Settantadue anni fa il 18 aprile 1948: le prime libere elezioni dopo l’avvento della Repubblica e con la nuova Costituzione entrata in vigore il 1^ gennaio di quell’anno. Affluenza alle urne oltre il 92%, quasi la metà dei consensi andò alla Democrazia cristiana che ebbe la maggioranza assoluta dei seggi sia alla Camera che al Senato. Segretario politico era Attilio Piccioni, ma il vero leader era Alcide De Gasperi, rimasto ancora il più grande statista della nostra storia repubblicana.

Molteplici sono le motivazioni che portarono e giustificarono quel successo, gran parte ampiamente note, sul piano storico, politico, civile e religioso. Questa breve riflessione non vuole essere un’analisi di quanto è successo quel giorno, l’obiettivo è andare alla radice di quel risultato non tanto per sbandierare o rivendicare un successo, ma per cercare di focalizzare il percorso politico e civile che ha portato a quella svolta storica che saldò le basi della democrazia nel nostro Paese.

Quella vittoria nasce il 24 luglio del 1922, data poco nota e purtroppo ignorata dai libri di storia. Al termine di quella giornata fortemente concitata, don Luigi Sturzo ebbe a dire: “Il nostro compito, d’ora innanzi, è restare noi stessi, non cedere alla prepotenza e non farci corrompere dalle lusinghe. Meda ci ha dato l’esempio. Del resto la bufera dovrà prima o poi passare. Mussolini commetterà qualche errore fatale. Quel momento dovrà trovarci in piedi. Sì, dobbiamo resistere, resistere un minuto in più del fascismo. Allora, se avremo resistito, il Paese capirà che può affidarsi a noi”.

La bufera durò un ventennio, l’errore fatale sarà pagato a carissimo prezzo dall’Italia, ma i popolari non scesero mai a patti con il fascismo, seppero resistere, in piedi sia pure isolati e allontanati, ma il 18 aprile 1948 l’Italia capì che poteva affidarsi a loro. E si affidò.

Che cosa successe quel 24 luglio? Il re, Vittorio Emanuele III, chiamò al Quirinale Filippo Meda per conferirgli l’incarico di formare il governo, quale deputato più rappresentativo dei popolari. Gli stessi che avevano presentato cinque giorni prima l’ordine del giorno che aveva portato alla caduta del governo Facta. Quindi il Re (ricostruzione sintetizzata al massimo) chiamò Meda per dirgli: “Voi avete provocato la crisi, adesso trovate la soluzione: pertanto se la sentirebbe di formare un governo, ma che sia un governo forte?”. Risposta dell’esponente popolare: “Per governo forte si intende un governo capace di ordinare il fuoco sui fascisti. La mia coscienza di cristiano me lo vieta”. Meda, e con lui Sturzo, aveva capito prima di tutti gli altri, che ormai il fascismo aveva la strada spianata, dalla sua parte aveva ormai quelli che oggi chiamiamo i “poteri forti” e gran parte del mondo industriale; aveva dalla sua parte l’integralismo della sinistra in lotta fratricida prima ancora che con il fascismo. Aveva dalla sua parte gran parte dei vertici della curia romana. Mussolini ebbe il potere prima della fine dell’anno.

Quel 24 luglio, tuttavia, è una data importante per la storia del movimento cattolico in Italia: per la prima volta dall’unità, ovvero dopo mezzo secolo, un cattolico otteneva la “legittimazione” per la guida del Paese. I tempi non erano maturi. Matureranno e i frutti si ebbero il 18 aprile.

Ha un senso ricordare oggi quei fatti e quelle date oltre l’aspetto commemorativo di ricorrenze? Certamente sì. Proprio oggi nel momento in cui il Paese si trova ad affrontare una delle più terribili prove in questi 159 anni dall’unità. Il dopo Coronavirus sarà una prova difficilissima. I cattolici hanno il dovere di fare la loro parte, hanno il dovere di impegnarsi affinché la ricostruzione imbocchi e persegua la strada della giustizia, dell’eguaglianza, del rispetto dei diritti, soprattutto per i più deboli e indifesi. Non ci sono diritti che scavalcano altri: il diritto alla libera impresa si realizza quando si realizza il diritto al lavoro, ma il lavoro è tale quando si realizza nel rispetto della dignità della persona, della salvaguardia della salute e della tutela dell’incolumità.

Ancora una volta i cattolici sono chiamati a un appuntamento con la storia. “Devono sporcarsi le mani” ha ribadito qualche giorno fa Stefano Zamagni in videoconferenza. E come direbbe Sturzo: “Devono meritarsi la fiducia degli italiani”.

Luigi Ingegnere

 

 

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