Ringrazio Luigi Ingegneri per avere ripreso la questione del civismo nel suo ultimo intervento ( CLICCA QUI ). Il tema è certamente centrale e prima di parlare di civismo vorrei  affrontare la questione della responsabilità civica e di come ciascuno di noi la sente. E’ un tema anche legato alla coscienza individuale e al senso di partecipazione che ognuno vive con la sua presenza nel ricercare il Bene Comune, con tutte le svariate sfaccettature, quali il rispetto della natura, dell’uomo e quindi di tutte le sue espressioni, anche nel suo impegno sociale per la cura, ma anche per la partecipazione al mantenimento delle condizioni minime indispensabile per lo sviluppo e per il futuro dei nostri figli.

È legato quindi anche alla “chiamata” di ciascuno. Essa si contrappone alla “rinuncia” a credere di essere fondamentali con il proprio apporto, perché richiama la responsabilità verso ciò che è comunque dovuto per il senso civico del partecipare.

La coscienza ed il senso di responsabilità civica non rappresentano ancora il pieno “civismo” che porta al pensiero  un’azione tesa verso un obiettivo, un progetto. Quell’ “ismo” è l’espressione di un “muoversi”, del “coinvolgersi”, l’opposto del fermarsi a guardare e, forse, anche del solo giudicare, attendendosi che altri si muovano per te.

Ma anche il muoversi, non può essere solo “populismo” fine a sé stesso, cioè orientato ad evidenziare solo ciò che non va, a criticare, a distruggere e dividere, con toni più o meno elevati, facendo leva sul suo primo impatto.  Significa, invece, penetrare realmente la responsabilità di dare un “contributo costruttivo” in funzione delle proprie capacità e talenti, ma come tale, per essere “costruttivo” non può essere un “individualismo” filosofico, ma deve incanalarsi in analisi, riflessione, proposizione ed azione.

Non può essere un individualismo autoreferenziale, di chi non sa tradurre un pensiero, un progetto, un’azione, con una pianificazione attenta di risorse e tempi, verso un risultato, che è l’obiettivo da raggiungere con il progetto.

E se si tratta di un progetto civico, questo civismo non può rimanere nella sfera del non realizzabile, perché non si intravede il potenziale del cambiamento. Non può essere autolimitato alla partenza, da confini di intangibilità o di incertezza di riuscire ad avere la forza, le risorse, il metodo, ma anche l’adesione, per una trasformazione da mettere in atto, o peggio dal pensiero che all’avvicinarsi alla Politica ci si “sporca le mani”.

E cosa è questa trasformazione se non un’azione Politica? Ma questa azione può essere condotta con una commistione tra la Vecchia e la Nuova politica.

Qui il limite diventa la discriminante che crea e diffonde quella forza del cambiamento, un cambiamento costruttivo, non distruttivo, inclusivo, ma ciò significa comunque libertà e forza, quella forza che viene dal coraggio di volti nuovi e nuovi metodi, che conquistano chi ti segue, non ti mescolano con il passato.

Non puoi aspettarti un’adesione da chi vede ancora per metà al tuo fianco l’immagine e l’impersonificazione di chi è già a lungo stato analizzato, valutato, soggetto alle dinamiche dell’arrivismo, della autoreferenzialità, dei vantaggi vissuti e pretesi, come i vitalizi a fine carriera, le pensioni politiche di alto livello.

Non può esserci futuro se non coraggioso. Non si può costruire un futuro su precedenti “relazioni” tra Politica e sostenitori di battaglie basate sulla divisione, ci vuole il reale coraggio di una chiarezza cristallina.

Il coraggio vero sta nel costruire certamente una via Politica organizzata e quindi certamente un Partito, perché il nostro sistema elettorale, per essere effettivamente soggetti politici chiede che ci si configuri come tali, altrimenti certamente il civismo diventa un virus, che si insinua, cambia aspetti, distrugge o crea reazioni, ma meno chiare e coraggiose, quasi inutili.

Lo sbocco del civismo non può che essere in una presenza “chiara”, ma Nuova.

Alberto Berger

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