse, ma sempre convergenti all’obiettivo dell’unità effettiva del partito e soprattutto che diano una risposta effettiva ai bisogni del Paese “.
Vi si attestarono tutti, in quell’anno. Ma poi nella pratica tradirono la loro stessa volontà e 5/6anni più tardi iniziarono a scomparire. Perché? La scienza della politica ha le sue risposte. La coscienza cristiana ne ha una, molto convivente: fu rimosso ogni senso di responsabilità. Tanto è vero che il successivo populismo ( dagli anni ‘90 ad oggi) ne ha fatto la base del consenso. Ma, metà del Paese, nella veste di corpo elettorale, non ha chiuso gli occhi. Intende reclamare il reingresso della responsabilità morale nella politica. Grande sfida!
Alessandro Diotallevi