Il tema del “presidenzialismo”, cioè il superamento della democrazia rappresentativa, in nome della personalizzazione della politica e del potere, per quanto non sia nuovo e percorra da tempo, in modo più o meno carsico, i meandri di una riflessione politica errabonda, che talvolta ha lambito anche le sponde della sinistra, è sì l’approdo ultimo del processo di involuzione del sistema e dello stesso costume politico che ha investito il nostro Paese, grazie alla fallimentare esperienza della seconda repubblica, eppure assume un significato politico e simbolico che va addirittura oltre.

I commenti, gli allarmi e le ilarità che l’argomento suscita in questi giorni fanno riferimento all’ ipotesi risibile e francamente patetica che l’operazione sia funzionale anche all’ascesa del Cavaliere al Colle. In effetti, è meglio non cadere nella banalità di una declinazione umoristica di tale prospettiva, che faccia da sipario utile ad occultare un’ intenzione di tutt’altro spessore. Un po’ come se Berlusconi fosse, in un certo senso, l’ “uomo dello specchio”, cui si finge di guardare come ad un vecchio zio un po’ stolido di cui soddisfare le ultime innocenti paturnie, in effetti distraendo lo sguardo dal vero obiettivo.

La Costituzione è il punto focale della storia italiana del ‘900, il presidio ed il cardine della coscienza democratica di un popolo risorto dalle macerie morali e materiali del fascismo e della guerra. E’ il baricentro di un’esperienza democratica che ha sanato il discredito caduto, anche sul piano internazionale, su un Paese di antica cultura umanistica e di consolidata civiltà, che, adottando le leggi razziali, ha sporcato la sua storia, facendosi solidale con il piò orrendo delitto che una ideologia perversa ha perpetrato nel cuore della civilissima Europa.

Ci siamo affrancati dal nazionalismo da baracconi che ha consegnato migliaia di italiani, di compatrioti, alla mano assassina dello straniero in nome di una sudditanza ideologica, sofferta in nome delle fantasie imperiali di un regime che ha stretto l’Italia tra il dramma e l’operetta. Che vi siano ancora, nella pancia profonda dell’Italia – e, ben inteso, senza necessariamente pensare a Giorgia Meloni che, com’è stato giustamente osservato, appartiene a tutt’altra generazione e, di per sé, neppure alla generalità del suo partito – ambienti di antica fede fascista, nonché eredi ed epigoni che ne conservano la memoria, sia pure in forme più edulcorate, i quali attendono e sognano una sorta di rivincita, nei confronti della storia repubblicana e democratica del Paese che la Costituzione incarna? Quasi ricercassero una ideale e simbolica vendetta postuma nei suoi confronti?

L’ attacco al ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica – che le parole di Berlusconi rendono sguaiato, al punto d’imbarazzare la stessa Meloni – l’ evocazione del “presidenzialismo” non hanno anche il sapore di un attacco frontale alla Costituzione come tale, il significato di un superamento della forma repubblicana, così com’è nata dalla Resistenza? Quasi si volesse chiudere tra parentesi – come fosse un incidente della storia – la vicenda democratica che, dal secondo dopoguerra, arricchisce un Paese che la democrazia non aveva mai conosciuto prima di allora?

Difendere la Costituzione, rinnovare la memoria delle sue origini, sollecitarne la conoscenza da parte delle più giovani generazioni, studiarne ancora le potenzialità che ci offre per affrontare, in condizioni di piena garanzia democratica, le sfide del tempo nuovo che siamo chiamati ad affrontare, rappresenta un impegno cui tener fede con la necessaria fermezza.

Domenico Galbiati

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