Premetto che un fine giurista come Francesco Paolo Casavola affermò, in mia presenza, nel corso di una cerimonia pubblica:”In Italia le leggi si applicano per i cittadini e s’interpretano per gli amici” (da “Una vita nel Palazzo”, editore Gangemi, di Michele Marino). Aggiungo che lo Stato italiano si fonda, tra l’altro, sull’art. 3 della Costituzione, il cui principio prende le mosse da quello storico della rivoluzione francese e che si legge in tutte le aule giudiziarie: “La legge è uguale per tutti”.

Ciò nonostante, ognuno di noi deve assistere quotidianamente ad una serie invereconda e assurda di situazioni, quanto meno “border line”, in cui andiamo a constatare che lo Stato di diritto, strutturato in ben tre gradi di giudizio e sull’obbligatorietà dell’azione penale, si trasforma paradossalmente in Stato “dei dritti!”… E l’antico brocardo dura lex sed lex diventa un grottesco concetto, in cui ciascuno s’arrangia come può all’insegna del peggior stile “gattopardesco”, dalle minime cose alle più rilevanti, ad esempio: dalle autovetture permanentemente in divieto di sosta davanti cui i vigili urbani passano inosservatamente grazie alla “generosità” dei ristoratori o baristi, all’inosservanza della legge che disciplina in modo abbastanza scrupoloso le regole per la sicurezza sul lavoro, le cui responsabilità gestionali, preventive e cautelative, vengono astutamente aggirate anche con l’ausilio o la reticenza dei sindacati; dal mondo dell’ecomafia che spadroneggia nella gestione di impianti di energia rinnovabile o nello smaltimento dei rifiuti attraverso società di comodo con capitale sociale di pochissime migliaia di euro, alle quali corrispondono milioni in termini di business; per arrivare al calcio ove le società sono spesso colpevoli di falso in bilancio o altro, non che i procuratori dei calciatori di cui non c’è traccia dei lauti guadagni e relative evasioni/elusioni.

Il “cahier de doleances” prosegue, purtroppo (soprattutto per noi grandi contribuenti del reddito pubblico) con la classica fantasia italica che comporta l’aggiramento di norme apparentemente tassative come quella sul tetto massimo di 240 mila euro annui per chi percepisce un reddito statale. In realtà, viene sistematicamente superato in due maniere: a) con una deroga “amministrativa” che consente ciò a determinate categorie come i professori universitari ed i magistrati di ogni ordine; b) a mezzo di un’interpretazione cosiddetta estensiva che distingue i redditi pubblici, alias percepiti direttamente dal bilancio statale, da quelli “tecnicamente” privati (vedasi quello dell’ex commissario Emergenza COVID-19, considerato manager a contratto privato con INVITALIA) con effetti direi astronomici …

Ed ancora bisogna sopportare il fenomeno del lobbismo occulto, spesso corrotto e corruttore,  legato alla vendita di armi e conseguenti, modernissime tecnologie; e quindi all’esportazione dei capitali all’estero, alle innumerevoli società “fantasma” o “matrioske” in cui primeggiano sedi e nominativi sconosciuti o “fantocci” di fatto irresponsabili; alla gestione di frequente spregiudicata di enti parastatali e consorzi pubblici che, di norma, sono soggetti a procedura di commissariamento, mai soppressi o unificati al fine di un serio, inequivocabile contenimento della spesa pubblica; alla proliferazione sconsiderata di fondazioni “culturali” in mano a politici di primo piano o ex parlamentari che, cumulativamente, riescono ad amministrare non pochi fondi, senza adeguata trasparenza e con finalità, spesso, autoreferenziali.

Concludo con una nota critica al “plafond del budget” per l’organizzazione delle Olimpiadi invernali 2026, già gonfiatesi in misura spropositata e in assenza di qualche obiezione finanziaria o contabile di rilievo.

A questo punto il grande Troisi avrebbe potuto dire con il suo, spiccato sarcasmo: “non ci resta che piangere …”, e l’indimenticato Totò, principe della risata: “e io pago!”. Dunque, la vera rivoluzione “legale” sarebbe semplicemente l’attuazione puntuale del principio costituzionale: “E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge dello Stato”, posto all’ultimo articolo delle leggi ordinarie della Repubblica italiana.

Michele Marino

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