Questo articolo segue il precedente, sempre a firma di Mario Chieregato sulla Legge elettorale e la rappresentanza (CLICCA QUI)
Dopo aver visto il tema della rappresentanza ed una ipotesi di soluzione che garantisca sia le esigenze dei cittadini elettori, almeno di quelli più attivi, sia quello dei responsabili dei vari partiti, affrontiamo, nelle dimensioni consentite da un breve articolo, l’altro grande tema collegato alla Legge Elettorale che è quello della Governabilità.
La storia recente ci ha mostrato, a riguardo, alcuni casi eclatanti. Ne ricordiamo tre.
In Israele, le ultime elezioni politiche del primo novembre 2022 sono state le quinte elezioni in tre anni e mezzo. In Belgio ci vollero ben 540 giorni, dopo le elezioni del giugno 2010, per trovare una maggioranza di governo e circa 600 giorni, dopo le elezioni del 2019. La Spagna ha avuto elezioni politiche nel 2015, nel 2016 e due volte nello stesso anno nel 2019. Tutti questi stati hanno un sistema elettorale proporzionale anche se con correzioni e forme diverse adattate alle differenze locali.
Tra i due sistemi elettorali, il proporzionale ed il maggioritario, molti ritengono sia quest’ultimo a garantire maggiormente la governabilità, anche in virtù dello slogan che si conoscerebbe il vincitore poche ore dopo l’inizio dello spoglio elettorale. A mio parere occorre trovare invece un sistema più semplice ed efficace per eleggere il Presidente del Consiglio e per garantire la governabilità.
Infatti, gli eventi storici di questi ultimi anni ci hanno dimostrato i molti limiti di questo sistema maggioritario che costringe ad aggregazioni molto spesso solo strumentali alla conquista del potere e non rispetta le differenze tra i vari partiti che si aggregano, differenze che sono reali sia nei diversi Statuti che nel pensiero dei dirigenti stessi. Soprattutto questo sistema viola i cittadini nel senso che li costringe, molto spesso, a votare persone o partiti, interni alle coalizioni, di cui non condividono i principi ed i fini.
Negli Stati Uniti d’America, dove alla fine del 1700, nasce la prima democrazia moderna, ci sono da sempre due grossi partiti che si contendono la Presidenza della Federazione di stati, attraverso un sistema elettorale “maggioritario” anche se unico nel suo genere. In questi ultimi anni il sistema ha mostrato alcune crepe che minacciano la democraticità.
Cerco di ricordare due di questi fatti.
Nelle elezioni presidenziali del 2000 la proclamazione del vincitore venne rinviata per molti giorni, poiché nello stato determinante della Florida fu necessario ricontare i voti. I risultati ufficiali non furono resi noti per oltre un mese, a causa delle difficoltà nella raccolta e nel riconteggio delle schede. Alla fine la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì, con la maggioranza di 5 giudici a favore contro 4, che non vi era tempo a sufficienza per un nuovo riconteggio. Venti anni dopo, nel 2020, “il Presidente uscente Donald Trump si è rifiutato di riconoscere l’esito delle votazioni e la vittoria dello sfidante, paventando brogli e annunciando ricorsi legali.
Diversi osservatori internazionali, tra cui i funzionari dell ‘OSCE, hanno sostenuto la mancanza di prove concrete riguardo alla veridicità di tali affermazioni ed hanno accusato Trump di cercare di portare a termine un palese abuso di potere.
Il 6 gennaio 2021, in occasione della seduta del Congresso degli Stati Uniti per la proclamazione dell’elezione di Joe Biden, una folla di manifestanti pro-Trump riesce ad oltrepassare il cordone di polizia a Capitol Hill e a raggiungere l’interno del Campidoglio. La sessione viene di conseguenza sospesa e i membri del Congresso vengono evacuati. La manifestazione ha causato 5 morti e 13 feriti”. (i due brani in corsivo sono riportati da Wikipedia).
Molte elezioni presidenziali svoltesi in tanti Paesi dell’Africa ed in qualche Paese dell’America Centro-Meridionale o asiatico hanno visto disordini e lotte intestine nel riconoscere i dati elettorali. Spesso le proteste hanno prodotto morti e, a volte, anche qualche “golpe” come conseguenza dei disordini dovuti alle elezioni.
I fatti poi ci hanno mostrato pure qualche Presidente in carica che modifica la Costituzione, per poter aggiungere qualche altro mandato oltre quelli previsti, o addirittura per poter governare “per sempre”, trasformando la democrazia in una dittatura.
Una mia ipotesi, oltre a quelle già elencate (nel precedente articolo), di preferire la democrazia parlamentare e un sistema elettorale proporzionale, è quella di rendere anche la nomina del Presidente del Consiglio simile a quella del Presidente della Repubblica e/o del Senato.
Abbiamo visto come i grandi elettori del Presidente della Repubblica in questi ultimi decenni abbiano “rifiutato” i grandi leader dei partiti o delle coalizioni come per esempio Andreotti negli anni ’90 o Prodi e Berlusconi negli ultimi anni, per scegliere personalità molto autorevoli come Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. Personalità che non avrebbero avuto i “voti” o le forze per presentare la propria candidatura in un’elezione popolare, ma che hanno ottenuto grande consenso trasversale dalle mille persone circa deputate ad eleggerli.
Con il sistema proporzionale si avrà difficilmente una chiara maggioranza di un partito singolo o di un’area ben amalgamata, quindi potremmo fare di questa difficoltà una risorsa.
La mia ipotesi è che i parlamentari in questo caso siano “costretti” ad orientarsi verso figure “alte” sia per competenza che per cultura e comportamento di vita, “scartando” i leader di partito.
La vita politica italiana in questi ultimi anni ci ha mostrato alcuni esempi di Presidenti del Consiglio non iscritti a partiti o non facenti parte delle segreterie dei partiti. Ricordiamo i Governi Dini, Ciampi, Monti e Draghi. Ma anche i Governi Amato Letta e Gentiloni si possono elencare tra i governi che non hanno visto i leader di partiti come “naturali candidati” alla Presidenza del Consiglio.
L’esempio più lampante però mi sembra quello di Giuseppe Conte. Un professore universitario assunto, inaspettatamente, nel 2018 a Presidente del Consiglio per un patto tra due leader di partito che si sono autonominati Vice Presidenti del Consiglio quasi a formare una triade che ha governato poi solamente per poco più di un anno.
Con questa mia ipotesi auspicherei che venissero elette persone “super partes” ma soprattutto interessate a svolgere per un quinquennio un servizio al Bene Comune del paese, senza fare calcoli sui vantaggi che potrebbero arrivare alla propria parte, essendo al di fuori e al di sopra dei partiti.
Naturalmente al Presidente del Consiglio eletto dal parlamento e nominato in questa carica dal Presidente della Repubblica occorrerà garantire di potersi scegliere, senza imposizioni, una squadra di ministri, o almeno parte di essa, che godano della sua stima e fiducia.
Nella modifica costituzionale necessaria occorrerà aggiungere la sfiducia costruttiva. Il Presidente del Consiglio non potrà decadere se il Parlamento non avrà una maggioranza che è pronta a sostenere un altro Presidente, magari anche con il consenso del Presidente della Repubblica che funge da garante.
Questo della sfiducia costruttiva è essenziale per garantire la governabilità e la permanenza in carica del parlamento stesso per tutta la durata della legislatura.
A mio parere aggiungerei alla riforma costituzionale pure che, dopo un quinquennio (o due?) di Presidenza del Consiglio, la stessa persona non potrà più essere eletta alla stessa carica istituzionale.
In questo modo si garantirebbe la gratuità del servizio, senza la tentazione, purtroppo imperante nei leader dei partiti, di legiferare in vista del consenso da ottenere nella prossima elezione. Chi fa il Presidente del Consiglio saprà che dona un quinquennio della propria attività per il bene del Paese e non in vista della sua carriera. Questo quinquennio (o decennio in caso di doppio mandato) sarà considerato l’apice e la conclusione della sua carriera politica e lavorativa. Tutt’ al più, se il suo servizio viene riconosciuto significativo e orientato al bene comune della Nazione, potrà essere nominato Presidente della Repubblica.
Qualcuno mi potrà obiettare che sarà molto difficile trovare l’accordo anche su persone “indipendenti”. Ci saranno alcuni partiti che preferiranno Tizio e altri che preferiranno Caio e quindi la votazione troverebbe le stesse difficoltà se a candidarsi fossero i leader di partito o persone legate alla loro struttura.
Suggerirei allora due cose: oltre ai nominativi segnalati dai partiti, uno o due nominativi potrebbero essere indicati dal Presidente della Repubblica e, seconda cosa, dopo la terza votazione a vuoto, si procede al ballottaggio tra i due più votati, come attualmente ci si regola per l’elezione del Presidente del Senato.
In questo modo penso si possa raggiungere l’obiettivo della governabilità e, anche in caso di bocciatura di un Decreto Legge, non si avrebbe la decadenza del Governo in carica, ma Governo e Parlamento, insieme, cercherebbero di migliorare quel Decreto al fine del Bene Comune degli italiani.
La decadenza del Governo si avrà solo se i parlamentari troveranno una maggioranza che sostiene un altro Presidente del Consiglio con la sfiducia costruttiva. Anche in questo caso però la legislatura durerà fino alla scadenza naturale del quinquennio e i parlamentari sarebbero liberati dall’ansia della chiusura anticipata della Legislatura.
Mario Chieregato