Un amico di “Politica Insieme” suggerisce questa frase di John Steinbek: “La generazione più giovane rappresenta la freccia, la più vecchia l’arco”.
Detto terra terra, non ci sono uomini per tutte le stagioni. E chi pretendesse di esserlo, sciuperebbe, a suo danno, il sapore del tempo, il fascino del divenire e del trascorrere delle fasi della vita che via via maturano le une sulle altre.
Insomma, neppure conviene intestardirsi in una concezione circolare del tempo, tale per cui le esperienze ciclicamente tornano e la vita, arrotandosi su se stessa, si dissolve in un “deja-vu'” e smarrisce il gusto di ciò che è nuovo ed imprevedibile.
Anche presa da questo punto di vista un po’ esistenziale – a maggior ragione, abbordandola sotto il profilo dell’opportunità politica – la questione della classe dirigente di una forza politica nuova deve prevedere una precisa distinzione di ruoli.
Dobbiamo mettere in campo una squadra di giovani. Il nostro progetto ha bisogno di un grande sentimento di gratuità e di disincanto personale. Non avrebbe alcun senso se qualcuno lo concepisse come una sorta di girone di ritorno o di rivincita contro un destino cinico e baro, come taluno potrebbe ritenere.
Ci vuole generosità soprattutto da parte di chi ha già accumulato importanti esperienze, in particolare a livello parlamentare, per cui è sicuramente in grado di fare ancora politica. Senonché questo non significa necessariamente ricoprire tuttora una carica istituzionale o gestire un ruolo direttivo sul piano politico-partitico.
Significa, se mai, continuare a “pensare politicamente” ed essere disponibili a studiare, scrivere, tramandare una memoria, formare, sostenere, aiutare i più giovani ad acquisire il metodo e la giusta postura a fronte di situazioni fors’anche più complesse di quelle che molti di noi hanno conosciuto negli ultimi decenni.
Tutt’ altro che “rottamare”, dunque, ma piuttosto valorizzare, in maniera appropriata, l’esperienza maturata sul campo. Lasciando ai giovani il gusto di cimentarsi in una nuova avventura.
Del resto, per quanto la storia sia un “continuum” ininterrotto e perfino le “rivoluzioni” altro non siano che l’approdo di processi evolutivi di lunga durata che, in un certo momento, per la convergenza di particolari condizioni, giungono ad una maturazione esplosiva, ogni fase storica ha un proprio carattere peculiare e distintivo, una propria “cifra” indelebile.
E, meglio di chiunque altro, sono i figli di quel tempo che sanno leggerne, tra le righe degli eventi, il carattere effettivo. Ai giovani, peraltro, bisogna dare fiducia. Soprattutto, in una stagione di mutazioni profonde che, di per sé, segnano una frattura ed una discontinuità.
Non si tratta di prescindere da nessuno, ma piuttosto di realizzare quel concerto tra generazioni diverse che sia premio a se stesso nella misura in cui concorre al “bene comune” e, nel contempo, dà continuità e sviluppo a quella cultura politica del cattolicesimo democratico e popolare che rappresenta una ricchezza che appartiene all’intero Paese.
Domenico Galbiati