Molti commentatori si chiedono perché Giorgia Meloni non abbia sottoposto alle forze politiche che ha consultato un qualche progetto preciso di riforma costituzionale, che riprenda, se non altro – come rivendica la Lega – quanto prevede il programma elettorale della destra, che chiaramente pone la questione del “presidenzialismo”. Il quale, con ogni probabilità, continua ad essere nel cuore della Meloni e dei suoi fratelli, ma  si riserva evidentemente di verificare se tale percorso sia percorribile e come. Ovviamente, non può permettersi di andarsi a schiantare su un malaccorto tentativo di manipolare la Costituzione, com’è successo a Renzi.

In altri termini, probabilmente la Meloni, al di là della costante enfatizzazione della sua vittoria, non vuol correre il rischio di doversi misurare davvero con il popolo italiano, su un tema che è di capitale importanza, cioè, al di là del merito specifico della questione oggi in gioco, concerne, anzitutto, il rispetto in sé della Costituzione, la conferma di quel suo impianto di ideali e di valori che gli italiani, in più occasioni, hanno mostrato di avere a cuore e di non essere disponibili, in alcun modo, a compromettere. In altri termini, forse la Meloni è interessata a quel tanto ed a quel tipo di riforma costituzionale che possa attenere in Parlamento i 2/3 dei consensi, così da evitare il referendum confermativo.

Insomma, non è escluso che l’ impavida forza e la coriacea determinazione di cui Giorgia Meloni fa quotidianamente sfoggio, sia anche una forma di autorassicurazione, quasi volesse esorcizzate un qualche sottile timore. Non è tutto oro quel che luccica. Un conto è ottenere il consenso del 26% degli votanti, pesato sul 50% degli italiani o giù di lì, ed essere chiamati a governare il Paese per il tempo canonico di una legislatura, altra cosa e’ sentirsi autorizzati a mutare radicalmente la “ratio” di quella legge fondativa della nostra convivenza, in cui vive lo spirito di libertà e la voglia di riscatto di un popolo.

Quel che, in ogni caso, è certo – e perfino comprensibilmente dal suo punto di vista – è che la destra non si accontenta di quel che ha fin qui ottenuto, ma intende stendere sull’ Italia una egemonia culturale più radicata e profonda. E di questo disegno fa parte non un qualche ritocco alla Costituzione, ma, se mai riuscisse, attraverso il piede di porco del “presidenzialismo”, una sostanziale scomposizione del suo impianto.

Infatti, a questa mancata presentazione di un qualche progetto che consentisse alla consultazione di essere condotta non su auspici o petizioni di principio, bensì cogliendo l’occasione di un primo concreto confronto nel merito specifico della questione, ha, forse, concorso un altro fattore. Che sia “presidenzialismo” piuttosto che “premierato” e secondo quale declinazione, non esclusa la soluzione all’italiana, che pure la Presidente del Consiglio ha ventilato, il punto vero che la destra rivendica, a quanto pare, potrebbe essere di ordine politico generale, più che di carattere tecnico-istituzionale.

In buona sostanza, si tratterebbe di introdurre, perfino indifferentemente secondo questa o quella modalità, nel nostro ordinamento in luogo del principio di partecipazione democratica diffusa, un “principio di autorità”, che, sia pure solo nella forma oggi storicamente possibile, richiami, in qualche misura, una cultura politica che taluni nostalgici tuttora prediligono. Come se, in tal modo, ci si volesse prendere una sorta di rivincita, una qualche rancorosa rivalsa nei confronti di una vicenda democratica che ha cancellato un momento talmente, infelice e triste della nostra storia, da essere approdato al dramma della guerra civile. Eppure una stagione che taluni vorrebbero vendicare, appunto contro quella Costituzione che ne ha siglato la condanna.

Domenico Galbiati

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