Come ci ha ricordato Giancarlo Infante, la nascita di Insieme ha suscitato molti commenti ( CLICCA QUI ).Di varia estrazione e di varia natura. Accomunati, quelli negativi, da una evidente sproporzione tra la critica serrata e l’interesse mostrato.

Francamente non si comprende l’aspro accanimento di taluni nei confronti di una iniziativa che loro stessi giudicano di nessuna consistenza e destinata ad un clamoroso flop. Tanto varrebbe lasciar perdere e consentire al tempo di far presto giustizia della presunzione di chi tanto ha osato sfidare opinioni avverse talmente autorevoli. Altresì accomunati – e questo vale per tutti o quasi – da una conoscenza di cosa intenda essere Insieme, del tutto parziale e frammentaria, evidentemente maturata sul filo di lana, nei giorni stessi in cui, ad inizio mese, si è tenuta a Roma, l’Assemblea di fondazione.

In sostanza, senza alcun reale approfondimento e senza niente conoscere del lungo iter che ha preceduto il varo dell’iniziativa. Che in nessun modo è spuntata, dalla sera alla  mattina, come un fungo dopo una abbondante pioggia, come un commentatore incauto – cui abbiamo già risposto per altri profili –  ha ritenuto di poter sostenere: in virtù, cioè, di una possibile riforma in senso proporzionale della legge elettorale, che consentirebbe ad un sparuto gruppo di sprovveduti di mirare a qualche strapuntino nel prossimo Parlamento.

In effetti, per limitarci agli ultimi due anni, chi avesse avuto la pazienza di seguirci, avrebbe constatato come – se non altro da quando ne abbiamo avviata la pubblicazione, dai primi giorni dell’ aprile 2019 – il nostro giornale on-line abbia quotidianamente proposto, comprese le domeniche e le feste comandate, una numerosità di contributi, da parte di una schiera via via più ampia di autori, tale da rappresentare – e non è poca cosa, per quanto non sia balzata, più di tanto, agli onori della cronaca –  forse lo spazio di più ampia,  libera ed originale elaborazione politica che si sia avuta in questa fase di scadimento del confronto politico.

Soprattutto avrebbe toccato con mano come vi sia stata una coerenza interna a questo dibattito tale da far emergere una linea politica univoca e puntuale. Cosicché molti interrogativi che oggi ci vengono rivolti criticamente neppure avrebbero avuto ragione di essere avanzati, visto che avrebbero già trovato in quelle note ampia delucidazione.

Fa eccezione il commento  che ci riserva, su Settimananews, Franco Monaco, con una intonazione pacata, civile ed argomentata, che, anche laddove confligge con le nostre opinioni, si pone nelle forme di un possibile ed utile dialogo. Che, per quanto ci riguarda, merita, da parte nostra, alcune puntualizzazioni. Anzitutto, in ordine alle “pochissime possibilità di successo” che ci vengono attribuite.

Noi siamo del tutto consapevoli – lo abbiamo ripetuto in più occasioni – che la nostra è una scommessa difficile e per nulla scontata e sappiamo altrettanto bene che quando si parla di “successo” di una forza politica, immediatamente ci si riferisce al consenso elettorale possibile o presunto. Ma è davvero soltanto così in un tempo che, a nostro avviso – come recita il nostro originario Manifesto ( CLICCA QUI ) ed a seguire il Documento politico-programmatico ( CLICCA QUI ) – esige una tale “trasformazione” copernicana, da mettere in dubbio o addirittura rovesciare consolidati parametri e tradizionali categorie di giudizio?

Noi siamo perfettamente consapevoli dei nostri limiti – e ci teniamo a ribadirlo, a scanso di ogni possibile equivoco – per cui non ci impanchiamo in confronti azzardati. Eppure Don Sturzo avrebbe mai fondato il Partito Popolare, se si fosse  prima preoccupato di quante fossero le sue possibilità di successo? In effetti, come lo si misura?

Per parte nostra, un dato è rilevante: piuttosto che un ruolo di potere, ci attribuiamo un compito di verità. Vorremmo, cioè, concorrere a riportare una misura di oggettività in un confronto politico slabbrato, condotto con i toni dell’invettiva piuttosto che del ragionamento, ricollocando al centro del dibattito ( e questo, non altro, è l’unico “centro” di cui ci preme) le questioni che stanno davvero a cuore agli italiani ed, altresì, argomenti che, per la loro intrinseca complessità, si preferisce ipostatizzare in questa o quelle foggia ideologica, ora da parte di questi, ora di quelli, così da evitarli, trasformandoli in tabù, quindi intoccabili, territori non transitabili.

Pensiamo avesse ragione De Rita quando, oltre dieci anni fa, in un convegno del MEIC, sosteneva che i cattolici devono recuperare “con orgoglio e meno timidezza la loro visione del mondo, basata sulla centralità della persona”, aggiungendo che “i numeri in democrazia non sono tutto……c’è qualcosa di più profondo: ovvero che l’uomo, quando si occupa del mondo, partecipa all’opera della Creazione”.

Vien da dire che dalle nostre forze non presumiamo tanto, eppure pensiamo, ad esempio, che oggi la politica, anziché esclusivo appannaggio del “palazzo” – inteso sia come luoghi istituzionali che forze politiche ivi rappresentate – vada piuttosto concepita in quanto “funzione diffusa”, che compete a chiunque la sappia fare, ad esempio, le più’ varie e significative espressioni della società civile. Questo, ovviamente, è possibile solo se, come noi riteniamo, per “politica” non si debba intendere solo l’occupazione di postazioni istituzionali, ma piuttosto l’attitudine a “pensare politicamente”, come ci suggeriva Lazzati.

E’ vero che abbiamo dato vita ad un partito, eppure pensiamo  debba avere una duplice funzione: concorrere al “governare” le cose e gli eventi, nella forma e nei limiti che la sua capacità di iniziativa e di consenso gli permetteranno, ma anche il compito, se così si può dire, di “snidare” la politica dal palazzo e riportarla  tra la gente. E per far questo, la “formazione delle coscienze” non basta. E’ indispensabile e fondamentale, ma non esaustiva.

La politica non è dottrina, tanto meno politologia, ma, anzitutto, vita vissuta, esperienza e, se correttamente condotta, rappresenta una straordinaria sonda capace di penetrare quella dimensione strutturale più vera delle questioni che, via via, ricorrono nella vicenda civile di un popolo, tale da renderlo effettivamente protagonista della sua vita.

Come i bambini, nella prima fase del loro sviluppo cognitivo, “pensano” solo ciò’ che manipolano, così il “pensare politicamente” si apprende non in una qualche più o meno celebrata accademia, ma esercitandone dal vivo la funzione. Guai se non fosse così: smarrirebbe la sua intrinseca dimensione popolare e democratica ed altro che “casta”…per definizione competerebbe solo agli “ottimati”.

Per questo è necessario non limitarsi alla “formazione delle coscienze”, ma proporre un luogo espressamente di “azione politica”, in cui i credenti, in costante dialogo con chi non crede e con i linguaggi che oggi pensano di dar conto del mondo “etsi Deus non daretur”, elaborino le vie necessarie a penetrare in un domani  nebuloso, eppure ricco di straordinarie potenzialità.

Mi sono dilungato troppo.

Senonché Franco Monaco dice, nella sua nota che ricordavo sopra, altre cose di particolare intelligenza politica – com’è, del resto, nel suo costume – in ordine  al “rifare la DC” (che con noi nulla ha a che vedere), circa la nostra “terzietà ( solo e del tutto presunta) e sulla divisione politica di una cristianità minoritaria. Questioni su cui è necessaria tornare in altra occasione, magari una per volta.

Così da chiarirci davvero, almeno con chi non è mosso da un pregiudizio, come, invece, succede a coloro che continuano noiosamente – e per il comodo loro – a dipingerci come espressione politica di un “integralismo cattolico” che neppure ci sfiora.

Domenico Galbiati

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