C’è qualcosa di profondo nella crisi politica che sta paralizzando l’azione di governo. Al di là di tatticismi di questo o quel partito, del nervosismo di questo o quel gruppo della maggioranza, dell’insofferenza di questo o quel leader, c’è ciò che evidenzia una crisi di sistema.

Tatticismi, nervosismi, insofferenze caratterizzano il percorso di ogni coalizione. E non potrebbe essere altrimenti, visto che il governo deve fare sintesi tra diversi legittimi interessi, a volte contrastanti. Infatti, ogni partito porta avanti le aspettative dei propri gruppi sociali di riferimento, nel quadro di un sistema di valori di riferimento. Il governo cerca la quadra per non scontentare nessuno.

Questa crisi, invece, è qualcosa di diverso: i partiti della maggioranza si sono ribellati al Presidente del consiglio. Per ragioni di opportunità e strategie diverse, ognuno si è ribellato a proprio modo: Matteo Renzi sbraitando dando libero sfogo alla faziosità tipica dei fiorentini; il Pd alzando ogni tanto la voce, poi facendo finta di mordersi la lingua; M5s è talmente aggrappato a Conte che rischia di tirarlo giù, pronto a mollarlo se effettivamente imbocca la discesa. L’unico partito della coalizione fuori da questi giochi è Leu, ovvero Liberi e uguali. In questa drammatica fase storica, con la pandemia in corso da mesi, è il partito che sta dimostrando maggiore responsabilità, avendo anche la guida del Ministero della salute, quello più “delicato”, dove Roberto Speranza sta dando un’eccellente prova di maturità. Un recente sondaggio su scala europea pubblicato da “La Repubblica” nei giorni scorsi, rileva che la maggioranza dei cittadini europei rimprovera ai governi di essere stati troppo “morbidi” contro il Coronavirus: chi ha accusato Speranza di essere troppo rigido, dovrebbe riflettere.

Dunque, mai come in questa circostanza storica, il Presidente del consiglio è più assediato che sostenuto dalla coalizione. Alcuni autorevoli commentatori ritengono che la debolezza di Conte dipenda dal fatto di essere senza partito. Nonostante le sue simpatie grilline, è fuori dubbio che il Presidente del consiglio non appartiene a nessun partito e nessun partito lo rivendica come proprio. Perché questa è la vera forza di Conte: non cadrà perché è senza partito, ma perché ha cercato di rimettere i partiti nel proprio recinto. Questo è il nocciolo del problema. Quanto più i partiti oggi sono deboli nella società, tanto più sono affamati nelle stanze del potere. Il governo Conte è il primo caso nella storia repubblicana di un presidente del consiglio non politico, con un governo politico, sostenuto da una maggioranza politica. Diversi sono stati i presidenti del consiglio non politici, ma venivano identificati come “tecnici”: i partiti li hanno sostenuti, ma lavandosene le mani.

La novità Conte può segnare una svolta importante nel sistema istituzionale: l’avvio di un processo che porta alla ridefinizione dei rapporti tra Governo e Parlamento.  A mio avviso, ad esempio, va abolito, adottando i dovuti accorgimenti, il voto di fiducia perché si è rivelato un sopruso verso il Parlamento. Nello stesso tempo ogni provvedimento dev’essere approvato dalla maggioranza assoluta dei componenti, non dei presenti. Per fare questo è necessario prima di tutto rafforzare il Parlamento con due riforme fondamentali. La prima, adottando un rinnovo parziale, per esempio un terzo alla volta, e così nessuno più invoca elezioni anticipate. Secondo, introducendo un sistema elettorale che riconosca il ruolo centrale dei partiti, ma dia più potere di scelta agli elettori: per esempio istituendo collegi binominali a doppio turno, nel caso nessuno  al primo  superasse il 50%. Collegi binominali perché ogni collegio elegge una donna e un uomo, così il Parlamento sarà equamente formato dallo stesso numero di donne e di uomini.

Luigi Ingegneri

 

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