La Segreteria nazionale di INSIEME ha approvato all’unanimità il documento che esprime la posizione del partito sulla cosiddetta “autonomia differenziata” approvata dal Senato il 23 gennaio scorso.
Il giudizio è negativo, sia per il tentativo di creare un centralismo regionale che indebolisce la coesione nazionale e accantona la necessaria solidarietà tra territori, sia perché il testo si rivela assai pasticciato, di dubbia realizzazione e permeato di centralismo.
Nel documento sono poi ribaditi i punti salienti di un equilibrato sistema delle Autonomie in linea con la Costituzione.
Il 23 gennaio 2024 il Senato ha approvato il Disegno di Legge n. 615 e intitolato “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, presentato dal Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, il leghista Roberto Calderoli.
Le premesse, sbagliate, della riforma
La Lega esulta per aver reso possibile il trasferimento delle materie correnti dello Stato alle Regioni, che acquisirebbero così completa autonomia. Differenziata significa che ognuna potrà scegliere le funzioni da esercitare e farà per sé. In teoria chi ha più fondi e professionalità andrà avanti e chi ha meno resterà indietro. Ma il divario tra Regioni, ricordiamolo, dipende anche da condizioni oggettive, come le caratteristiche del territorio e la carenza di infrastrutture.
Un’autonomia così concepita, oltre a svuotare di significato il concetto di unità nazionale – pensiamo a cosa potrà succedere in settori sensibili, come la Sanità o la Scuola, dove a distanza di pochi chilometri si potranno avere diversi ordinamenti e, di conseguenza, differenti trattamenti per i cittadini – completerebbe il processo di centralismo regionale di cui abbiamo visto i limiti in questi decenni, soprattutto per i ricorrenti casi di corruzione e malgoverno, al Nord come al Sud.
Nelle intenzioni del Governo vediamo, e respingiamo, il tentativo di mettere in crisi il sistema delle rappresentanze democratiche attraverso il doppio canale di una scelta autoritaria come il premierato e di un autonomismo regionale pensato in chiave egoistica e non solidale, quindi destinato a minare ancor più la coesione nazionale. Si aprono scenari destabilizzanti per l’integrità sociale Paese, con un Nord da sempre insofferente alle politiche di assistenzialismo a favore del Sud, ben contento di scrollarsi di dosso un peso inutile e gravoso. È del tutto evidente che nella maggioranza di governo i due partiti di destra si sono scambiati l’assenso alla bandiera dell’altro. Certo è sorprendente che il partito molto più forte nei consensi, Fratelli d’Italia, che della Nazione e della sua unità e indivisibilità ha sempre fatto la propria cifra distintiva, abbia acconsentito all’autonomia differenziata. In realtà una attenta lettura del Disegno di Legge approvato fa capire che l’autonomia sbandierata dalla Lega è nei fatti uno specchietto per le allodole.
Una riforma pasticciata
Anche una volta completati i passaggi parlamentari e approvata definitivamente la Legge, il percorso verso l’autonomia differenziata è contorto e saldamente in mano al potere centrale.
Prima andranno determinati i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale. La loro definizione si annuncia lunghissima e tormentata, tanto che il DdL concede due anni al Governo per adottare i relativi decreti attuativi. È facile prevedere che si tratterà di un calvario, anche perché la loro definizione sarà operata con uno sguardo alla cassa, gravata da un enorme debito pubblico e dagli obblighi sottoscritti dal Governo con l’Europa per un progressivo rientro.
Saranno poi lunghe le trattative per definire gli ambiti delle devoluzioni chieste da ogni Regione. Lo schema di intesa preliminare verrà trasmesso alla Conferenza unificata tra Stato e Regioni per un parere, quindi passerà alle Camere per l’esame in Commissione e in Aula. È il Parlamento che decide, così come è lo Stato che definisce la quantità dei fondi per ciascuna Regione, dato che le funzioni devolute sono finanziate di anno in anno dallo Stato centrale in base alle risorse previste nella legge di bilancio. E dato che la legge garantisce la continuità finanziaria anche per le Regioni che non richiedono nuove funzioni, varrà sempre la spesa storica. Anzi, aumenterà: perché, in base al principio della proporzionalità delle risorse distribuite, se si aumentano le risorse necessarie a soddisfare i LEP delle Regioni che hanno chiesto la devoluzione delle funzioni, occorrerà aumentare le disponibilità delle Regioni che non chiedono l’autonomia. La coperta è corta.
È falso quindi che le Regioni più ricche si terrebbero in tasca i tributi nazionali incassati nel proprio territorio. Così come la legge approvata mette fine alla favola raccontata dai leghisti secondo cui la Regione chiedeva allo Stato una devoluzione di competenze con gli stessi soldi spesi dallo Stato, nella convinzione di essere più efficienti e di spendere meno.
Questa autonomia differenziata è un federalismo andato a male, a cominciare dall’abbandono della responsabilità fiscale, condizione necessaria per una maggiore efficienza amministrativa, una buona organizzazione dei servizi, una scelta del personale dirigente in base alle competenze e non alle affiliazioni partitiche. Autonomia vuol dire responsabilità, con relativi doveri e sanzioni. Ecco perché la responsabilità piace poco.
L’autonomia differenziata nel testo approvato, prelude quindi alla “secessione dei ricchi”?
No, è solo un pasticcio politico-elettorale che forse non allargherà il divario Nord-Sud ma lo lascia intatto, peggiorando la condizione dell’intero Paese.
La proposta di INSIEME
Forme di autonomia differenziata non hanno ragione di essere in un sistema di Autonomie locali che ha a cuore l’unità del Paese e l’omogeneità di servizi per il cittadino, le famiglie, le imprese in tutto il territorio nazionale.
1. Noi pensiamo che la grande riforma degli Enti locali consista nell’attuare la Costituzione e l’ordinamento che prevede il suo Titolo V, dove è scritto che la Repubblica è costituita “dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, prevedendo un’armonica collaborazione ispirata al principio di sussidiarietà. Bisogna intervenire sul loro sistema di finanziamento e spesa affinché diventi coerente con la Costituzione, con un’impostazione federalista ispirata dal principio di responsabilità fiscale.
2. Il Comune (il Municipio, avrebbe detto Luigi Sturzo) è il primo nucleo della comunità civile, il più vicino all’individuo e alla famiglia, l’altro nucleo primordiale della società. Rende vicino il potere ai cittadini, li coinvolge nelle scelte, valorizza il senso civico. È la cellula fondamentale dello Stato, con il potere di governare la prossimità. Rispetto al presente occorre sostenere le Unioni tra Comuni nell’erogazione dei servizi ai cittadini, per garantire anche nei luoghi più periferici e sperduti accettabili livelli di vita garantiti dall’ente di governo di prossimità.
3. Per governare l’area vasta occorre il pieno ripristino delle Province legittimate dal voto popolare, oltre le Città Metropolitane. Occorre prevedere parametri di territorio, popolazione e numero di Comuni che portino all’accorpamento di Province oggi esistenti, per una copertura territoriale più omogenea e una maggiore efficienza.
La Provincia o la Città metropolitana (in certi casi più correttamente definibile “Provincia metropolitana”) è necessario Ente di governo delle tematiche di area vasta. Gestione dei rifiuti, dell’ambiente, delle acque, dei trasporti, della rete viaria intercomunale, delle infrastrutture, delle reti informatiche, del mercato del lavoro, delle scuole superiori e professionali, dello sviluppo locale: sono tutte problematiche che possono venire efficacemente gestite solo in un ambito territoriale ampio e omogeneo. Non se ne possono occupare i Comuni, troppo piccoli, non se ne devono occupare le Regioni, che hanno un altro compito e che rischiano di essere ipertrofiche e “ministeriali” sommando al proprio ruolo anche funzioni gestionali.
4. La Regione ha un ruolo legislativo nell’ambito delle competenze previste dalla Costituzione, e di programmazione, finanziamento, controllo. Non deve assumere compiti amministrativi e gestionali. Negli ultimi anni hanno aumentato competenze gestionali per loro improprie, diventando ipertrofiche. Un equilibrato sistema delle Autonomie locali rifugge sia il centralismo statale sia il neocentralismo regionale. Le Regioni devono quindi “dimagrire” girando alle Province molte sacche di gestione amministrativa, evitando anche inutili sovrapposizioni di competenze.
5. Riportando le Regioni al loro compito costituzionale e attuando una più forte autonomia attraverso il principio della responsabilità fiscale, perdono di significato le Regioni a Statuto speciale (almeno quelle non collegate a trattati internazionali) che nel corso dei decenni hanno già visto venir meno in gran parte le ragioni della loro diversità.
6. Ribadiamo infine che un forte Ente di governo dell’area vasta rende inutili tanti Enti intermedi monofunzionali – circa 8000 in tutta Italia – come le ATO per acque o rifiuti o altri Consorzi variamente finalizzati, spesso inutili e con i conti in rosso. L’abolizione della maggior parte di tali Enti da un lato rafforzerà il ruolo delle Province e dall’altro produrrà un importante risparmio sui costi della politica, in aggiunta allo snellimento della struttura regionale e alla diminuzione del numero delle Province.