Dalla metà degli anni ’90 – e sono quasi trent’anni – abbiamo assistito a numerosi e subentranti tentativi di rimettere in campo un partito che desse continuità alla cultura politica del cattolicesimo democratico e popolare.

Non si è approdati a nulla per più motivi, legati al contesto politico del momento, alle rivendicazioni personali di ruolo che molti di questi tentativi lasciavano chiaramente sottintendere, all’intento di guadagnare – in nome di un presunto “centro” non altrimenti definito – qualche strapuntino entro un sistema bipolare coatto da blandire meritandone la mancia, piuttosto che tendere al suo superamento.

Ma soprattutto è mancata una capacità di elaborazione politica che consentisse di introdurre categorie interpretative aggiornate ed in grado di corrispondere al nuovo contesto. Connotato, ad esempio, da quel pluralismo delle opzioni politiche ed elettorali dei credenti che istintivamente ci appare una dannosa dissipazione ed un vulnus.

Senonché dobbiamo, al contrario, leggere tale condizione come il segno di una personale autonomia di giudizio che – per quanto non sempre accompagnata da altrettanto discernimento critico – nel mondo cattolico è via via maturata, fin dall’immediato post-concilio e segnala una “libertà’ di spirito”, se così di può dire, l’ affrancamento da una postura obbligata, simil-ideologica che dobbiamo imparare a giudicare come una ricchezza piuttosto che come una involuzione di cui lagnarsi.

Se ripartiamo realisticamente da qui, cioè, piuttosto che da una nostalgia un po’ rancorosa per un’età superata, da un dato di fatto incontrovertibile ed acquisito una volta per tutte, si risolve d’incanto la querelle tra “partito cattolico”, autoreferenziale ed identitario e “partito di ispirazione cristiana” che pure abbiamo dovuto attraversare, anche dolorosamente, in un confronto, a tratti crudo, con amici che per noi restano tali anche se hanno scelto un percorso diverso dal nostro. E via via, in tal modo, si chiariscono, in una sorta di “domino” concettuale, altri profili che, se compresi come meritano, consentono di orientare meglio la nostra azione diretta ad assicurare la “continuità” ideale di una cultura che ha dato un apporto incomparabile alla vita del Paese, passando attraverso la necessaria “discontinuità” con quelle sue forme storiche che si sono dissolte con la contingenza del loro tempo. 

Si comprende meglio come il partito “di ispirazione cristiana” come lo si deve intendere oggi è, in un certo senso, geneticamente diverso dal PPI di Sturzo e dalla Dc di De Gasperi ed, anzi, se possibile, configuri un’ impresa anche meno scontata e più complessa. Si intuisce anche come il compito che ci compete non debba essere diretto, come spesso si sente dire, a riassorbire la cosiddetta “diaspora” se, come tale, si intende quel processo di scomposizione seguito all’ exitus della Democrazia Cristiana, cosicché si tratterebbe di ricomporne i segmenti o le schegge. Tutt’al se ne ricaverebbe un marchingegno elettorale che attesterebbe un ‘ “amarcord” incapace di interpretare il tempo nuovo che ci incalza e ci sfida. Si tratta, piuttosto, di ricomporre, con la necessaria ponderazione, una disegno originale, che dica, in modo puntuale e chiaro, quale sia la specificità del nostro apporto per costruire la democrazia possibile del tempo post-moderno ed il suo nesso strutturale, inscindibile da una condizione di equità e di giustizia sociale, oggi del tutto carente.

Ne consegue ancora che non ha senso pensare, tra i vari soggetti di ordine politico che – partiti o partitini, associazioni o movimenti, centri culturali o quant’altro – concorrono al panorama variegato che oggi osserviamo nel vasto campo cattolico, si debba andare verso forme di fusione di stampo federale o quant’altro. Le differenze quando ci sono – e ci sono – se vengono nascoste sosto il tappeto in nome di un’ unità formale, diventano un fattore di debolezza. Se vengono affrontate a viso aperto concorrono a generare una sintonia, magari faticosa, ma coesa e forte.

Anche tra queste entità differenti che afferiscono alla nostra area di comune appartenenza e sono, almeno potenzialmente, convergenti, deve valere, piuttosto, un principio di coalizione, tale per cui ognuno mantenga la propria particolare fisionomia e la propria identità e, se mai, si definiscano comuni indirizzi programmatici, iniziative congiunte ed anche, se ne saremo capaci, liste comuni ove l’impegno elettorale lo richieda o lo suggerisca.

Insomma, non dobbiamo escludere un cammino progressivo, una sorta di reciproca “messa in prova”, costantemente monitorata dal dato politico e non dalla brama elettorale del momento. Inclusivi, sicuramente, purché in riferimento ad un dato di linea politica puntuale e non equivoco. Un “insieme” mutuando dal significato matematico del termine ed in nessun caso un’ammucchiata. Tutto ciò, in definitiva, conduce ad una considerazione ovvia ed elementare: la questione è politica, eminentemente politica.

Verrebbe da dire, evocando il vecchio Nenni : politique d’abord. Siamo in grado di entrare in tema ed avviare, almeno sperimentalmente, un simile percorso ? Siamo disponibili, ad esempio, a stilare una dichiarazione congiunta a favore di una legge elettorale proporzionale che restituisca l’Italia al libero e personale discernimento politico degli italiani, anziché accompagnarli forzosamente nella tagliola di un sistema maggioritario che ha devastato la dialettica politica del Paese, costringendola nella camicia di forza di una contrapposizione necessariamente fatta di reciproca delegittimazione tra le parti?

Avviamo insieme su questo versante di particolare rilievo un’azione comune di aggregazione di coloro che vogliono condividere questa battaglia ? Mi fermo qui, ma si potrebbe continuare su altri profili rilevanti per restituire fiducia e speranza soprattutto alle più giovani generazioni. Se son rose fioriranno e ci sarà modo di parlarne.

INSIEME sa di essere una parte tra le altre ed è consapevole di avere avviato un percorso difficile, sulle tracce di un’ambizione alta, cui guardiamo con sincera umiltà, cioè con la coscienza del divario che corre tra la realtà ancora embrionale che rappresentiamo e la vastità del compito di “trasformazione” del sistema politico e del Paese che, secondo la felice intuizione di Stefano Zamagni, rappresenta il cuore del nostro Manifesto fondativo.

“Ispirazione cristiana”, quindi pieno e coerente riferimento, oltre che alla Costituzione,  alla Dottrina Sociale della Chiesa, in particolare per quanto concerne quei temi di forte valenza etica che toccano la vita e la morte e consideriamo intangibili non solo per ragioni morali, ma anche in quanto basilari per la stessa vita civile e democratica di una collettività.

Autonomia, competenza, nuova classe dirigente e collegialità, cioè rifiuto di una concezione “leaderistica” del partito sono gli altri punti peculiari e dirimenti cui non intendiamo rinunciare.

Domenico Galbiati

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