In vista del congresso di Insieme, desidero sottoporre a tutti gli amici le seguenti note estremamente sintetiche. Esse non vogliono essere né considerazioni di carattere generale né riflessioni di principio, ma piuttosto concrete modalità di verifica attorno ad alcuni nodi che percepisco come critici del percorso che stiamo muovendo.
1- Il primo ambito che sento urgente sottoporre è quello della inclusività e lo faccio ponendo una domanda.
Prima, però, avanzo una premessa: che l’obiettivo che gli amici di Insieme si pongono on è quello di cristianizzare o peggio, “cattolicizzare” la politica. La presenza (speriamo abbondante) di non credenti tra di noi ci salva da un rischio terribile: il clericalismo. La stessa Chiesa Cattolica, nella sua gerarchia, sta faticosamente provando a superare il clericalismo, Dio non voglia che il mondo laico e civile lo conservi!
Ma venendo alla domanda, chiedo: ci sono alcuni non credenti tra di noi? Ce n’è almeno uno? È evidente che non sto suggerendo di sottoporre un questionario agli aderenti sulla loro fede… ma è una domanda che dobbiamo porci. Stiamo riuscendo a coinvolgere anche chi non parte dalle premesse di fede cristiane e cattoliche?
2- Segue una seconda domanda estremamente collegata: la nostra modalità comunicativa è efficace? Come intendiamo veicolare anche a chi non ha il nostro linguaggio che affonda le sue radici nella tradizione cristiana quei messaggi che riteniamo universalmente condivisibili? Riusciamo a comunicare la nostra diversità rispetto a vecchie edizioni novecentesche, alla vecchia DC, agli ormai triti “partiti dei Vescovi”? Ragioniamo e dunque comunichiamo ancora con categorie del secolo scorso?
3- Ed ecco una terza domanda: ci sono giovani tra di noi? Intendo, per dare anche un doveroso riferimento anagrafico, che sono nate negli anni a cavallo del crollo del Muro di Berlino o, ben venga, alcuni anni dopo? Ci sono persone che hanno conosciuto con profondità le storie della Resistenza e della prima Repubblica dalle
testimonianze dirette e dai libri ma che hanno vissuto la loro vita nell’epoca del crollo delle ideologie, del digitale, della società “liquida”? E soprattutto, siamo disposti a lasciare loro spazio? Questa domanda ha direttamente a che fare con un concetto caro alla nostra, se pur breve, storia, quello di generatività. Un progetto che non coinvolge i giovani è un progetto che nasce morto.
Desidero, in ultimo, lanciare un breve spunto per un impegno concreto. Una via possibile per coinvolgere i giovani (di certo non l’unica e non per forza la più efficace ma solo quella che viene in mente a me) è la fondazione di alcune scuole di alta formazione curate e dirette da persone sapienti (e non ci mancano), ad esempio master universitari di ambito politico ed economico che rilascino un titolo spendibile nella vita personale dei giovani (importantissimo per un giovane l’aspetto privato!) ma che consentano soprattutto di:
– formare i giovani all’impegno politico, affinché non siano giovani “improvvisati”.
– formare comunità, dibattito, confronto creativo per scongiurare verticismi e
clericalismi vari.
– creare legami, contatti, fare rete per essere Insieme coinvolgere altri giovani.
Mi dispiace di non poter essere presente di persona al Congresso per questioni familiari, ma seguirò con attenzione e fiducia i lavori da lontano. Ringrazio tutti gli amici per il loro prezioso impegno.
Dario Romeo