Alcuni giorni fa il Presidente del consiglio e altri membri del gabinetto sono stati ascoltati dai procuratori di Bergamo. Potremmo interpretare questo fatto come l’ennesima espressione di un equilibrio di poteri (la “ditta”?) che intende mettere in chiaro chi detiene ancora il diritto all’ultima parola? E potremmo dire – con ulteriore sforzo di sintesi – che tale equilibrio, che regge dalla fine del “biennio terribile” ’92-’93 – ha, in ultima analisi, nel PD il suo architrave?

Tocchiamo un altro punto nevralgico: il regionalismo spinto, voluto, più di ogni altro, proprio dal Pd – i maligni dicono per avere poltrone sicure e il controllo delle municipalizzate – sta oggi creando problemi: centri di potere che si sono autonomizzati e contestano frontalmente il governo centrale. Ma il problema è che si tratta di centri spesso interni allo stesso PD!

L’ipotesi – che comincia ad essere messa in circolo – di un secondo mandato a Mattarella ed altri segni di insofferenza verso Conte, ci suggeriscono che il PD attraversa un momento di forte difficoltà e, nell’ormai disperato tentativo di limitare il ruolo del premier (ormai spintosi ben oltre il perimetro originariamente previsto), i vertici di questo partito puntano tutte le chances su due carte (le ultime?):

  1. non muovere dalle posizioni-chiave nessuna delle persone sicure (per non correre rischi troppo alti);
  2. conservare e difendere, come il bene più prezioso, il riconoscimento di garante unico, sul suolo italiano, dell’Unione e del MES.

I sondaggi sono infatti chiari: il Pd non è il primo partito d’Italia e non potrà esserlo fino a che rimarranno in circolazione 5 stelle e Lega.

Conte garantisce infatti sia la sopravvivenza dei suoi amici e dei 5 stelle, sia l’immobilismo del Pd, ma anche la superiorità della Lega nei consensi elettorale (che viene ridimensionata ma non tanto quanto occorrerebbe): Salvini infatti è diventato più cauto ed è riuscito a frenare l’emorragia.

Da tutte queste premesse/constatazioni deriva un minimo denominatore comune: il “regime Pd” è alle corde, la crisi economica che avanza non ha risposte se non nell’abbandono completo del sistema che ha avuto – praticamente dal 1992 – in questo partito (e nei suoi antecedenti) il suo perno.

Secondo alcuni la “ditta” dovrebbe urgentemente arrivare ad un nuovo accordo con quella parte del mondo cattolico che oggi è l’unico vero aiuto su cui può ancora contare. Ma questa componente dell’equilibrio delicato che tutto tiene, chiede qualcosa che è difficile concedere: l’abbandono al loro destino delle rumorose minoranze dei cosiddetti “diritti civili” che – invece – non si accontentano di ciò che hanno ottenuto e sospingono sul proscenio, ancora una volta, la senatrice Cirinnà con la campagna sulla legge anti-omofobia.

Insomma, l’uomo sulla graticola oggi non è il premier Conte – rivelatosi abilissimo navigatore politico che fa scomparire lo skypper D’Alema nelle secche del suo vigneto toscano – ma è piuttosto Zingaretti che non solo non ha saputo contenere Conte, non ha piegato Salvini, non ha messo sotto controllo la Chiesa Cattolica, non ha contenuto i suoi colleghi regionalisti, non ha potuto prevenire (né ha saputo adeguatamente fronteggiare) la grave crisi che vive la magistratura, ma non ha neppure un esecutivo alternativo.

Allarghiamo ancora un po’ lo sguardo: la scusa della pandemia regge sempre meno di fronte ai veri problemi della vita di tutti i giorni.

L’episodio pandemico rischia invece di capovolgersi nel suo contrario: la dimostrazione che – come l’Hiv – anche il Corona virus è uno degli ennesimi non problemi di una società ricca, che si lascia facilmente distrarre da quelli veri (come la povertà globale) che non vuole (e non sa) affrontare.

Una società post-opulenta che non ha fermato le guerre e non ha fermato la morte per fame, dovuta ad una siccità indotta da razzie politiche, che è molto più endemica del Corona virus.

Se guardiamo appena al di là della superficie, scopriamo anche che il Corona virus, invece, ha ridato nei paesi ricchi una nuova virtù umana alla Chiesa Cattolica. Ma questo è un altro discorso – ben più importante – che per ora si accantona.

Ma come per tutti i malati terminali, anche per il “regime del PD” sembra che siano rimaste solo due opzioni: resistere fino all’implosione finale, alla maniera delle vecchie classi politiche dirigenti pre-1992, o avanzare con una ipotesi completamente alternativa: un accordo con chi possa – sin da ora – fare da ponte per un inserimento nell’equilibrio (regime?) che verrà.

Le alternative sono poche e quelle accettabili ancora meno. Si parla di Berlusconi, di Di Maio, dello stesso (eterno) Conte. Nomi buttati lì: la scelta spetta a chi dovrà decidere. Credo che per il nostro segretario del Pd, come il buon padre che vuole liberare il figlio dalla brutta compagnia, è il prezzo che si vuol pagare a determinare la metodologia.

Ivo Foschini

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