Pubblicando ieri il documento su Giustizia, coesione sociale e sviluppo sostenibile (CLICCA QUI) non abbiamo ricordato che lo scorso 18 agosto diffondemmo la prima parte (CLICCA QUI) dell’elaborazione in corso da parte di INSIEME, coordinata da Roberto Pertile, sulla Politica industriale.  Ci scusiamo per il disguido e ripresentiamo quel primo contributo seguito da quello pubblicato ieri per favorirne una più organica lettura.

1 parte

1 ) Egemonia della dottrina neo-liberista. Fallimento sociale, ecologico, democratico.  

Dagli anni novanta ad oggi vi è stata la subordinazione al calcolo economico  delle azioni politiche . Ha, cioè, prevalso , nell’area economica occidentale , il libero mercato, che ha neutralizzato le  politiche sociali di redistribuzione del reddito. Vi è stata , cosi, l’egemonia dell’ideologia neo-liberista.

Le elite economiche, di conseguenza, hanno beneficiato degli effetti  del neo-liberismo,  aumentando sensibilmente le loro ricchezze, mentre, contemporaneamente,  le disuguaglianze con i ceti medio-bassi sono cresciute , come non è mai accaduto nel recente passato. Gli equilibri socio-economici sono stati messi ancor più in crisi dalla profonda finanziarizzazione avvenuta  del sistema produttivo, danneggiando l’economia reale, soprattutto sul lato della produzione industriale.

Il predetto modello neo-liberista è stato per le forze sociali più deboli un “fallimento sociale”.

Come è stato , anche,  un” fallimento ecologico “  la gestione dell’ambiente, fatta secondo il predetto “neo-liberismo”: tutta la terra è attraversata da ricorrenti disastri ecologici, la cui origine sta nell’avidità che trova piena soddisfazione nelle forze dominanti il mercato, lasciato libero di operare secondo la logica della massimizzazione del profitto.

Il fallimento sociale e quello ecologico sono le principali componenti del “ fallimento democratico”: la negazione della centralità della persona umana.

2) Sistema multipolare.

In questi anni, inoltre, stanno mutando gli assetti internazionali sul piano economico, nonché politico .Dall’egemonia unilaterale degli Usa si sta passando a uno scenario “multi-polare”, dove Paesi come la Cina, l’India, il Brasile, la Russia, Alleanze di nazioni africane, rivendicano una autonomia economica e politica, che passa anche per la creazione di una finanza alternativa a quella statunitense. Sono in movimento cambiamenti che ridefiniscono i confini dei blocchi economici mondiali, dando vita ad una nuova competitività globale, che implica una più elevata redditività dei fattori produttivi. Per conseguirla è realistico prevedere aspri conflitti tra gli operatori , scontri che coinvolgeranno tutti i mercati, nessuno escluso.

3) un indicatore di benessere sociale ( alternativo al Pil ).

In una prospettiva di trasformazione della società, il PIL è un indice parziale dei processi sociali e poco significativo del grado di soddisfazione dei lavoratori, e ancora meno dei cittadini. Rapportando  tutte le variabili economiche e sociali al Pil, come è l’attuale usanza, si offre una visione meramente economicistica , nonché riduttiva delle dinamiche sociali.

Data la complessità dell’attuale società , è indispensabile ragionare ed operare sulla base di indicatori di sviluppo che combinano parametri economici, sanitari, scolastici, educazionali, tributari, culturali e altri , scelti sulla base della multidimensionalità  propria delle politiche di trasformazione dell’attuale modello economico-sociale e  della pluralità delle  aspettative della singola persona.  La multidimensionalità va messa, dunque, alla base delle politiche attive per la trasformazione della società. Per cui, vanno banditi  programmi generici onnicomprensivi, preferendo interventi selettivi, basati su indicatori multidimensionali. È preferibile che questi indicatori siano elaborati a livello di singolo settore ; avrebbero il vantaggio di una più immediata lettura e di un collegamento più diretto con le politiche sottostanti. Ciò non impedisce di proporre un indice generale di sintesi , metodologicamente coerente con i parametri di settore, come “IIVM” che ,letto per esteso , è  l’indicatore dell’incremento del valore umano ( indice da esaminare in altra sede.

 

4 ) La trappola dei sussidi a pioggia.

La spesa pubblica corrente destinata , essenzialmente per ragioni elettorali,  a finanziare sussidi dati a pioggia, secondo strategie di breve termine, ottiene il risultato di sottrarre risorse importanti agli investimenti strutturali di medio-lungo periodo. Così, vengono sottratti capitali alle voci di spesa che producono posti di lavoro duraturi. Diversamente , le forze economiche e sociali preferiscono perseguire obiettivi a breve termine a cui corrisponde una funzionale frammentazione delle Istituzioni, poco propense a realizzare programmi a medio-lungo termine. In altri termini, l’effetto politico principale è  una delega al Governo per una gestione verticistica della “ Cosa pubblica”, rafforzata dalla causale dell’amministrazione d’urgenza, con conseguente indebolimento della macchina amministrativa.

Per queste ragioni e per altre riguardanti la struttura del sistema economico, non è realistico porsi attualmente  l’obiettivo della piena occupazione dei fattori della produzione ( un posto di lavoro per tutti). Tuttavia, l’annullamento dello spreco di risorse , che è prodotto dalle politiche a pioggia a breve termine, può generare occupazione stabile, finanziando, ad esempio,  investimenti nella tutela per l’ambiente; e i nuovi posti di lavoro potrebbero essere occupati da lavoratori ora senza lavoro.

5)Ai fini della proposta politica contenuta in questo documento si propone il seguente indicatore multidimensionale dello sviluppo del benessere sociale nel mondo del lavoro e dell’impresa.

È composto dalle seguenti variabili: investimenti per i giovani +servizi al lavoro femminile+ dinamismo tecnologico + servizi alla formazione + redistribuzione del reddito + democrazia sui posti di lavoro.

Il coraggio di investire

È necessario che il mondo imprenditoriale italiano riprenda lo spirito costruttivo del miracolo economico  :  abbia il coraggio di investire con intensità e continuità nel capitale umano, prioritariamente nei giovani. Si  abbia il coraggio di remunerare l’intelligenza dei giovani con borse di studio dignitose, con equi contratti di ricerca, con contratti pluriennali di nuova imprenditoria. Significa fare investimenti per la formazione orientata al lavoro, coinvolgendo i giovani fin dalla scuola superiore. Ci si impegna ad attuare politiche che blocchino il dualismo in essere nella società italiana: una ristretta elite di giovani  affermati da un lato; e dall’altro, una massa di sottopagati.

Va preso atto che la società italiana è cambiata, mentre la scuola è ferma a modelli educativi ormai obsoleti. La trasformazione del sistema scolastico, ed anche delle Università, dovrebbe fornire ai giovani, prioritariamente, abilità culturali, e solo in seconda battuta quelle cognitive. Il problema non è la mancanza di risorse economiche, ma il predominio di una visione tayloristica dell’insegnamento, che favorisce il divario tra offerta e domanda di skill professionali. Questo gap crea disagio esistenziale nei giovani, che li allontana dalla odierna dinamica sociale, cristallizzando  la loro incapacità ad esprimere la propria natura umana.

La donna protagonista di sviluppo.

Ci sia la forza politica di abbandonare logiche clientelari e/o economicistiche nell’assistere la donna sul lavoro. Abbia la libertà di lavorare, come di avere figli : incominciamo dagli asili nido localizzati sotto il posto di lavoro e dalla parità salariale di genere. Ci vogliono servizi efficienti di assistenza agli anziani. Non più tutto sia sulle spalle della donna che lavora. Grazie alla linea politica tracciata,  si crea nuova occupazione.

Verso un capitalismo democratico, popolare, umano.

Il fallimento  sociale dell’attuale modello di sviluppo, di cui si è detto, impone  coraggio e  determinazione alle forze sociali, che operano per un capitalismo democratico, popolare, umano, ad incontrarsi per una intesa di cambiamento. I tradizionali centri del potere comunicativo sostengono l’unicità del modello neo-liberista; ma non è così. È  ragionevole, invece, perseguire il  primato della dignità e della libertà dell’uomo sul consumismo e sulla logica del profitto.

Trova, quindi, ragione politica un’alleanza per:

-la ricostituzione strutturale del potere di acquisto del lavoratore dipendente mediante la sua partecipazione alla distribuzione dell’utile annuale. Una proposta: il 5% dell’utile netto d’esercizio.

-una revisione della attuale progressività delle aliquote fiscali : più alto sia l’onere fiscale per i redditi più elevati con contemporanea riduzione delle aliquote dei redditi più bassi. Inoltre, va perseguita una penalizzazione delle rendite parassitarie a favore di una riduzione della tassazione del reddito da lavoro. Sempre nell’ambito fiscale, va annullata la quota del “cuneo fiscale “ a carico del lavoratore.

– matura è la domanda  di democrazia nel mondo del lavoro e dell’impresa , domanda da realizzare attraverso un equilibrato compromesso tra le diverse esigenze del capitale e del fattore lavoro nel favorire la partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale. La compartecipazione alla gestione strategica rafforza entrambi i fattori, capitale e lavoro.

contro lo sfruttamento dei più deboli nel mercato del lavoro un utile strumento può essere una saggia utilizzazione dello strumento del “salario minimo legale”. Si valuta controproducente   un’interpretazione rigida                   della gestione del salario minimo legale. Si ritiene  vantaggiosa per il lavoratore la formulazione per legge della obbligatorietà di base del salario minimo legale per tutti i settori merceologici e per tutte le categorie di lavoratori, mentre la specifica attuazione e  gestione  viene delegata alla contrattazione collettiva con valore “erga omnes”. Tra l’altro, è la sede più idonea per  ottenere efficaci tutele delle basse qualifiche, riducendo, così, il numero dei lavoratori poveri. Mentre una gestione massimalista potrebbe ridurre il valore dell’autonomia della contrattazione collettiva, con effetti negativi sull’intera offerta di lavoro. Il dialogo, invece, tra le parti sociali , nell’ambito di una chiara cornice giuridica con valore “erga omnes”,  può garantire il miglioramento costante delle condizioni di lavoro in una prospettiva di accordi sociali di medio-lungo periodo.

-un patto del lavoro per dare impulso al dinamismo tecnologico dell’apparato produttivo, condizione essenziale per incrementarne la produttività;   incremento indispensabile, a sua volta, per la crescita della competitività delle imprese. È tutto ciò il presupposto per raggiungere l’obiettivo di incrementare il reddito dei lavoratori dipendenti , nonché di aumentare i posti di lavoro, con remunerazioni pari ai principali concorrenti europei, nella misura in cui si ha il coraggio di cambiare la politica ad oggi attuata in materia di innovazione tecnologica. A questo fine  diviene prioritaria la mappa delle aree ritenute dal Governo  tecnologicamente decisive per la concorrenzialità del patrimonio tecnologico del Paese. La mappa è la rotta da seguire e il vincolo per gli investimenti pubblici di sostegno all’innovazione e  di crescita della produttività delle imprese italiane. Si opera, infatti, nella prospettiva di uno scenario internazionale multipolare, che rende realistica la previsione di una sensibile crescita della competitività tra più sistemi globali, ridimensionando la supremazia Usa . Da qui, l’obbligatorietà ( data la prevedibile nuova divisione internazionale della produzione ) per le imprese di ottenere elevati livelli di produttività, raggiungibili, per l’Italia, solo mediante una radicale modifica dello” status quo” dell’organizzazione pubblica della R&S. La via da seguire è iniziare a finalizzare alle predette priorità  i  consistenti  flussi monetari  che sono già destinati  alle università  , il cui sistema diventa, così, la struttura portante della” R&S” , svolgendo il ruolo di interfaccia creativa e gestionale  tra  lo Stato e le imprese private e pubbliche . Il cambiamento è obbligato, poiché  l’attuale politica di erogazione di sussidi al singolo soggetto non è più in grado di fare fronte alla sofisticata qualità  della nuova domanda di dinamismo tecnologico. È il tempo che l’Italia si dia solide strutture di ricerca , abbandonando il pluridecennale spontaneismo, che non ha dato grandi risultati.

5) Patto Europeo

La sola prospettiva perseguibile a medio-lungo periodo per la realizzazione dell’indicatore del benessere sociale, indicato in questo documento,  è europea. Il singolo paese da solo non va da nessuna parte ,salvo perseguire il fallimento sociale dello stesso.

 

2 parte

La dicotomia di cui il nostro sistema politico soffre e che, ad un tempo, proietta sul Paese colpisce indiscriminatamente qualunque questione rientri nell’agenda politica del momento.

Così avviene, infatti, anche per salario minimo e reddito di cittadinanza.

Argomenti che, anziché essere agitati come bandierine identitarie, andrebbero, anzitutto, collocati nel quadro di un sistema economico -produttivo che ha perso per strada quella capacità “inclusiva” che è stata il suo pregio in altre fasi della nostra storia, in modo particolare negli anni in cui l’Italia si avviava verso il “boom” economico. Bastava ampliare le maglie del sistema produttivo per assorbire occupazione.

Oggi succede esattamente il contrario. I processi produttivi si sono fatti più raffinati, più articolati e, ad un tempo, la globalizzazione, anziché tendenzialmente appianare le diseguaglianze, le esalta. Aumentano gli “scarti”, si frammentano competenze che diventano via via più sofisticate e settoriali. Chi non regge il passo è messo fuori.

Peraltro, nell’arco temporale di una carriera lavorativa, la tipologia della prestazione o della mansione muta secondo ritmi talvolta imponderabili. Occupazione e produttività, mantenimento del posto di lavoro e formazione permanente si intrecciano in modo inedito.

In buona sostanza, aleggia sul sistema complessivamente inteso ed in capo ad ognuno, soprattutto in determinati settori, una condizione di precarietà che oggi rappresenta un elemento costitutivo, difficilmente espugnabile del quadro civile in cui viviamo. Anzitutto, tra le altre “transizioni”, paradigmatiche del’ evoluzione sociale in corso, se ne impone un’ altra fin qui poco considerata.

Quella che dovremmo chiamare “transizione educativa”, un processo multiforme, vasto e complesso di cui va affermato un primo tratto essenziale: la necessità di privilegiare il momento prettamente “educativo”, la cultura di base cui ognuno può e deve aspirare, rispetto al momento formativo o di puro e semplice apprendimento di una mansione.

“Precarietà”, poi, significa inquietudine, carenza di un orizzonte certo e, dunque, della possibilità di costruire un progetto attendibile per la propria vita. Si tratta, insomma, di una condizione pervasiva che crea una sorta di bradisismo che, nella vita delle persone, può avere effetti a largo raggio. Può, ad esempio, rappresentare una spina irritativa che slatentizza condizioni di sofferenza psicologica ancora relativamente compensate oppure rivela quelle diffuse fragilità affettive che pesano sulla vita e sulla stabilità di tante famiglie.

Questo disagio sociale, più o meno minaccioso, spesso “esistenziale”, cioè capace di minare e compromettere il vissuto di ciascuno, può essere lasciato in capo al singolo lavoratore, abbandonato all’ alea di un destino incerto cui la collettività, tutt’ al più, offre l’ accesso ai servizi sociale delle istituzioni locali La precarietà non va, al contrario, riconosciuta come una condizione strutturale del nostro contesto civile e, dunque, presa in carico in chiave sistemica, piuttosto che sparpagliandola sulle spalle dei singoli malcapitati?

In quest’ ottica, il “salario minimo” non diventa forse un argine di rassicurazione che può concorrere a risanare almeno le punte estreme di inaccettabili divaricazioni sociali? Ed il “reddito di cittadinanza” – al netto di tutte le malversazioni che l’hanno affondato – o chi per esso, cioè provvedimenti analoghi meglio studiati e correttamente applicati – che non siano la vergognosa “mancia alimentare” del governo Meloni – soprattutto nelle famiglie dov’è posta in gioco la “povertà educativa” di bambini ed adolescenti, non è forse un necessario presidio di coesione sociale e di civiltà? Ovviamente sviluppando, nel contempo, serie ed efficaci politiche attive del lavoro.

Se assistessimo impotenti ad un ulteriore incremento delle diseguaglianze ed alla conseguente compromissione di un titolo di cittadinanza uguale per tutti, lo sviluppo delle stesse società più sviluppate si ritorcerebbe su di sé, negando ogni possibile incremento della crescita attesa.

Al contrario, il recupero di “coesione sociale” è la garanzia previa per ll nostro domani.

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