“… La meravigliosa pazienza di Dio …”  (J. Maritain)

“Verrà un giorno in cui questa grande patria, che e’ il mondo, ritroverà in buona parte, in mezzo a mali anch’essi nuovi, secondo la logica della storia del mondo, il fine vero per cui è stata creata, un giorno in cui una nuova civiltà darà agli uomini, non certo una felicità perfetta, ma un ordinamento più degno di loro e li renderà più felici sulla terra. Perché io penso che la meravigliosa pazienza di Dio non sia ancora esaurita”.

Sono parole che Jacques Maritain disse, nel settembre 1973, in quella che fu la sua ultima intervista, poche settimane prima di morire. Per quanto le sue radici cristiane siano state neglette nei documenti costitutive dell’ Unione, a cominciare dalla Carta di Nizza – anno 2000 – la capacità di rinverdire una visione cristiana della storia sarebbe di fondamentale rilievo perché l’Europa possa intendere il ruolo che la sua vicenda millenaria le assegna e, dunque, necessariamente, le tocca prendere in carico, nel contesto internazionale. Soprattutto, in una fase storica che, superata la dicotomia tra le due grandi super-potenze della guerra fredda, si sta chiaramente avviando verso un nuovo ordine multipolare, che richiederà una lunga e complessa fase di assestamento.

Se questa dovesse venire giocata solo in termini di confronto muscolare tra potenze grandi, medie o piccole, il cammino dell’intera umanità si avviterebbe su sé stesso, come se girassimo in tondo da una guerra all’ altra.
Tornando, in un certo senso, a quella concezione ciclica del tempo, dalla quale solo il cristianesimo ha saputo trarre fuori il mondo classico.

Anche oggi rischiamo di cadere in una spirale che si ripercuote su sé stessa, in un movimento circolare, abusato e ripetitivo di guerre e di conflitti minori che, su scale territoriali differenti, generano un assordante, incontenibile frastuono bellico e, nel contempo, una povertà stagnante di relazioni internazionali che non sono in grado di imprimere un indirizzo alla cascata di eventi che accompagnano ed assediano la nostra vita quotidiana.

L’Europa, al contrario, dovrebbe saper rispondere all’ appello che, a Santiago di Compostela – eravamo nel novembre 1982 – le rivolse Giovanni Paolo II: “Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te ed anche sperano da te la medesima risposta che San Giacomo diede a Cristo: sì, posso”. In queste parole di Papa Woityla si incontrano due versanti dell’universalismo cattolico.

Quell’ “andare oltre” che concerne insieme il tempo e lo spazio. Due dimensione che l’ Europa dovrebbe fare proprie se volesse respirare a tutto campo, secondo l’ “intelligenza storica” che pur le appartiene e, così, tornare ad essere protagonista sul piano internazionale. Senonché, a prevalere sono tuttora le “storie” dei Paesi e dei popoli europei. Le quali, anziché comporsi in una sintesi condivisa e carica di valori umani ed universali, pesano ancora come una palla di piombo divisiva al piede della coscienza europea.

Tutto ciò, purtroppo, volge “ad intra”, come dimostra su ogni fronte anche la campagna elettorale in corso, il confronto politico in atto nel cosiddetto “vecchio continente”, anziché spingere lo sguardo dell’ Europa al di là dei suoi confini. Solo se fosse capace di quest’ atto di coraggio, se avesse di sé stessa una fiducia che, al contrario, le manca, se sapesse guardare alla scena del mondo con uno sguardo complessivo che ne colga le contraddizioni, l’Europa potrebbe comprendere come debbano essere relativizzate, fino a superarle, le tensioni, le incertezze, i vicendevoli timori che ancora impediscono il pieno dispiegarsi, anzitutto, di una effettiva e comune azione nel campo della politica estera.

E’ vero che l’Europa è debole e scoordinata sul piano della difesa, ma è pur vero che l’autorevolezza politica si sostanzia non solo delle armi, bensì anche di quei valori di civiltà, culturali e morali di cui tutti i Paesi dell’ Unione Europea sono, ciascuno per la sua parte, straordinariamente ricchi.

Domenico Galbiati

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