I temi della vita e della morte andrebbero considerati con pacatezza, anziché con rabbia e con livore. Con una vera e schietta attenzione ai sentimenti, ai dubbi, alle sofferenze, spesso ai drammi che li accompagnano nel vissuto personale di ciascuno. Rispetto alla cui valenza intima ed esistenziale, la politica per sua natura, non può mai essere del tutto esaustiva, dovendosi declinare per leggi ed indirizzi di carattere generale.

C’è sempre un’ eccedenza della vita rispetto alla norma che, ovviamente, deve essere sancita, ma, se appena possibile, concepita in un contesto discorsivo che non sia pregiudizialmente ideologico. Esattamente il contrario di quanto sta avvenendo, soprattutto da parte di determinati ambienti della sinistra politica, a proposito dell’ emendamento, proposto dal governo, all’ art. 2 della 194.

Riemerge, per quanto in altra forma, un argomento che INSIEME ha sollevato, con una propria petizione (CLICCA QUI), oltre due anni fa. Il tema – si badi bene – non dell’ attacco alla 194, ma piuttosto della sua piena applicazione, anche in ordine a quei suoi primi articoli che riguardano possibili interventi di prevenzione dell’ IVG. Largamente disattesi da una concezione e da una prassi dei consultori sostanzialmente di carattere meramente procedurale e burocratico.

In altri termini, riconosciuta dal Parlamento e confermata dal suffragio popolare referendario la facoltà che, in determinate condizioni, la donna possa ricorrere all’ interruzione volontaria della gravidanza, non è lecito favorire che di altrettanta libera determinazione possa godere la donna che non vorrebbe abortire oppure è disponibile a riconsiderare il suo avviso, ma si trova, per più motivi, in una condizione obbligata?

E’ da escludere a priori che vi siano casi del genere? E’ da escludere che la comunità possa o debba sentirsi responsabile nei confronti di queste madri e, dunque, chiamata ad una solidarietà nei loro confronti, perfino doverosa, cosicché la possa esprimere anche attraverso quelle libere espressioni di volontariato di cui è ricca? Oppure anche su queste donne deve ricadere l’ anatema degli abortisti a tutti i costi, cosicché debbano pagare il
prezzo di una doppia sofferenza?

Sia chiaro che la donna che decide di abortire merita rispetto ed, in nessun modo, allorché intraprende un percorso che, in ogni caso, anche quando sia intimamente convinta di esercitare un diritto, e’ doloroso, deve trovare sulla sua strada chi induca nel suo animo un senso di colpa o un sentimento di minor apprezzamento di sé stessa. In nessun modo, deve sentirsi, in un certo senso, ricattata moralmente.

Questo implica che l’eventuale concorso offerto, nel contesto dell’attività del consultorio pubblico, anche da associazioni private non sia, a sua volta, una rivendicazione di parte, bensì venga contestualizzate nelle forme di una collaborazione concordemente studiata. Si tratta di un compito delicatissimo che non può essere sostenuto da chi, a sua volta, viva, sull’altro fronte, altrettanto ideologicamente la questione dell’ aborto.

In ogni caso, una collaborazione che non sia formalmente prevista, tanto meno imposta, dal percorso di autorizzazione dell’ aborto, bensì offerta alla libera discrezionalità della donna. Di questo dovrebbero discutere gli opposti schieramenti. Infatti, siamo di fronte ad una questione complessa e non basta l’ emendamento di cui sopra, buttato lì, nudo e crudo, ad affrontarla, senza il rischio di cadere, anche su questo versante, in una logica ideologica.

Una strategia seria di prevenzione dell’ aborto che sia rispettosa della libera determinazione della donna è possibile, purché valutata “sine ira”, dall’una e dall’altra parte.

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