Viviamo in un mondo complicato.
Ed anche la struttura, il modus operandi, il ruolo di una forza politica – cioe’ di un partito, per chiamare le cose con il loro nome – deve tenerne conto. Non basta replicare ciò che possiamo desumere da una ripetizione asettica delle nostre esperienze passate. Rischieremmo un parto distocico.
Ogni partito, per sua natura, ha in sé una contraddizione: essere “parte” eppure riportare a sintesi il “tutto”; rappresentare interessi “particolari”, eppure inscriverli dentro l’interesse “generale” della collettività.  In fondo, è qui che vince o meno la sua sfida.
In ogni caso, chi, in una stagione di opacità e di inerzia della politica, pur continua a militare in un partito o si appresta a farlo, dovrebbe chiedersi quale ambizione pensi di attribuire oggi all’ azione politica. La quale tende – ormai da qualche decennio e non solo da noi – a restringersi ad un ruolo in qualche modo collaterale o di mero accompagnamento di eventi che sembrano sfuggirle e svilupparsi piuttosto secondo una dinamica intrinseca al loro stesso accadere, per nulla condizionata da una volontà collettiva, democraticamente attestata, che ne guidi l’indirizzo.
Sarebbe necessaria, anzitutto, la capacità di pensare a lungo termine, di proiettare nel tempo la ricaduta degli atteggiamenti che assumiamo oggi e delle scelte che facciamo, sfuggendo alla tenaglia di un presente che ci cattura nell’immediatezza della crisi contingente. Servirebbe anche una spiccata attitudine a fare sintesi, a riportare l’insieme delle questioni in campo ad una punto di valutazione complessiva. In altri termini, oggi una forza politica dovrebbe essere anche una sorta di “comunita’ di pensiero” cui si aderisce in nome di un generale indirizzo politico, ma anche recandovi una personale e specifica competenza. Cosicché vivano insieme, in un rapporto di fecondazione reciproca, “sapere”, anche tecnico, e passione politica e civile.
Così si costruisce o si rafforza la stessa autonomia di una forza politica. La partecipazione alla vita democratica della propria comunità, di cui i partiti rappresentano uno strumento privilegiato, ne verrebbe arricchita, valorizzando una complementarieta’ dei saperi analoga a quanto avviene, ad esempio, in ambito scientifico.
Campo nel quale, non a caso, valgono le “reti” e la interdisciplinarieta’, cioè gli strumenti di una ricerca e di un pensiero costruito collegialmente da esperti. Ognuno dei quali ha una competenza circoscritta, ma rispetta un patto di oggettività, di reciproca tolleranza, di apertura al dubbio ed all’accettazione di nuovi paradigmi teorici e conoscitivi.
Ed è in virtù di tale disposizione mentale e morale, grazie alla fiducia ed al rispetto reciproco che si fa scienza e si avanza verso nuove acquisizioni che, per quanto parziali, sono pur sempre schegge di verità.
Anche la politica ed i partiti, per analogia, devono adottare un atteggiamento aperto, evitando di chiudersi nel palazzo, in un’ atmosfera rarefatta lontana dalla vitalità’ inesausta di una società che via via si trasforma.
I sistemi chiusi in cui le idee si ossificano nelle ideologie sono destinati a morire di asfissia, costretti a ragionare solo per deduzione, incapaci di imparare induttivamente dall’esperienza. Cosa che sanno fare sistemi dialetticamente aperti, capaci di intercettare l’onda lunga dell’evoluzione sociale e di accompagnarla verso approdi dotati di senso.
Tutto cio’ ha sicuramente a che vedere con il “modello” di partito che di intende costruire. Tema su cui sarebbe bene aprire tra di noi un approfondimento collegiale. Senza mai scordare – vale per le forze politiche e per le stesse istituzioni – che, oltre i modelli e, talvolta, a loro dispetto, vale sopra ogni cosa il “fattore umano”.
Domenico Galbiati

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