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Maritain riflette sul compito temporale del cristiano nel lavoro di trasformazione delle strutture sociali, ed espone le ragioni per cui ogni cambiamento sociale è opera di santità. L’attività temporale del cristiano certamente si rivolge al mondo e la cultura, ma il compito del cristianesimo non è quello di creare nuovi “feudi cristiani”, ma di operare in accordo con la propria “missione trasformatrice” di ciò che è profano. Tale missione è diretta non solo al mondo e alla cultura, ma anche all’azione sociale e política. Anche in questi campi il cristiano lavora per la trasformazione dell’ordine temporale: il sociale-cristiano è inseparabile dallo spirituale-cristiano, dice Maritain. Pertanto «è impossibile che una trasformazione vitalmente cristiana dell’ordine temporale» si produca secondo modalità e logiche delle altre trasformazioni temporali. Questa trasformazione richiede qualcosa di eroico da parte dei cristiani: la loro santità. Ma in che modo? E secondo quale stile?

Ogni rinnovamento sociale è opera di santità

Vorremmo proporre qui alcune considerazioni sul compito temporale del cristiano nel lavoro di trasformazione del regime sociale. Rileviamo anzitutto che, almeno per il pensiero cristiano, il dualismo dell’età precedente sembra essere liquidato. Per il cristiano, il separatismo e il dualismo, siano essi del tipo machiavellico o del tipo cartesiano, han fatto il loro tempo. Si produce ai giorni nostri un importante processo di integrazione, col ritorno a una saggezza insieme teologica e filosofica, a una sintesi vitale.

Le cose del dominio politico ed economico devono così trovarsi, conforme alla loro natura, integrate all’etica.

D’altra parte, questa presa di coscienza del sociale, che mancava più o meno al mondo cristiano o detto cristiano dell’età moderna, comincia infine a effettuarsi per il cristiano. E qui un fenomeno di importanza considerevole, tanto più che questa presa di coscienza si fa, sembra, e si farà sempre più, in una giusta intelligenza della storia moderna e dei suoi processi normali viziati ieri dal materialismo capitalistico, oggi dal materialismo comunistico che gli è seguito.

Contemporaneamente, appare ciò che si può chiamare la missione propria dell’attività profana cristiana verso il mondo e la cultura. Si direbbe, da questo punto di vista, che, mentre la Chiesa stessa, preoccupata anzitutto di non infeudarsi ad alcuna forma temporale particolare, è sempre più liberata non dalla cura di giudicare dall’alto, ma da quella di amministrare e di gestire il temporale e il mondo, il cristiano vi si trova impegnato sempre più, non in quanto cristiano o membro della Chiesa, ma in quanto membro della città temporale; dico in quanto membro cristiano di questa città, cosciente del compito che gli incombe di lavorare all’instaurazione di un nuovo ordine temporale nel mondo.

Ma il cristiano cosciente di queste cose dovrà abbordare anche l’azione sociale e política, non solo per mettere a servizio del proprio paese, come ciò è sempre avvenuto, le capacità professionali che può avere in questo campo, ma anche e inoltre per lavorare, come s’è detto, alla trasformazione dell’ordine temporale.

Ora, è chiaro, che il sociale-cristiano essendo inseparabile dallo spirituale-cristiano, è impossibile che una trasformazione vitalmente cristiana dell’ordine temporale si produca nello stesso modo e con gli stessi mezzi delle altre trasformazioni e rivoluzioni temporali. Se avrà luogo, sarà funzione dell’eroismo cristiano.

«La rivoluzione sociale sarà morale o non sarà». Questo celebre motto di Charles Péguy può essere inteso a rovescio. «Non significa: prima di trasformare il regime sociale, è necessario che tutti gli uomini siano convertiti alla virtù. Così inteso non sarebbe che un pretesto farisaico per eludere ogni sforzo di trasformazione sociale. Le rivoluzioni sono l’opera d’un gruppo d’uomini relativamente poco numeroso, i quali vi consacrano tutte le loro forze: a questi uomini si rivolge la frase di Péguy. E significa: voi non potete trasformare il regime sociale del mondo moderno che provocando nello stesso tempo, e anzitutto in voi stessi, un rinnovamento della vita spirituale e della vita morale, scavando sino ai fondamenti spirituali e morali della vita umana, rinnovando le idee morali che presiedono alla vita del gruppo sociale come tale, e svegliando nelle profondità di questo, uno slancio nuovo…

Ebbene, il più vero e perfetto eroismo, l’eroismo dell’amore, non ha qui nulla da dire? Una volta riconosciuto infine dalla coscienza cristiana il campo proprio del sociale, con le sue realtà, le sue tecniche, la sua caratteristica «ontologia», la santità cristiana non dovrà lavorare anche li ove lavora l’eroismo particolare della falce e del martello? Non è tempo che la santità, dal cielo del sacro che quattro secoli di stile barocco le avevano riservato, scenda alle cose del mondo profano c della cultura, lavori a trasformare il regime terreno dell’umanità, faccia opera sociale e politica?

Sì, certo, a condizione che rimanga santità e non si perda in cammino. Lì è tutto il problema.

Ci sono, per la comunità cristiana, in un’epoca come la nostra, due pericoli inversi: il pericolo di cercare la santità solo nel deserto, e il pericolo di dimenticare la necessità del deserto per la santità; il pericolo di rinchiudere unicamente nel chiostro della vita interiore e delle virtù private l’eroismo che la santità deve dispensare al mondo, e il pericolo di concepire questo eroismo, quando si riversa sulla vita sociale e si applica a trasformarla, a guisa dei suoi avversari materialisti e su un tipo tutto esteriore, ciò che è pervertirlo e dissiparlo. L’eroismo cristiano non ha le stesse sorgenti degli altri; procede dal cuore di un Dio flagellato e volto in derisione, crocifisso fuori dalle porte della città.

È tempo per esso di por mano, di nuovo e come già nei secoli medievali, alle cose della città terrena, ma sapendo bene che la sua forza e la sua grandezza sono d’altrove e di un altro ordine (Du Régime temporel et de la Liberté, pp. 166-67, 169-70).

Così un rinnovamento sociale vitalmente cristiano sarà opera di santità o non sarà; dico d’una santità volta verso il temporale, il secolare, il profano. Il mondo non ha conosciuto capi di popolo santi? Se una nuova cristianità sorge nella storia, sarà l’opera di una tale santità.

Uno stile nuovo di santità

Ed eccoci condotti di fronte a un nuovo e ultimo problema sul quale dirò solo poche parole. Se i nostri rilievi sono esatti, si è in diritto di attendere una spinta di santità di stile nuovo.

Non parliamo di un tipo nuovo di santità, questa parola sarebbe equivocare — il cristiano non riconosce che un tipo di santità eternamente manifestata in Cristo. Ma mutando le condizioni storiche possono dar luogo a modi nuovi, a stili nuovi di santità. La santità di san Francesco ha altra fisionomia da quella degli Stiliti, la spiritualità dei gesuiti, la spiritualità domenicana o benedettina rispondono a stili diversi. Così si può pensare che la presa di coscienza dei compiti temporali del cristiano chiami a un nuovo stile di santità, che si può caratterizzare anzitutto come la santità e la santificazione della vita profana.

A dire il vero, questo nuovo stile è nuovo soprattutto nei confronti di certi concetti erronei e materializzati. Così, quando questi subiscono una specie di accasciamento sociologico — e ciò è accaduto spesso nell’età umanistica classica — la distinzione ben conosciuta degli stati di vita (stato regolare e stato secolare), compresa in un senso materiale, è intesa in modo inesatto. Lo stato religioso, cioè lo stato di quelli che si votano alla ricerca della perfezione, è allora visto come lo stato dei perfetti, e lo stato secolare come quello degli imperfetti, di guisa che il dovere e la funzione metafisica degli imperfetti è d’essere imperfetti e di restar tali, di condurre una buona vita mondana non troppo pia e solidamente piantata nel naturalismo sociale (anzitutto in quello delle ambizioni familiari). Ci si scandalizzerebbe se dei laici cercassero di vivere diversamente: si preoccupino soltanto, mediante pie fondazioni, di far prosperare sulla terra dei religiosi che, in cambio, guadagneranno loro il Cielo, e l’ordine sarà così soddisfatto.

Più profondamente, e noi tocchiamo una questione molto importante della filosofia della cultura, si può rilevare che c’è una maniera non cristiana ma pagana di intendere la distinzione tra il sacro e il profano.

Per l’antichità pagana, santo era sinonimo di sacro, cioè di ciò che è fisicamente, visibilmente, socialmente a servizio di Dio. Ed è solo nella misura in cui era penetrata dalle funzioni sacre, che la vita umana poteva avere un valore inani a Dio. Il Vangelo ha profondamente mutato ciò, interiorizzando nel cuore dell’uomo, nel segreto delle relazioni invisibili tra la personalità divina e la personalità umana, la vita morale e la vita di santità.

Da allora il profano non si oppone più al sacro come l’impuro al puro, ma come un dato ordine di attività umane, quelle il cui fine specificatore è temporale, s’oppone a un altro ordine di attività umane socialmente costituite in vista di un fine specificatore spirituale mediante la predicazione della parola di Dio e la distribuzione dei sacramenti. E l’uomo impegnato in questo ordine profano o temporale d’attività può e deve, come l’uomo impegnato nell’ordine sacro, tendere alla santità – e per giungere lui stesso all’unione divina e per attirare verso il compimento delle volontà divine l’ordine tutto intero al quale appartiene. Di fatto, quest’ordine profano, in quanto collettivo, sarà sempre deficiente (E l’ordine delle attività sacre sarà esso stesso, in quanto umano-collettivo, sempre deficiente quaggiù. E in quanto assistita in modo speciale dallo Spirito e in quanto retta dal suo Capo invisibile – e dal suo Capo visibile, quando agisce in nome della sua autorità universale – che la Chiesa non può essere deficiente). ma noi dobbiamo tuttavia, e dobbiamo tanto più, volere e sforzarci affinché sia ciò che deve essere. Perché la giustizia evangelica domanda da sé di tutto penetrare, di impadronirsi di tutto, di scendere sino al più profondo del mondo.

Ebbene, si può rilevare che questo principio evangelico s’è tradotto e manifestato nei fatti solo progressivamente e che il suo processo di realizzazione non è ancora terminato.

Le quali osservazioni ci fanno meglio capire il significato di questo nuovo stile di santità, di questa nuova tappa nella santificazione del profano di cui abbiamo parlato or ora. Aggiungiamo che questo stile, toccando alla spiritualità stessa, dovrà senza dubbio comportare caratteri particolari propriamente spirituali – a esempio un insistere sulla semplicità, sul valore delle vie ordinarie, su quel tratto specifico alla perfezione cristiana d’essere la perfezione non di un atletismo stoicistico di virtù, ma di un amore tra due persone, la persona creata e la Persona Divina, infine su quella legge di discesa dell’Amore increato nelle profondità dell’umano per trasfigurarlo senza annullarlo, di cui s’è parlato nel capitolo precedente — caratteri di cui alcuni santi dell’età contemporanea sembrano avere il compito di farci presentire l’importanza. E tutt’al più nell’ordine delle cose che questo nuovo stile e questa nuova spinta di spiritualità comincino ad apparire non nella vita profana stessa, ma in certe anime nascoste al mondo, le une viventi nel mondo, le altre alla sommità delle più alte torri della cristianità, cioè negli Ordini più altamente contemplativi, per espandersi di là sulla vita profana e temporale.

Il mistero del mondo

Ci riserviamo di riprendere più tardi la questione del mondo e del suo significato, che è capitale per la filosofia cristiana e i cui molteplici problemi richiedono uno studio approfondito. In questo capitolo abbiamo potuto soltanto toccare le parti più esteriori del soggetto e indicare alcune posizioni generali, che ci sembrano importanti come principio.

Riassumiamo queste posizioni: crediamo che nell’attesa dell’al di là della storia, ove il Regno di Dio sarà compiuto nella gloria della piena manifestazione, la Chiesa è già il Regno di Dio nell’ordine detto spirituale e allo stato pellegrinale e crocifisso; e che il mondo, l’ordine detto temporale, questo mondo rinchiuso nella storia, è un dominio diviso e ambiguo — insieme di Dio, dell’uomo e del «principe di questo mondo».

La Chiesa è santa, il mondo non è santo; ma il mondo è salvato in speranza e il sangue di Cristo, il principio vivificatore della Redenzione, vi agisce già; un’opera divina e nascosta vi si persegue nella storia e a ogni età di civiltà, sotto ogni «cielo storico», il cristiano deve lavorare a una realizzazione proporzionata (attendendo la realizzazione definitiva del Vangelo, che è per dopo il tempo) a una realizzazione delle esigenze evangeliche e della saggezza pratica cristiana nell’ordine sociale-temporale; realizzazione contrariata essa stessa, di fatto, e più o meno mascherata e deformata dal peccato: ciò è un altro affare.

Gli uomini presi collettivamente, vivendo più spesso «nel senso» e non secondo la ragione, il lavoro di cui parliamo (quando i cristiani stessi non vi fanno difetto — nel qual caso sono forze avverse che ne prendono cura, sotto il segno della distruzione) è, secondo il corso ordinario delle cose, tanto più combattuto e tanto più tradito quanto più riesce a passare nell’esistenza: di qui una necessità di ricominciamento, di ripresa di sforzo nel punto più basso, obbligando la storia a superarsi «di caduta in caduta» perpetuamente essa stessa, sino a quando perverrà al termine.

 

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