La corrente di “Base”, la “sinistra politica” della Democrazia Cristiana compie, tra pochi giorni, settant’anni, ma il suo impianto storico, ideale e politico non li dimostra.

Fu il 27 settembre 1953, appena tre mesi dopo le politiche del 7 giugno, destinate a segnare la crisi della coalizione tra DC e partiti minori, promossa da De Gasperi cinque anni prima, dopo aver conquistato in Parlamento la maggioranza assoluta. A Belgirate, Villa Carlotta, promosso da “Albertino” Marcora, si tenne il convegno da cui prese le mosse la nascita della corrente di “Base”, la sinistra politica della Democrazia Cristiana.

“Sinistra” sì, ma sempre consapevole – così è stato insegnato a molti di noi che negli anni di Belgirate eravamo ancora bambini – di rappresentare la posizione più avanzata di una forza politica moderata, nel senso originario e nobile del termine – quando la “moderazione” era ancora una virtù – e centrale, non “centrista”, per lo sviluppo democratico dell’Italia, per l’allargamento delle basi dello Stato, attraverso un coinvolgimento attivo nella vita civile del Paese dei lavoratori e di quei ceti popolari che il cattolicesimo-democratico non intendeva regalare al social-comunismo.

Sinistra “politica”, che, al programma di giustizia, di democrazia e di libertà condiviso, all’interno della Democrazia Cristiana, con la consorella “sinistra sociale”, aggiungeva una domanda cruciale, che, a quel primo inizio, era azzardato perfino porre e quasi impossibile osare rispondervi. La domanda fin d’allora concerneva le alleanze politiche, necessarie a sostenere il rinnovamento strutturale del Paese e le riforme che lo rendessero possibile. Scongiurando il pericolo che, di fronte alle difficoltà della formula centrista, la Democrazia Cristiana fosse tentata di chiudersi in una sorta di blocco d’ordine, tradendo la sua effettiva vocazione o meglio la sua stessa funzione storica, diretta ad avviare l’Italia verso una esperienza di autentica vita democratica, che mai prima aveva conosciuto.

Affrontare il tema di nuove e più avanzate alleanze politiche significava, in quel momento, guardare con attenzione ai primi accenni di un nuovo indirizzo che si andava timidamente affermando nel PSI e, dunque, immaginare come si potessero superare steccati ideologici e culturali prima che immediatamente politici. Steccati e barriere allora tanto più impegnative quanto più le forze politiche di quella stagione non risolvevano il loro ruolo sul piano della mera prassi o di un generico riformismo, bensì rinviavano la loro azione politica ad una concezione organica – si direbbe “teleologica” – del divenire sociale, a sua volta espressione di una radicata cultura di fondo, per lo più cristallizzata in forme ideologiche, eppure espressiva di una vera e propria filosofia della storia.

Alleanze problematiche in cui ciascun contraente si metteva seriamente, si direbbe pericolosamente in gioco. Rischiando letteralmente – in modo particolare la Democrazia Cristiana, nei confronti del vasto e, fin da allora, plurale “mondo cattolico” – la propria capacità di rappresentanza popolare e la propria tavola dei valori, sfidando, per certi aspetti, lo stesso consolidato “abito mentale” del proprio elettorato.

Tutto ciò richiedeva, per non esporre il Paese all’aleatorietà di un’avventura destabilizzante, un forte, solido e condiviso ancoraggio istituzionale, che solo il comune riconoscersi nella Carta Costituzionale e nella sua genesi storico-politica poteva garantire.

Non a caso, la Base – frutto della convergenza, in un disegno da costruire insieme, di gruppi ed ambienti di differente provenienza territoriale, animati da un comune impegno di rinnovamento, anche organizzativo, del partito e da qui la sua denominazione – ha rappresentato il momento della più viva “intelligenza politica” delle dinamiche e delle nuove domande che la società andava maturando e, nel contempo, il luogo, dentro e fuori la DC, in cui il tema “istituzionale” è stato posto con maggiore puntualità e maggior rigore.

Secondo quella declinazione di congruenza e di reciprocità tra momento politico e dato istituzionale che è andata via via affievolendosi, fino ad essere sostanzialmente compromessa, cosicché, tuttora, di tale processo involutivo dello stesso impianto di garanzia democratica, paghiamo le pesanti conseguenze.

Domenico Galbiati

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