Da una trentina d’anni e passa per effetto del Trattato di Maastricht e ancor più tangibilmente con il Patto di crescita e stabilità ci viene fortemente condizionata l’attività democratica nelle sue espressioni più vitali – dall’economia alle finanze, dal sociale alla sostenibilità – e addirittura viene imposto allo Stato italiano di modificare la propria carta costituzionale, introducendo l’obbligo della “parità di bilancio” come una sorta di primo comandamento, principio assoluto e invalicabile, sia pur trattasi di onere a carico di una nazione “libera e democratica”.
Questo paradigma di una classe politica “europeizzata” e globalizzata (vedremo cosa succederà alla fine della pandemia da COVID ’19) e di un sistema tecnocratico come quello di Bruxelles appartiene ad una strana concezione della moderna democrazia (ricordiamo che alla lettera significa: potere/governo del popolo) che non offre per lo più beneficio alcuno, né concrete possibilità per il cittadino italiano-europeo di partecipare attivamente al processo di sviluppo (sostenibile) in corso, nei suoi vari aspetti sistemici.
Attualmente l’Italia, che per prima nel “vecchio continente” e più d’ogni altro specialmente in Lombardia, la regione più colpita al mondo ad oggi, ha dovuto inventare una strategia per resistere al nemico invisibile, cosmico e finora invincibile, per quanto siamo ancora curiosi di sapere perché mai il Ministero della salute non avesse provveduto ad elaborare un piano nazionale anti-epidemia da SARS CORONAVIRUS (e il dott. R. Guerra ci potrebbe chiarire in cosa è consistito l’incarico triennale di I fascia o dir. gen. al Ministero della salute in tale campo!).
Ci troviamo, così, a dipendere dalle decisioni incerte e altalenanti dell’OMS, ove il Guerra, ora “prof.”, ha assunto l’alta veste di Direttore esecutivo; e per altro verso dagli organismi comunitari alle finanze dei quali noi, sia cittadini che autorità governative, contribuiamo anche più degli altri paesi-membri. Questi ultimi sono aumentati a dismisura e senza parametri obiettivi e chiari, senz’alcuna “governance” in tema di politica estera, di sostenibilità e resilienza del territorio, di wellfare, e così via.
A fronte di tali e tante carenze strutturali, di una visione programmatica a medio-lungo termine, dobbiamo pazientemente assistere, giorno dopo giorno, agli effetti catastrofici del cambiamento climatico a livello europeo, ultimamente persino in aree mediterranee, la qual cosa preoccupa un gran numero di scienziati persino più della pandemia! Il tutto mentre le principali istituzioni europee parlano il consueto “politichese”, restano o inerti o cinicamente ferme su posizioni di cortesia diplomatica, ma sostanzialmente inefficaci: divise tra il gruppo dei paesi “sovranisti di Visegrad”, quelli cosiddetti frugali ed ilgruppetto dei fondatori dell’U.E. tra cui l’Italia pende dalle labbra(ora piuttosto balbettanti) dei tedeschi e dei francesi…
Ma ciò che maggiormente ritengo che irrita il cittadino italiano è il fattore-tempo. Il presidente Conte è stato capace di strappare un’affermazione politica per l’enorme prestito di euro 209 mld a condizioni (ci dicono) super-vantaggiose, un paio di mesi fa; ma per l’efficacia operativa i tempi sono smisuratamente lunghi, tant’è che si parla della prossima estate (a Roma si dice “a babbo morto”…)! Alla faccia delle critiche, più che mai in voga attualmente, nei confronti dell’inefficienza della burocrazia nostrana e nonostante il fatto incontestabile che il personale della Commissione europea percepisce emolumenti “da favola” (un direttore generale “vale” il doppio circa di un nostro capo-dipartimento).
Vogliamo ricordarci di qualche altro aspetto negativo o tutt’altro che edificante? Ad esempio, il cosiddettp “damping fiscale”, molto diffuso da anni, che agevola artatamente potenti lobbies come i “giganti del web” (Facebook e Google in primis) nel ribasso o magari nell’elusione fiscale. Oppure l’indifferenza, l’intolleranza o l’irresponsabilità della maggior parte dei governi europei, incominciando da quelli dell’Est, tanto amati dalla Lega nord, i quali delegano volentieri e a pieno titolo la soluzione del fenomeno migratorio, in atto da circa una ventina di anni e che durerà presumibilmente altrettanto, avvalendosi della norma di diritto internazionale che obbliga il Paese di primo approdo alla necessaria accoglienza e alle conseguenti, onerose operazioni logistiche e amministrative.
Va sottolineato, altresì, che si tratta di una problematica che grava, oltre che sulle casse dello Stato, particolarmente su alcune località (Lampedusa in primo luogo) del Mezzogiorno d’Italia, già sofferenti, in cui cresce ovviamente il malcontento verso l’autorità politica, sia essa nazionale, sia europea, oltre alle opportunità illecite per le
organizzazioni criminali. Questa sistema “duale”, caratterizzato da un forte divario socio-economico tra le regioni del centro-nord e quelle del sud/isole va affrontato con serietà e competenza, sia da parte delle istituzioni nazionali e territoriali, sia da quelle comunitarie, per poter offrire una prospettiva democratica e di sostenibilità alle giovani generazioni meridionali, realmente alternativa all’espatrio, appunto in altri Paesi d’Europa.
Michele Marino