Il mancato invito di Trump a Ursula Von der Leyen chiarisce che considerazione abbia dell’Europa il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Per di più, la Presidente della Commissione Europea è stata costretta a precisare che Giorgia Meloni non la rappresenta e non ha ricevuto, da parte sua, nessun messaggio da recare a Trump.
In fondo, raccoglie quel che ha seminato, inseguendo palesemente un rapporto privilegiato con la nostra Presidente del Consiglio, quasi dovesse ottenere dai suoi Conservatori europei un “salvacondotto” che la garantisse nei confronti della sua stessa maggioranza politica e parlamentare. Oggettivamente, vien da chiedersi se e quanto la Von der Leyen, creata dalla Merkel, sia in grado di reggere il ruolo che le compete, una volta lasciata sola dalla storica ex-Cancelliera.
Intanto prende forma la genuflessione dell’Italia al nuovo potere.
Gli epigoni di Giorgia Meloni lanciano le nuove parole d’ordine, ricalcate dai due compagni di merenda che siederanno insieme alla Casa Bianca. “Rimigrazione” – esponenti leghisti l’hanno colta al volo e già la cavalcano – potrebbe essere l’indirizzo secondo cui, finalmente,
allinearsi al vero sentimento originario della maggioranza di governo, in ordine ai fenomeni migratori.
Denuncia della “mostrificazione” di AfD e, quindi, implicitamente consenso all’intromissione di Elon Musk nella vicenda elettorale tedesca. Del resto, un autorevole europarlamentare di FdI si è lasciato prendere dall’entusiasmo ed ha affermato – e non scherzava – che Musk vale almeno Leonardo Da Vinci.
Necessità, in nome dell’interesse “nazionale”, di ricorrere a Starlink. Per ora si sono fermati qui, ma non finiranno di stupirci.
Ad ogni modo, il brutale discorso di Trump e l’isolazionismo di ritorno che lascia intendere, se non altro, non lasciano spazio ad equivoci. Mettono l’Europa alle corde e la costringono a chiarire a sé stessa quale strada intenda imboccare. Se resistere ed imprimere una svolta davvero unitaria al suo destino oppure abbandonarsi sul viale del tramonto. In qualche modo, mantenuta nella sfera di influenza americana, ma concessa in comodato d’uso a Putin.
Ogni governo europeo – non meno del nostro – è costretto a prendere posizione e mostrare se il dichiarato “europeismo” è effettivamente tale o non piuttosto un modo elegante per perseguire ciascuno i propri interessi particolari.
Vale per noi, ma altrettanto per la Francia, sempre incline ad una buona dose di sciovinismo e mai dimentica della sua supposta “grandeur”. Vale per la Germania che, piagata e ripiegata sulle sue faccende interne, soffre un deficit di leadership e sente i morsi di una instabilità politica che non ha mai conosciuto fin qui e potrebbe persistere dopo le elezioni del mese prossimo.
Li attendiamo tutti alla prova, cominciando da casa nostra e la guerra in Ucraina sarà probabilmente la prima sfida.