L’aumento della povertà
La ricerca di ActionAid stima che oltre due milioni di famiglie in Italia scivoleranno in povertà assoluta a causa delle crisi economica determinata dalle misure di contenimento del Coronavirus. Rispetto al 2019, quando il numero di famiglie che vivevano sotto la soglia di povertà assoluta era di 1,7 milioni, si assisterebbe dunque a un raddoppio dei nuclei chi si trovano in tale condizione. Un dato impressionante, ma che appare in linea con le stime di altre organizzazioni – come il Banco Alimentare che già a maggio parlò di un possibile raddoppio dei poveri assoluti entro il 2021 – e che rappresentarebbe un nuovo record negativo per il nostro Paese. Da quando esistono le serie storiche sulla povertà assoluta (2005), infatti, il picco massimo toccato è stato di 1,8 milioni di famiglie nel 2018.
E poiché la povertà alimentare risulta strettamente legata alla dimensione della povertà economica, probabilmente ci troviamo di fronte a un livello del fenomeno mai registrato prima. Anche prendendo in considerazione altri indicatori, come quello di povertà relativa – le cui serie storiche arrivano più indietro rispetto a quelle della povertà assoluta, fino al 1997 – o dell’incidenza della povertà – su cui abbiamo numeri comparabili fino al 1980 – la musica non cambia: non sono mai stati rilevati dati peggiori delle previsioni fatte per l’anno in corso.
Pur sperando che le stime fatte da ActionAid e da altri osservatori (si veda anche la recente analisi di Censis-Confcooperative, peraltro ampiamente citata anche nel rapporto di ActionAid) siano più negative della realtà dei fatti, è possibile affermare che, con ogni probabilità, il fenomeno della povertà alimentare in Italia non è mai stato così grave. Almeno non negli ultimi 40 anni.
I problemi dei buoni spesa
Tornando al Rapporto, ActionAid ricorda che per afforntare l’emergenza alimentare durante il lockdown il Governo ha stanziato 400 milioni di euro da distribuire agli oltre 8.000 Comuni italiani per l’erogazione di buoni spesa e/o l’acquisto e distribuzione di generi alimentari e beni di prima necessità, da affiancare a risorse messe in campo dagli enti locali. Secondo il Rapporto la misura ha tuttavia mostrato molte criticità: criteri di accesso discriminatori, risorse insufficienti, modalità di accesso alla domanda non facilmente fruibili per tutti, tempi di erogazione (in certi casi) lunghi e non adatti alla situazione di emergenza.
A dirlo sono le analisi condotte in 8 Comuni (Torino, Milano, Corsico, L’Aquila, Napoli, Reggio Calabria, Messina e Catania). Oltre ai criteri di accesso, che hanno limitato l’accesso ai buoni spesa a molti potenziali beneficari, si è riscontrata la marginalità della povertà alimentare nelle politiche social territoriali, “che continua a venire vista più un sintomo che una conseguenza della povertà senza riconoscere il diritto umano ad un cibo adeguato” spiega il rapporto.
Il caso di Corsico
Per spiegare gli effetti di lunga durata della crisi scatenata dal Covid-19, il Rapporto si concentra sul caso di Corsico, centro dell’hinterland milanese che già prima dell’emergenza registrava la percentuale più elevata di poveri di tutti i Comuni dell’area.
Qui oltre 300 famiglie che, grazie anche al sostegno di ActionAid, ricevono aiuti alimentari da parte dell’associazione La Speranza, sono state intervistate. L’analisi mostra come a causa del lockdown siano cresciute vertiginosamente le persone che dichiarano l’impossibilità di reperiere quantità di cibo sufficiente a consumare abbastanza pasti quotidiani e una dieta inadeguata e poco diversificata, in cui si consuma poca o pochissima verdura, frutta e non si riesce garantirsi un pasto con carne, pesce, pollo ogni due giorni. Il Rapporto spiega che il 77% degli intervistati ha sofferto di episodi di grave insicurezza alimentare, avendo cioè dovuto saltare ripetutamente interi pasti per la mancanza di cibo sufficiente. Per gran aprte delle famiglie (135), questo è accaduto più di dieci volte al mese, con punte 20/30 episodi durante il lockdown.
Il perché di questa situazione è facilmente intuibile: le famiglie intervistate sono scivolate verso la povertà estrema a causa della mancanza di lavoro. Durante il lockdown in 138 dei nuclei presi in considerazione almeno un componente ha perso il lavoro; il campione indica che più della metà delle famiglie (177 su 316) risultava così privo di reddito da lavoro. A essere colpite, rivela il Rapporto, sono soprattutto le donne: “l’80% di chi richiede aiuto è donna tra i 22 e gli 85 anni, e ben il 91% delle donne in età da lavoro tra le famiglie considerate è disoccupata“. E ad essere colpiti duramente, come abbiamo avuto modo di raccontarvi, sono anche i più piccoli: nei nuclei considerati sono presenti ben 186 minori under 16.
Attori del secondo welfare in prima linea, ma bisogna fare pressione sul Pubblico
Accanto alle misure pubbliche – che come descritto più sopra scontano problemi di accesso, risorse e strategia – nei mesi della pandemia si è incrementata anche la solidarietà alimentare di attori del secondo welfare. Oltre alle organizzazioni solidali che già operano in questo campo (pensiamo alle Caritas, a Banco Alimentare o ai Banchi di Solidarietà), sono infatti migliaia i volontari organizzati in associazioni e gruppi spontanei che hanno strutturato e coordinato le attività solidali favorendo l’emersione delle necessità, avviando nuovi interventi e sviluppando reti inedite tra realtà operanti sulle stesse problematiche. ActionAid, ad esempio, in questi mesi si è attivata a Corsico e a Napoli per la distribuzione dei beni alimentari e ha sostenuto il Coordinamento Aurora per l’emergenza Covid-19 a Torino.
L’ampiezza dell’emergenza alimentare, la sua interdipendenza con anni di austerità e di progressiva diminuzione di interventi dello Stato – a cui fa da contraltare l’incremento delle diseguaglianze – e la difficoltà delle organizzazioni non-pubbliche di affrontare una domanda di aiuto in continua crescita – impongono di pensare a nuove e ulteriori forme di intervento.
Roberto Sensi, Policy Advisor Global Inequality ActionAid Italia, in tal senso spiega che “è necessario dotare il nostro Paese di un quadro di interventi centrati sul cibo come diritto umano fondamentale nel contrasto alla povertà alimentare. Sarà necessario fare pressione sulle istituzioni perché elaborino efficaci strategie di contrasto alla povertà alimentare, e che siano supportate da risorse adeguate”. Tra le propsote concrete c’è quella di “garantire l’accesso universale a bambine e bambini alle mense scolastiche” e anche di “inserire nella prossima Legge di Bilancio un fondo di solidarietà alimentare che disponga di nuove risorse addizionali e che tenga presente della crisi attuale. Il cibo deve tornare a rappresentare un’opportunità non solo di sostenibilità e salute, ma anche di equità per tutte le comunità del nostro Paese”.
Lorenzo Bandera
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