L’antefatto: due mesi fa Washington dava la notizia di un nuovo accordo per la sicurezza denominato AUKUS, che sta per Australia, Regno Unito e Stati Uniti. In breve, si tratta di un’alleanza diretta a far fronte alle iniziative spesso provocatorie della Cina nell’area indo-pacifica.
In parallelo veniva comunicata la notizia della fornitura all’Australia da parte americana di dodici sottomarini a propulsione nucleare con tecnologia statunitense e britannica. Verranno costruiti ad Adelaide con la collaborazione tecnica di inglesi e americani. Questo contratto ne cancella uno firmato nel 2016 con la Francia per l’acquisto di altrettanti sottomarini d’attacco a propulsione convenzionale e rende concreto questo partenariato che va ad aggiungersi alla precedente alleanza quadrilaterale tra India, Stati Uniti, Australia e Giappone.
Per l’Australia si tratta di un passo importante, poiché ne farebbe il primo paese senza armi atomiche ad ottenere sottomarini a propulsione nucleare. L’annuncio ha lasciato esterrefatti i francesi, che hanno mal digerito questo dietrofront unito alla perdita di un sostanzioso contratto corrispondente a circa 56 miliardi di euro. Il Ministro della Difesa Florence Parly ha dichiarato in risposta che “La Francia cercherà di garantire che qualsiasi contraccolpo finanziario all’azienda Naval Group sia limitato”. Non ha poi escluso che la Francia possa chiedere un risarcimento all’Australia.
Furibondo, il Ministro degli Esteri Le Drian ha parlato di “pugnalata alle spalle”. Ha poi aggiunto di essere “oggi in collera e colmo di amarezza. Non ci si comporta in questo modo tra alleati”. Ha proseguito descrivendo il comportamento americano come “unilaterale, brutale ed incomprensibile”. Parigi si è dichiarata sconcertata dall’agire degli Stati Uniti, tale da far ricordare i modi di Trump. Quest’accordo è stato visto come un vero e proprio schiaffo, una doccia fredda che non potrà non incrinare la fiducia verso Washington. Il Presidente Macron – va ricordato – si era recato nel 2018 in Australia con l’intento di costituire un asse strategico Parigi-Delhi-Canberra.
Alcune immediate conseguenze: la risposta di Pechino a questo nuovo accordo non si è fatta attendere. La Cina ha descritto il passo come del tutto irresponsabile e le cui conseguenze potrebbero minare la pace regionale. Secondo il suo punto di vista, Washington sta cercando di accerchiarla. Ha poi aggiunto che la cosa non farà che intensificare la corsa agli armamenti e compromettere gli sforzi internazionali verso la non proliferazione nucleare. In poche parole, questo contratto esprime un comportamento ipocrita e la volontà di giocare una pericolosa partita geopolitica.
Per l’Europa, che in tutte queste faccende di fatto non ha un ruolo, si è trattato dell’ennesimo scacco politico che ne sottolinea l’irrilevanza: questo aumento delle tensioni nell’area del Pacifico la rende marginale e mostra quanto poco conti. L’episodio dovrebbe essere motivo di riflessione e portare Bruxelles a rinforzare l’alleanza strategica in seno all’Unione, superando le divisioni sulla questione dell’autonomia strategica.
Lo sguardo degli Stati Uniti si sta ormai volgendo verso l’Asia e questi mostrano di voler unire i loro alleati anglofoni per contrastare l’aggressività di Pechino. Tra le tre nazioni vi sono valori comuni ed un rapporto di fiducia diverso e più profondo rispetto agli altri paesi, anche se alleati. Washington si rende ben conto che per gli europei è più difficile guardare alla Cina come ad una minaccia strategica. A Bruxelles non si è ciechi di fronte alla forza cinese ma la tendenza va più verso il dialogo che verso lo scontro.
Molto più flemmatico, il Premier inglese Boris Johnson ha parlato di una decisione che contribuirà “alla pace e alla sicurezza nel Pacifico”. Ha voluto evidenziare l’importanza di questa alleanza che ha fatto salire il suo paese di un gradino sulla scena internazionale. La cosa non è dispiaciuta a Londra, che deve in qualche modo rimediare ai finora non brillanti risultati della Brexit di cui il premier si era fatto portatore. Come per gli Stati Uniti, è anche per lui importante assistere alla nascita di un blocco anglofono da opporre alla Cina.
Più ambigua la posizione dell’Australia, tradizionalmente ostile al nucleare che si trova adesso in una situazione di vassallaggio di fronte a quest’iniziativa. Si rende comunque conto di avere nella Cina un vicino molto ingombrante del quale comincia ad aver paura. Meglio dunque disporre di mezzi navali nuovi nell’area ed entrare in questa nuova alleanza politico-militare accettando la leadership di Washington e ponendosi sotto la protezione del suo ombrello.
Il Premier australiano Morrison ha voluto comunque informare che a bordo di questi nuovissimi sottomarini non vi saranno armi nucleari. Quello che offrono è un’autonomia illimitata, indispensabile per una nazione a vocazione oceanica circondata da immensi spazi marittimi. Sono molto silenziosi e perciò invisibili ai radar e ben capaci di navigare nel Mar della Cina. Questo contratto significa che oggi il mondo ha un nuovo epicentro, quello che gli Stati Uniti chiamano lo scacchiere indo-pacifico, l’area più ricca, dinamica, produttiva e popolata del mondo.
In conclusione, se ai tempi della Guerra fredda la presenza americana nel Pacifico era preponderante, oggi Washington vi vede emergere una nazione nuova che non sta sempre al gioco. Ha così riconosciuto nella Cina e nel suo leader dei nuovi e temibili avversari. Questa preoccupazione, già viva negli anni dell’amministrazione Obama, aveva indotto il paese a riposizionarsi e spostare l’asse della sua politica estera verso l’area indo-pacifica. Pure Trump ne aveva seguito le orme e di questa linea Biden è oggi l’erede. La rivalità tra Stati Uniti e Cina è andata intensificandosi in una partita che non è solo economica, geopolitica e militare ma implica anche una diversa rappresentazione del mondo.
A questo punto lo sguardo non può che cadere sull’Europa e indurre ad una riflessione di non poco conto: cosa vorrà essere domani e quale il suo ruolo nel mondo? Impossibile adesso non affrontare il tema della politica estera e della difesa. In gioco non vi è solo la protezione dei suoi interessi e la garanzia della sua sovranità, ma anche l’autonomia politica e strategica del continente.
Tentativi di riconciliazione: sottolineando la necessità di assicurare nel lungo termine la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica, Joe Biden ha cercato di consolare la Francia evidenziando il suo contributo alla prosperità e alla sicurezza della regione. Per Washington, Parigi resta un alleato chiave.
La cosa non si è mostrata facile. Parigi ha subito annullato una cerimonia prevista a Washington per sottolineare l’unità della Marina francese con quella americana e commemorare la vittoria sull’Inghilterra nella baia di Chesapeake di due secoli fa. Ha poi richiamato il suo ambasciatore da Washington facendo lo stesso con quello a Canberra.
Biden, sottolineando l’imperativo di assicurare nel lungo termine la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica, ha subito cercato di consolare la Francia, mettendo in evidenza il suo contributo alla prosperità e alla sicurezza regionale. Ha poi fatto sapere che tra il suo paese e la Francia vi saranno in futuro delle consultazioni approfondite al fine di garantire e rinsaldare la fiducia. Su alcuni dossier la Francia verrà accontentata.
Vi saranno consultazioni in numerosi campi, tra i quali quello della sanità, della ricerca scientifica, del cambiamento climatico, della difesa europea ed anche dello sviluppo di sistemi d’arma in comune. Questi fatti sono emersi nel corso di alcune consultazioni tra esponenti dei due governi. Importante è stato l’incontro a Parigi tra il Segretario di Stato Antony Blinken ed il suo omologo francese Le Drian. Già da tempo vi erano tra i due legami personali. Blinken inoltre parla il francese ed è considerato un estimatore della Francia. Lo scopo dei colloqui era di consolidare i rapporti tra le due nazioni.
All’Eliseo si è tenuto poi un successivo incontro con Macron. Il benvenuto è stato caloroso ed è servito a far scemare le tensioni e ricucire i rapporti incrinati anche dai quattro anni di presidenza Trump. Antony Blinken ha confermato il ritorno degli Stati Uniti sulla scena europea e la disponibilità di Washington a far da esempio e mostrarsi aperta a discutere una serie di temi ai quali Parigi è interessata. Si tratta in breve di ristabilire il multilateralismo e tornare all’idea che sarebbe bene consultarsi e decidere insieme. Blinken ha anche sottolineato la necessità di avere partner utili per affrontare Cina e Russia.
La pace è stata finalmente siglata a Roma nel corso delle recenti giornate per il G20. Il Presidente Macron aveva chiesto che il suo incontro con Biden avvenisse in una sede francese, in questo caso Villa Bonaparte, l’ambasciata di Francia presso la Santa Sede. Nel corso dell’incontro, il Presidente americano ha voluto ricordare l’importanza del “più antico alleato” degli Stati Uniti e assicurare che i due paesi continueranno a lavorare insieme.
Riconoscendo la presenza della Francia nell’area del Pacifico e le ambizioni che vi detiene, ha sottolineato la necessità di rafforzare la cooperazione in quella stessa regione e di guardare al futuro. Biden ha poi aggiunto che è stato maldestro nel non informare la Francia sull’accordo raggiunto con l’Australia. Entrando più nel personale ha raccontato che la sua nonna paterna discendeva da ugonotti francesi emigrati in Pennsylvania. Da lì il suo secondo cognome Robinette. La ritrovata armonia tra le due nazioni si è estesa anche alle consorti dei due presidenti, che insieme chiacchieravano e sorseggiavano vino bianco nel centro di Roma.
Il viaggio in Francia di Kamala Harris: la Vicepresidente americano Kamala Harris si è poi recata a Parigi per un soggiorno della durata di cinque giorni. Non sono pochi e sono serviti a segnalare l’importanza di questa visita, che va letta anche nell’ottica di riparare i rapporti tra Stati Uniti e Francia a seguito dell’incidente sul contratto dei dodici sottomarini commissionati dall’Australia. Si è trattato per lei di riprendere le recenti aperture del presidente Biden al fine di ricucire i rapporti tra i due Paesi.
La Harris è stata ricevuta all’Eliseo da Macron e ha poi partecipato di fronte all’Arco di Trionfo e alla tomba del Milite Ignoto alla prima parte della cerimonia per le esequie di Hubert Germain, recentemente morto all’età di 101 anni ed ultimo superstite dell’Ordine dei Compagni della Liberazione. Si tratta di un gruppo di 1038 persone, tra le quali sei donne, che hanno incarnato gli ideali del movimento della Francia Libera e della Resistenza al Terzo Reich e al regime di Vichy. Ha anche assistito alla commemorazione dell’armistizio seguito alla fine del primo conflitto mondiale.
Successivamente ha preso parte alla Conferenza sulla Pace voluta dallo stesso Presidente francese. Si tratta di un Foro aperto a coloro che cercano di elaborare delle regole e delle competenze per dare una risposta ai problemi del mondo. Nel suo discorso ha pronunciato le seguenti parole: “In questo momento cruciale, se uniamo le nostre forze non vi è sfida che non siamo in grado di affrontare”. Si è poi appellata ad ogni paese affinché agisca all’interno dei propri confini non dimenticando però di mostrare anche “solidarietà internazionale”. Dal canto suo, Macron si è dichiarato felice “di vedere gli Stati Uniti rientrare nel circolo del multilateralismo. E’ stata per noi tutti una notizia formidabile. Grazie, perché credo che questo sia il posto che appartiene agli Stati Uniti”.
Il giorno successivo la Harris ha partecipato alla Conferenza internazionale sulla Libia organizzata allo scopo di assistere quel Paese nel percorso di transizione politica in vista delle elezioni del prossimo 24 Dicembre. La sua è stata una presenza soprattutto simbolica, dato il diminuito ruolo degli Stati Uniti a seguito dell’uccisione a Bengasi del loro ambasciatore nel 2012. In un tweet ha così riassunto il suo ruolo: “Ho discusso di come stiamo operando per aiutare i libici. Gli Stati Uniti si sono impegnati ad agire diplomaticamente per promuovere una Libia che sia più stabile, democratica e giusta”.
Questo viaggio in Francia può essere considerato un gesto simbolico. Per i francesi il loro è stato il primo paese alleato della nascente repubblica americana ed in seguito il primo a riconoscerla come nazione. E’ anche uno dei pochi paesi europei contro il quale gli americani non hanno mai combattuto. Non è dunque un caso che nel corso della sua missione la Harris si sia recata in visita al cimitero militare americano di Suresnes. In risposta, ha voluto sottolineare il debito che la Francia ha verso gli Stati Uniti: nel corso di due guerre mondiali migliaia di soldati americani sono sbarcati in Francia e molti di loro hanno dato la vita per liberarla dall’invasore e restituirle la libertà.
La Harris, Biden e la vicepresidenza: Joe Biden ha inviato a Parigi il suo vice perché lui era appena rientrato dall’Europa. Vi si era infatti recato per il G20 di Roma, dove aveva anche incontrato il Papa, ed in seguito aveva partecipato alla COP26 di Glasgow sul cambiamento climatico.
Appena tornato a Washington si è dovuto confrontare con impegni urgenti, soprattutto il passaggio del suo progetto di legge sul rilancio interno. La prima parte, riguardante le infrastrutture, è stata approvata con il voto di 13 repubblicani. La seconda, sulle questioni sociali e la sanità è rimasta invece bloccata per uno scontro tra l’ala moderata e quella di sinistra all’interno dello stesso Partito Democratico.
Il passaggio dell’intero pacchetto è per lui molto importante in vista delle prossime elezioni di medio termine. Deve anche rimediare alle molte critiche subite per le modalità con le quali è stato condotto il ritiro dall’Afghanistan ed al recente schiaffo subito in Virginia con l’elezione del nuovo Governatore, il repubblicano Glenn Youngkin. Una sconfitta in queste elezioni comporterebbe per lui il rischio di perdere il controllo della Camera e del Senato e gli renderebbe molto complicato il proseguimento della presidenza.
Oltre che per ricucire i rapporti tra le due nazioni, è possibile che Biden l’abbia inviata in Francia per lanciarla sulla scena internazionale. E’ noto che la Harris non si distingue per competenza in materia di politica estera e dato il suo ruolo di vicepresidente sarebbe opportuno dargli l’occasione di farsi vedere all’estero ed acquisire esperienza.
In precedenza si era recata in Vietnam e a Singapore. E’ stata il primo vicepresidente a visitare il Vietnam a quasi cinquant’anni dal ritiro americano. Ad Hanoi, parlando anche di cooperazione economica e sociale, ha sostenuto l’importanza di rafforzare i legami economici e di sicurezza tra i due paesi. Ha anche affrontato il problema di Pechino, soprattutto alla luce delle sue operazioni nel Mar della Cina meridionale.
A Singapore, solido partner degli Stati Uniti nella regione, si è incontrata con il Presidente ed il Primo ministro. Ha parlato dell’evacuazione dell’Afghanistan e sottolineato l’importanza di contrastare la crescente influenza della Cina sia in campo economico che di sicurezza. “Siamo oggi a Singapore per sottolineare e riaffermare i nostri rapporti duraturi con questo Paese e quest’area e rinsaldare la nostra visione condivisa di una regione indo-pacifica libera e aperta”. Queste sono state le sue parole.
A sua volta, il Premier di Singapore Lee ha affermato che la percezione della risolutezza e dell’impegno americano sarà determinata “da ciò che d’ora innanzi faranno gli Stati Uniti, da come si riposizioneranno nella regione e dagli impegni che si assumeranno con i loro numerosi amici, partner e alleati”.
Le sue altre esperienze al di fuori del paese sono consistite in una missione in Guatemala ed in Messico. Vi ha dovuto soprattutto affrontare la questione migratoria della quale le era stato affidato il dossier, da molti considerato come una patata bollente. Come non si è distinta in questo campo, non può dirsi essere stata presente nei momenti cruciali e sino ad oggi non ha svolto nessun ruolo di rilievo nell’amministrazione. I sondaggi la danno attualmente al 28%, il che è piuttosto poco.
La Harris – ricordiamolo – ha ottenuto questo suo ruolo per ragioni politiche, soprattutto perché donna di colore e figlia di immigrati. Malgrado le sue ambizioni già emerse in precedenza, non penso abbia molte possibilità di candidarsi per le prossime presidenziali. Agli occhi di molti manca di sostanza e non esprime nessun progetto sul futuro del paese. E’ soprattutto uno strumento politico nelle mani della Casa Bianca. E’ bene ricordare che su 49 vicepresidenti, ad essere poi eletti sono stati sono in 6.
Nella Costituzione degli Stati Uniti il ruolo del Vicepresidente non è mai stato chiaramente definito. Non è perciò un caso che fino a tempi recenti sia stato visto come essenzialmente secondario. Si è sempre trattato di una scelta politica utile a rinsaldare gli equilibri all’interno del partito vincente ed offrire la possibilità alla figura del candidato di ottenere più consensi. Consisteva soprattutto nel rappresentare il capo dell’esecutivo quando si trovava ad essere occupato o quando l’evento non era di sufficiente importanza da necessitare la sua presenza. Solo a seguito della presidenza di Bush padre e poi di Clinton questa figura è riuscita ad ottenere un ruolo di maggior rilievo. In caso di morte o di inabilità temporanea del presidente in carica è lui a prenderne il posto.
Macron e il contesto politico francese: per Macron, già in campagna elettorale, questo evento insieme al contesto nel quale si è svolto, è stato comunque importante. Egli si muove nel quadro di una strategia che ne vuole evidenziare l’immagine e rinforzare la mano in vista delle imminenti presidenziali. Sa di non essere popolare e cerca ogni occasione per consolidare la sua immagine sottolineando il suo ruolo e le sue capacità nel rappresentare e difendere l’interesse nazionale. Così facendo, egli cerca di proiettare l’immagine di una Francia ancora grande e rispettata nel mondo, distanziarsi dai suoi avversari dandosi una statura internazionale e puntare i riflettori sulla Francia.
Si tratta anche per lui di sventare la sfida interna della destra. Credo però che con la Le Pen e Zemmour che litigano tra di loro egli possa sentirsi meno sotto pressione da quel lato dello spettro politico. In quanto alla sinistra, a parte le divisioni che la percorrono, nessun candidato in grado di sfidarlo con successo sembra emergere. Nel 2017, Macron aveva beneficiato del crollo dei due partiti tradizionali sui quali si era retta la politica francese. Oggi, né la destra né la sinistra si sono mostrate capaci di rinnovarsi e salvo i loro estremi, tutti dicono più o meno le stesse cose ed esprimono concetti simili.
Proiettando l’immagine di un leader dinamico, rispettato all’estero, con i giusti contatti internazionali e capace di dare alla Francia un ruolo di rilievo nel mondo, egli spera di sbaragliare gli avversari ed essere rieletto.
Alcune riflessioni finali: malgrado l’importanza che il presidente francese voglia attribuire al suo paese, è bene ricordare che per gli Stati Uniti l’epicentro della loro azione internazionale non è più l’Europa, ma la Cina e in generale l’area indo-pacifica. E’ lì che risiedono le loro priorità e faranno il possibile per imbarcare con loro un’Europa indecisa sull’atteggiamento da assumere nei confronti di Pechino. Lo scacchiere pacifico ha ormai per gli Stati Uniti un’importanza ben maggiore di quello atlantico.
Per Washington l’interlocutore più importante in Europa resta sempre la Germania. Se da un lato l’America è di ritorno, dall’altro la sua sfida principale è quella rappresentata dalla Cina. La rivalità tra queste due nazioni è andata di recente intensificandosi e si sta manifestando in modo particolare riguardo il futuro di Taiwan. Biden aveva dichiarato alle Nazioni Unite che il mondo è a un giro di boa e che non intende lanciarsi in una crociata contro la Cina. Ciò però non vuol dire che non vi sarà competizione.
Edoardo Almagià