Ieri abbiamo pubblicato la prima parte di questo intervento ( CLICCA QUI )
2. I punti principali di un programma
Dalle considerazioni svolte nella premessa emerge chiaramente la necessità che nel programma di governo debba trovare un posto di rilievo il capitolo riguardante le infrastrutture di trasporto, comprendente: sia gli interventi di manutenzione, ammodernamento e sviluppo, specie nelle regioni meridionali, delle reti ferroviaria e stradale, che i collegamenti con le reti internazionali in linea con i programmi dell’UE. Inoltre, un’attenzione particolare va rivolta all’intermodalità e al riequilibrio modale nel settore delle merci, oggi troppo sbilanciato sulla modalità stradale. Sulla base di queste considerazioni, vengono di seguito illustrati i principali interventi da realizzare nel settore trasporti:
2.1.- Piano quinquennale di manutenzione e adeguamento normativo (sismico e VVF) di strade e ferrovie, (con un forte contributo da parte dello Stato, concordato con Regioni e Province) con priorità alle “infrastrutture critiche” di livello statale, regionale o provinciale[1].
Gli interventi di manutenzione delle reti stradale e ferroviaria, non solo a livello nazionale, ma anche locale con riferimento, in particolare, anche alle strade provinciali e comunali o alle ferrovie regionali devono essere considerati una priorità assoluta. Ovviamente gli interventi devono riguardare anche la messa in sicurezza dei terreni limitrofi per proteggere la sede stradale e ferroviaria da frane o allagamenti che ne ostacolino la circolazione o mettano a repentaglio la sicurezza degli utenti. Una particolare attenzione va posta alla manutenzione delle opere d’arte stradali (ponti, viadotti e gallerie), quasi tutti realizzati da oltre cinquant’anni in calcestruzzo armato e/o precompresso e sono stati sottoposti ad un traffico notevolmente superiore rispetto a quello di progetto e con pesi dei veicoli che, come è stato già ricordato, sono aumentati a causa della legge del 1975. E’ anche il caso di ricordare che le normative di costruzione nel frattempo sono state modificate e soprattutto è stata modificata la normativa sismica e, per le gallerie, la normativa antincendio. Occorre, quindi, prevedere con la massima urgenza finanziamenti da parte dello Stato non solo per le strade appartenenti all’ANAS o per le ferrovie di RFI, ma anche per la rimanente rete viaria e ferroviaria. In questo settore rimandare di qualche anno ancora gli interventi verrà a costare molto di più di quanto si spenderebbe oggi in quando le lesioni sulle strutture in calcestruzzo armato col tempo peggiorano e, se non si interviene tempestivamente, le strutture, non possono essere riparate, ma devono essere demolite e poi ricostruite, (come è successo per il ponte Polcevera). Piuttosto che al “Bonus facciate” o ad altre agevolazioni per i privati o ad altre forme di assistenza per i disoccupati, il Governo dovrebbe pensare ad un “Bonus strade”, creando così occupazione in tutto il territorio nazionale, dando lavoro a migliaia di piccole e medie imprese, per interventi, sui ponti, viadotti o gallerie, compresi tra i 500.000 Euro ed i 2,5 milioni Euro (costo medio 1,5 milioni per ciascun ponte o galleria lunga più di 500 m)[2]. Tenendo conto dei tempi necessari per concertazione del piano e la progettualità necessaria per gli interventi, si proporre il finanziamento di 1 miliardo il primo anno e 3,5 miliardi negli anni successivi). Naturalmente non va trascurata neanche la manutenzione delle pavimentazioni delle strade o della sede ferroviaria. Anche questa manutenzione, se trascurata diventa causa di insicurezza ed, inoltre, gli ammaloramenti, se rimandati, peggiorano ed i costi di riparazione aumentano. Un’attenzione particolare merita anche la manutenzione della segnaletica stradale. Compito dello Stato e, quindi del Ministero che si occupa delle infrastrutture e dei trasporti deve essere anche la verifica ed il controllo che gli interventi di manutenzione siano correttamente eseguiti da parte degli Enti preposti. Si è specificato del Ministero e non di nuove o vecchie “Agenzie” o “Commissari straordinari”. Tutti i compiti spettanti allo Stato devono essere affidati ai ministeri competenti!!!
2.2.- Piano quinquennale di interventi di difesa fluviale e sistema monitoraggio continuo, con priorità agli attraversamenti dei centri abitati ed ai tratti, che costeggiano strade o ferrovie, che negli ultimi 50 anni sono stati interessati da esondazioni. Anche in questo caso si può prevedere, d’intesa con Regioni e Province, un piano per gli interventi sugli argini su fiumi e torrenti simile a quello per i ponti e le gallerie con una stima di 1 miliardo di Euro il primo anno e 2 miliardi negli anni successivi. E’ necessario disporre anche un monitoraggio continuo del livello dell’acqua, ripristinando nei tratti più a rischio i vecchi “caselli idraulici” o creandone di nuovi e ripristinando e potenziando le antiche figure tecniche di “ufficiale idraulico” e di “sorvegliante idraulico”, che un tempo prestavano servizio presso il ministero dei lavori pubblici, (R.D. 9 dicembre 1937, n. 2669) ed ora, dovrebbero essere alle dipendenze di Regioni o Province. La stima prevista è di circa 300 milioni l’anno per le attrezzature e per l’assunzione di circa 2.000 persone per la vigilanza nelle zone più a rischio. Il totale risulta, pertanto, pari a: 1,3 miliardi il primo anno e 2,3 miliardi per ciascun anno dal secondo al quinto.
2.3.- Completamento degli anelli mancanti (o superamento delle strozzature) sia sulla rete TEN, sia sulla rete nazionale, dove è opportuno anche il completamento delle infrastrutture già iniziate[3].
Negli ultimi anni, gli stringenti vincoli posti dal Trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità alle politiche fiscali nazionali hanno spinto i governi dell’Italia e di molti Paesi a risanare le finanze pubbliche anche attraverso la compressione delle spese destinate agli investimenti. Ma non è questa la strada giusta perché lo stesso Trattato di Maastricht attribuisce notevole importanza, ai fini del consolidamento della Comunità, alla creazione di reti transeuropee nel settore dei trasporti, dell’energia e delle telecomunicazioni. A seguito della pubblicazione nel 1993 del “Libro Bianco” di Delors su “Crescita, competitività ed occupazione”, i Paesi Europei hanno cominciato ad acquisire una crescente consapevolezza degli “svantaggi” derivanti dalla carenza di una rete efficiente di infrastrutture. Ed è apparso sempre più evidente come la realizzazione di un efficiente sistema integrato di trasporti su scala europea rappresenti un obiettivo prioritario ai fini della riduzione degli squilibri regionali e del pieno rispetto del principio della libera circolazione delle persone e delle merci all’interno della Comunità. Di fronte all’incalzare della concorrenza e alle crescenti difficoltà dell’industria europea, il problema dello sviluppo infrastrutturale dell’Unione europea – e soprattutto delle sue regioni più svantaggiate, che rischiano di rimanere del tutto emarginate dal processo di integrazione – ha assunto sempre maggiore rilevanza.
A più di un quarto di secolo dalla pubblicazione del Rapporto Delors, si registrano ancora sensibili ritardi nella costruzioni delle reti transeuropee, pur avendo più volte le istituzioni comunitarie ribadito che esse sono determinanti per sostenere la crescita economica e garantire la coesione territoriale dell’Europa, soprattutto dopo che i suoi confini si sono allargati all’Est. Secondo alcune stime, una volta entrate in funzione, le reti transeuropee potrebbero assicurare un incremento del prodotto lordo dell’Unione Europea di quasi mezzo punto percentuale all’anno e circa un milione di nuovi posti di lavoro. La causa dei ritardi nelle realizzazioni è da ricercare nell’esiguità del contributo finanziario messo a disposizione dell’UE che fino al decennio scorso, mentre poteva arrivare a coprire il 50% delle spese progettuali e delle indagini geologiche, si limitava a coprire solo del 10% dei costi di costruzione ed in alcuni casi eccezionali poteva raggiungere il 20%. Nell’ultimi anni per le opere particolarmente importanti e complesse, come per il nuovo collegamento ferroviario ad Alta Capacità (Torino-Lione) per il quale il contributo dell’UE è stato portato al 40%. Per ovviare a questa situazione d’impasse, che penalizza le regioni più periferiche dell’Unione Europea, alcuni economisti, già diversi anni fa, avevano proposto di introdurre nel Patto europeo di stabilità la cosiddetta “golden rule”[4] con l’obiettivo di escludere nel calcolo del deficit di bilancio dei singoli Stati membri le spese. Questa proposta non mette a repentaglio la sostenibilità delle finanze pubbliche né il livello di benessere delle generazioni future se il “golden rule” è utilizzato per le sole spese effettivamente suscettibili di generare reddito addizionale. Tra queste possiamo già da adesso individuare quelle che contribuiscono ad eliminare “i colli di bottiglia” e ad evitare la saturazione di alcune arterie principali e la crescita del trasporto stradale a scapito del trasporto ferroviario e del cabotaggio marittimo[5]. Tra l’altro i colli di bottiglia sulle strade generano anche inquinamento atmosferico e la loro eliminazione potrebbe anche rientrare tra gli interventi per il risparmio energetico, così come gli interventi per trasferire il traffico merci dalla strada alla ferrovia.
Non c’è dubbio che la nuova linea ferroviaria Torino-Lione ad “Alta Capacità”[6], la linea ferroviaria del Brennero e il terzo valico ferroviario (sull’asse Genova-Rotterdam), ovvero i tre interventi che fanno parte dei corridoi TEN-T individuati dall’U.E. come prioritari, già in gran parte finanziati ed i cui lavori sono iniziati da tempo, vanno conclusi in tempi brevi anche per usufruire del preannunciato aumento del contributo comunitario che dovrebbe arrivare a coprire il 50% delle spese (percentuale altissima che, fino ad oggi l’U.E. non ha riservato a nessuna opera infrastrutturale).
In considerazione anche della difficile situazione in cui versa la finanza pubblica, è urgente intervenire sui nodi che ancora persistono, con l’obiettivo di: ridefinire le effettive priorità del Sistema e superare le difficoltà che ritardano il processo realizzativo delle opere.
In merito alle priorità, si deve precisare che non tutti gli interventi che erano compresi negli anni scorsi nel “Programma delle opere strategiche del CIPE” sono da considerare oggi prioritari. E’ necessario, pertanto, definire poche ed essenziali opere, quelle di cui il paese ha estremo bisogno e di cui bisogna favorirne la concreta realizzabilità; tra queste, indubbiamente rientrano quelle che consentono di rimuovere i più importanti colli di bottiglia nel sistema di comunicazione del paese.
Perché le opere siano effettivamente realizzate in tempi ragionevoli, è tuttavia necessario un forte impegno per rimuovere i vincoli ancora esistenti. Infatti, pur in presenza di numerosi cantieri avviati, l’attività di esecuzione delle opere continua a riscontrare forti criticità e ritardi. I ritardi nelle autorizzazioni ambientali e urbanistiche per molti progetti, anche a valle delle Conferenze dei Servizi e della Valutazione d’Impatto Ambientale, hanno generato e continuano a generare rallentamenti. Se si intendono realizzare senza intoppi le infrastrutture per il rilancio della competitività del paese, devono essere istituite procedure accelerate, con l’obiettivo di: intervenire per velocizzare gli iter approvativi attraverso la giusta composizione fra “interesse generale” e gli “interessi particolari delle comunità locali. A proposito tale ultimo punto, è opportuno guardare agli esempi di paesi vicini che hanno altrettanto a cuore la tutela dell’ambiente, dove tuttavia si riesce a costruire. Le opere per essere realizzate hanno bisogno di certezze. L’iter procedurale, anche lungo e complesso, una volta esaurito, non può essere rimesso in discussione. La competitività necessita di una riduzione dei tempi di realizzazione delle grandi opere per favorire la mobilità.
Naturalmente, prima di procedere agli appalti, i progetti devono essere esaminati con attenzione, in modo da dare certezza sui costi e sui tempi ed evitare di dover apportare varianti in corso d’opera.
Per quanto riguarda il finanziamento delle opere, già da alcuni anni la carenza di fondi statali per la realizzazione di opere pubbliche, connessa all’esigenza di rispettare gli obiettivi di deficit di bilancio, spinge il pubblico a ricercare nuove forme di cooperazione, finalizzate al coinvolgimento di risorse private in progetti infrastrutturali. Il Private-Public-Partnership (PPP) potrebbe rappresentare un valido strumento per realizzare opere pubbliche attraverso forme di collaborazione con i privati da studiare attentamente. Il coinvolgimento del capitale privato potrà avvenire , solo se i progetti risultano essere credibili, non solo dal punto di vista tecnico ed economico. È infatti indispensabile il sostegno di un’adeguata capacità di governo del sistema: ciò significa che i diversi livelli di governo del territorio condividano senza riserve le nuove opere, altrimenti ciò si traduce in criticità e ritardi. Per il primo anno, non avendo ancora a disposizione il piano delle priorità, vanno completate e, se possibile, accelerati gli interventi sui tre corridoi TEN-T e quelli già iniziati da parte di ANAS e RFI. Dal secondo anno in poi, una volta approvato il piano delle opere prioritarie, si dovranno prevedere dei finanziamenti aggiunti a quelli del primo anno, in modo da consentire sia prosieguo delle opere già iniziate che l’inizio delle altre indicate dal piano.
Da una prima valutazione di massima si quantifica la necessità di uno stanziamento di 1,5 miliardi il primo anno e 3 miliardi negli anni successivi.
2.4.- Sviluppo del trasporto ferroviario merci con particolare cura ai collegamenti dei porti (non solo Genova) e delle aree industriali con la rete ferroviaria, in modo da evitare il doppio trasbordo (nave-strada e poi strada-ferrovia)
Il Piano per la Logistica, citato in premessa, si era posto come obiettivo la riduzione del gap nei confronti degli altri paesi, accrescendo la competitività del sistema-paese attraverso interventi per incentivare il trasporto intermodale stradale-ferroviario-marittimo e, già nel 200, aveva indicato la necessità di potenziare il sistema portuale in particolare quello interessato dagli scambi commerciali con il far-east. Quest’ultimo punto merita un approfondimento in quanto può costituire un “asset” strategico per la crescita del nostro paese. Non si può ignorare, infatti, che oggi l’espansione economica mondiale è guidata dall’Asia, né si può pensare di fare concorrenza ai paesi emergenti sul terreno del costo del lavoro. Va però tenuto presente che il traffico delle merci proveniente dall’Oriente deve transitare obbligatoriamente dal canale di Suez per arrivare in Europa. Sfruttando il vantaggio competitivo della propria posizione geografica (5 giorni di viaggio in meno rispetto ai porti del Nord Europa), l’Italia si può proporre come piattaforma logistica nel Mediterraneo per i prodotti asiatici. L’Italia, al centro del bacino Mediterraneo, è infatti attraversata da tre grandi assi di comunicazione: l’asse Nord-Sud, l’asse Est- Ovest e l’asse transcontinentale marittimo. Con il potenziamento del sistema dei trasporti, l’Italia può svolgere un ruolo centrale negli scambi all’interno del Mediterraneo. I porti maggiormente interessati, per le merci dirette nel Nord-Europa sono certamente Genova e Trieste, ma particolare cura va dedicata anche ai porti situati nelle regioni meridionali, anche mediante l’utilizzo dei programmi di cooperazione allo sviluppo (fondi FESR e FEAMP[7]) e, soprattutto attraverso il rafforzamento delle Zone Economiche Speciali (ZES).
Le ZES sono state introdotte nel 2017[8], per attrarre grandi investimenti nelle aree portuali del Sud, ma stentano a divenire pienamente operative, nonostante la previsione di nominare Commissari straordinari, proprio per accelerarne l’attuazione. L’obiettivo delle ZES, inoltre, rischia di essere minato da perimetrazioni troppo estese delle aree in esse ricomprese, con il rischio di divenire più una misura di sviluppo territoriale per il sostegno degli investimenti esistenti che di attrazione di nuove attività. Va recuperata l’originaria finalità, le ZES andrebbero inserite in una strategia di rafforzamento dell’area del Mediterraneo come fulcro degli scambi tra l’Europa e i paesi asiatici e del Nord Africa, mettendo a sistema logistica e industria. Le ZES nel mezzogiorno potrebbero assumere anche una funzione importante nel processo di razionalizzazione, dando impulso al rientro su territori nazionali di specifiche delocalizzazioni. Le ZES potrebbero in definitiva essere una delle modalità di intervento per governare anche i processi di re-shoring[9]. Si potrebbe seguire, almeno all’inizio, il disegno di interventi per il Mezzogiorno elaborato recentemente da SVIMEZ che prevede il progetto “Quadrilatero” costituito da Napoli, Bari, Taranto e Gioia Tauro che sono le 4 Zone Economiche Speciali fino ad oggi individuate. Attraverso il Quadrilatero l’Italia può impostare anche il tema della transizione verso il “green new deal”, avanzando, così, una proposta immediatamente operativa, come candidata di prima fila alla “recovery strategy” dell’Unione in risposta allo shock della pandemia. Le Quattro ZES, costituiscono quattro sistemi portuali che, se interconnessi e sincronizzati possono attivare lo sviluppo di una vasta area, quella del Mezzogiorno continentale, coinvolgendo direttamente oltre 12 milioni di cittadini. In particolare il progetto “Corridoio Tirreno-Adriatico” che unisce le ZES di Napoli e Bari, sono individuate dodici stazioni della Napoli – Bari dislocate tra Irpinia, Sannio, Murge, funzionali alle ZES, che si prestano alla strategia di rivitalizzare borghi e territori delle aree interne e a renderle organicamente complementari e funzionali.
Il Quadrilatero e i vertici che lo definiscono potrebbero ripristinare il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. Una missione che rappresenta la condizione necessaria – non sufficiente se non coinvolge il Nord – per garantire non quello che si profila come il ritorno ad una asfittica crescita ma il rilancio dello sviluppo (tassi del 2-3% e più) dell’economia nazionale.
Il Quadrilatero dispone già di una considerevole attrezzatura che va resa velocemente operativa con significativi, indispensabili interventi. Partendo dall’esistente, è possibile operare immediatamente per portare a regime l’attività attualmente molto al di sotto delle potenzialità dell’intero perimetro presidiato. A questo scopo, e per consolidare le prospettive di medio lungo periodo, vanno definite le linee del potenziamento infrastrutturale necessario a trasmettere con efficacia gli effetti propulsivi sul territorio (l’area). Le ZES, centrate su retroporti[10] e distripark[11], rappresentano una discontinuità col passato da rendere rapidamente operativa rispetto all’inerzia strategica di decenni.
Per dare pienamente i suoi frutti, il rispetto di queste condizioni richiede di bruciare i tempi di realizzazione del corridoio ferroviario ad Alta Capacità[12] Napoli Bari, che le FFSS impegnate a realizzare il progetto da oltre dieci anni hanno fissato per il 2026. È indispensabile inoltre, assicurare i collegamenti tra le aree portuali e il territorio di riferimento rendendo pienamente operativi gli snodi ferroviari e autostradali; è questo il caso del porto di Napoli che soffre tuttora della modesta operatività della rete ferroviaria, che va, invece potenziata per assicurare più elevati livelli di produttività e competitività al sistema portuale. Un disegno ambizioso che richiederà un impegno pluriennale non solo di risorse ma soprattutto di azioni di riforma di una macchina amministrativa costruita negli anni intorno alle politiche strutturali spesso pleonastica nelle procedure e debole nel coordinamento tra i molti soggetti attuatori. L’obiettivo condiviso di ridurre la parcellizzazione delle strategie e degli interventi si scontra spesso con l’esigenza delle Amministrazioni regionali di soddisfare le molte esigenze locali. Per la piena riuscita dell’iniziativa è necessario il coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali, delle associazioni del mondo produttivo e della società civile.
Non si esprimono, in questa sede importi da destinare allo sviluppo delle ZES in quanto vanno concordati con il programma del Mezzogiorno.
2.5.- Adeguamento della rete ferroviaria esistente nelle regioni meridionali (elettrificazione e secondo binario) ed estensione della rete ferroviaria ad Alta Velocità (AV) che nelle regioni meridionali assume le caratteristiche di Alta Capacità (AC).
Nello scorso mese di febbraio[13], il Presidente Conte ed il Ministro del sud e della coesione territoriale hanno presentato il “Piano del Sud 2030” che contiene alcune interessanti priorità infrastrutturali per le regioni meridionali che si condividono e che riguardano principalmente il potenziamento della rete ferroviaria, il miglioramento del trasporto pubblico locale e il sostegno alle filiere logistiche territoriali, con particolare riferimento all’intermodalità delle merci in uscita e in entrata dai porti e alle infrastrutture di «ultimo miglio». Il Piano indica, tra le azioni da realizzare nell’immediato nel settore ferroviario, gli accordi per avviare i cantieri già nel biennio 2020-2021, per impegnare i 33,5 miliardi di competenza del MIT, da destinare alle linee AC: Salerno-Reggio Calabria, Napoli-Bari e Palermo-Messina-Catania.
Il divario nella dotazione complessiva di reti ferroviarie del Mezzogiorno, è rilevante rispetto al Centro-Nord, non solo per la ridotta diffusione della rete AV (che oggi arriva solo fino a Salerno), ma anche per altre carenze qualitative delle reti ordinarie. Le strutture di intermodalità ferroviaria (incentrati sullo scambio modale gomma-ferro) di RFI sono praticamente inesistenti nel Mezzogiorno, ed è anche estremamente modesta è la presenza di interporti (che oltre allo scambio gomma-ferro, aggiungono servizi di stoccaggio e lavorazioni delle merci). Mentre le due strutture (centri intermodali e interporti), insieme con i porti costituirebbero un fattore determinante di competitività e di sviluppo industriale, commerciale e logistica del territorio.
Quanto alle risorse, l’obiettivo del Piano del Sud è il recupero del lungo processo di disinvestimento subito dal Mezzogiorno nell’ultimo ventennio da conseguirsi, da un lato, riattivando un’azione pubblica di investimento da sviluppare nell’arco del decennio 2020-2030, dall’altro, fissando anche obiettivi a più breve termine di incremento degli investimenti pubblici nel triennio 2020-2022.
Gli obiettivi vengono fissati in termini di:
- a) riequilibrio delle risorse ordinarie, con l’effettiva applicazione della clausola del 34%;
- b) recupero della capacità di spesa della politica nazionale di coesione (FSC);
- c) miglioramento dell’attuazione della programmazione dei Fondi strutturali e di investimento europei.
Il Piano individua cinque grandi missioni, qui si riportano solo le due che interessano il settore trasporti :
- a) «un Sud connesso e inclusivo»: infittire e ammodernare le infrastrutture, materiali e sociali, come fattore di connessione e di inclusione sociale, per spezzare l’isolamento di alcune aree del Mezzogiorno e l’isolamento dei cittadini in condizioni di bisogno;
- b) «un Sud aperto al mondo nel Mediterraneo»: rafforzare la vocazione internazionale dell’economia e della società meridionali e adottare l’opzione strategica mediterranea, anche mediante il i programmi di cooperazione allo sviluppo e il rafforzamento delle Zone Economiche Speciali (ZES), già trattate nel precedente punto n. 4.
In merito ai finanziamenti, si confermano le dotazioni di 33,5 miliardi, già previste nei precedenti programmi per la realizzazione da parte di RFI delle linee AC: Salerno-Reggio Calabria, Napoli-Bari e Palermo-Messina-Catania. Per gli altri interventi la quantificazione dovrà essere concordata con il programma per il mezzogiorno.
2.6.- Piano nazionale della sicurezza stradale (eliminazione dei punti neri + potenziamento del TPL (Trasporto Pubblico Locale) + educazione stradale.
Da ultimo, ma non ultimo per importanza, si segnala la necessità che una corretta programmazione dei trasporti non può non contenere anche un piano per la riduzione degli incidenti stradali, ovvero un Piano Nazionale della sicurezza stradale. Gli incidenti stradali, come si è già accennato nella premessa comportano ogni anno oltre 3.200 morti e decine di migliaia di invalidi permanenti e costituiscono la prima causa di morte per la classe di età compresa tra i 14 ed i 40 anni e comportano anche un costo sociale altissimo. Le ultime valutazioni indicano 28,5 miliardi come costo sociale complessivo, ovvero l’1,9% del PIL. Bisogna assolutamente intervenire e la sede più adatta è proprio nel programma di governo nel settore trasporti. Il Parlamento, a seguito della presentazione della Prima Relazione sullo stato della sicurezza stradale, ha varato la legge n.144 del 17 maggio 1999 che nell’art. 32, attribuiva al Ministero dei Lavori Pubblici il compito di definire il Piano nazionale della sicurezza stradale, da sottoporre all’approvazione del CIPE contenente un sistema articolato di indirizzi, di misure per la promozione e l’incentivazione di piani e strumenti per migliorare i livelli di sicurezza da parte degli enti proprietari delle strade, di interventi infrastrutturali, di misure di prevenzione e controllo, di dispositivi normativi e organizzativi, finalizzati al miglioramento della sicurezza in linea anche con gli obiettivi comunitari. Il Piano doveva essere attuato con programmi annuali predisposti dallo stesso Ministero ed aggiornato ogni tre anni. La legge n.144/1999 prevedeva anche forme di finanziamento per i primi anni di applicazione che si sono rilevate esigue rispetto alle necessità evidenziate dal piano e non sono state rinnovate negli anni successivi. Di recente un gruppo di professori[14] ha consegnato al Ministero il “Piano Nazionale per la sicurezza stradale – Orizzonte 2030 che sicuramente può essere utile per la determinazione di un congro finanziamento da destinare ad interventi di messa in sicurezza dei tratti stradali più a rischio (punti neri) con particolare riguardo alle strade interne ai centri abitati dove si registra il 75% degli incidenti ed il 42% della mortalità. Dopo i finanziamenti dei primi tre anni, si potrebbe creare un circolo virtuoso destinando negli anni successivi una cifra proporzionata al risparmio del costo sociale ottenuto dalla riduzione degli incidenti, a seguito degli interventi realizzati negli anni precedenti. Con l’obiettivo di ottenere una riduzione degli incidenti pari al 5% ogni anno, il finanziamento nei primi tre anni può essere fissato in 2 miliardi/anno che corrisponde alla riduzione del 5% del costo sociale degli incidenti.
Nelle aree urbane un modo molto efficace per ridurre gli incidenti stradale e diminuire l’inquinamento atmosferico è quello potenziare il servizio di trasporto pubblico (TPL), specialmente su ferro, aumentando e completando, nelle grandi città, le reti metropolitane e tranviarie. Si devono prevedere stanziamenti adeguati da parte dello Stato a sostegno di quelli che potranno mettere a disposizione gli Enti locali. Sulla base di una stima di massima si possono prevedere finanziamenti di 3 miliardi per cinque anni da destinare ai Comuni per la costruzione di linee metropolitane o tranviarie e per l’acquisto di autobus elettrici o ibridi.
E’ opportuno anche precisare che, per ridurre drasticamente gli incidenti stradali, non bastano gli interventi sulle strade, o sul TPL, bisogna anche incidere sui comportamenti dei conducenti dei veicoli (di tutti i veicoli, compresi i monopattini e le biciclette) attraverso controlli su strada più frequenti e campagne di sensibilizzazione più efficaci e continue e soprattutto facendo osservare a tutte le scuole di ogni ordine e grado l’obbligo previsto dall’art. 230 del codice della strada che prevede l’insegnamento obbligatorio dell’educazione stradale.
Complessivamente le somme da impegnare ammontano a 5 miliardi per i primi tre anni e 3 miliardi per i successivi due anni.
Pasquale Cialdini
[1] Il D.lgs. 11 aprile 2011, n. 61 di recepimento della Direttiva 2008/114/CE ha così definito l’infrastruttura critica: “Infrastruttura, ubicata in uno Stato membro dell’UE che è essenziale per il mantenimento delle funzioni vitali della società, della salute, della sicurezza e del benessere economico e sociale della popolazione e il cui danneggiamento o la cui distruzione avrebbe un impatto significativo in quello Stato, a causa dell’impossibilità di mantenere tali funzioni”.
Ad avviso dello scrivente la stessa definizione si può anche applicare in ambito regionale o provinciale, sostituendo la parola “Stato” con la parola “Regione” o con la parola “Provincia”.
[2] A titolo esemplificativo e tenuto conto che, da una stima di massima i ponti e le gallerie che sull’intero territorio nazionale, necessitano interventi sono circa 25.000, con una cifra di 3 miliardi si potrebbero risanare 1.800 ponti e 200 gallerie all’anno dando lavoro a 1.000 imprese (in media due ponti/gallerie per ciascuna impresa) ed in 5 anni si potrebbe risanare, 9.000 ponti e 1.000 gallerie più a rischio che rappresentano il 40% del totale dei ponti/gallerie.
[3] Per le opere “incompiute” che si ritengono “non utili” va effettuata un’attenta valutazione sui lavori già effettuati per vedere se possono essere utilizzati per altri scopi.
[4] Con “golden rule” (regola aurea) s’intende la regola di bilancio secondo la quale gli investimenti pubblici possono essere scorporati dal computo del deficit ai fini del rispetto del patto di stabilità fra gli stati membri dell’Unione europea.
[5] Tratto dall’intervento di Andrea Monorchio (all’epoca Ragioniere Generale dello Stato) durante un incontro ECOFIN a Bruxelles del dicembre 2001.
[6] E’ errato e fuorviante chiamare la Torino-Lione “TAV” perché non ha le caratteristiche di “alta velocità” ma di “alta capacità”, sarebbe più giusto chiamarla TAC. La velocità di progetto non supera i 180 km/h ed è destinata prevalentemente al trasporto merci. (L’Alta velocità, invece, prevede una velocità di oltre 240 km/h ed è prevalentemente destinata al trasporto viaggiatori.
[7] La sigla FESR identifica i Fondi Europei di Sviluppo Regionale e la sigla FEAMP i Fondi Europei per gli Affari Marittimi e la Pesca.
[8] Le ZES (Zone Economiche Speciali) sono state introdotte e disciplinate con D.L. n.91/2017, convertito con modificazioni in legge 3 agosto 2017, n.123. Con DPCM 25 gennaio 2018 è stato adottato il Regolamento che ha istituito 4 ZES (ZES Calabria, ZES Campania, ZES Ionica (interregionale Puglia-Basilicata) e ZES Adriatica (interregionale Puglia-Molise)
[9] Il “reshoring” è l’opposto dell’”offshoring” ed è un fenomeno economico che consiste nel rientro a casa delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato in Paesi asiatici come Cina o Vietnam o in Paesi dell’Est Europa come Romania o Serbia.
[10] Con il termine di “retroporto”, ci si riferisce generalmente ad un terminal di tipo intermodale destinato alla merce, che è situato generalmente in una località che si trova nelle prossimità di un porto marittimo, nei pressi della quale sia anche poi presente una area con il modello intermodale di trasporto, comprendente le due modalità stradale e ferroviaria, e spesso anche aree di altro tipo, con funzioni di distribuzione, servizi di raccolta e via dicendo.
[11] “Distripark” è un polo logistico integrato destinato all’immagazzinamento, alla lavorazione, al controllo di qualità e alla distribuzione di merci, spesso in un’area che gode dei benefici doganali.
[12] E’ importante sottolineare Alta Capacità, perché gli organi di stampa usano sempre il termine TAV che, anche in questo caso, come per la Torino-Lione non è corretto.
[13] Il Piano Sud 2030 è stato presentato il 12 febbraio 2020 a Gioia Tauro dal Presidente Conte e da Ministro del Sud e della Coesione Territoriale, prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria
[14] Hanno partecipato alla redazione del Piano professori delle facoltà di Ingegneria di Roma (La sapienza e Roma 3), Firenze, Cagliari e Brescia.