Com’è stato già ampiamente commentato in questo momento di “sospensione” o di ozio apparente – si badi, però, che l’ozio non è solo sinonimo di pigrizia o peggio, come si diceva, “il padre dei vizi”, bensì una fase della mente che “viaggia” tra la metafisica, la realtà e la fantasia o utopia – dovremmo prepararci ad approcciare la nuova realtà con una serie di sfide a valenza economica, sociale e culturale, atte a ricostruire il nostro sistema come Stato di diritto, di benessere diffuso e di solidarietà sociale.​

Un passaggio propedeutico appare quello educativo o meglio ri-educativo, preliminare a quel rinnovamento umanistico, economico ed etico sul quale la “magna pars” dell’opinione pubblica, intellettuali e classe dirigente sembra concordare per il bene comune. “Educere” (latino) significa condurre, allevare e in senso riflessivo: affinarsi, sviluppare il proprio gusto estetico; quindi occorre ripartire, in un certo qual modo, da zero dato che – come già esplicitato in altre occasioni – “siamo tutti sulla stessa barca” e dobbiamo contare innanzi/soprattutto sulle nostre capacità e qualità, prima che su quelle di una classe politica che deve ancora meritarsi la nostra, piena fiducia.

L’insegnamento più semplice e più antico è quello evangelico: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Esso si rifà teologicamente alla cultura della tradizione rabbinica: “Non fare al prossimo tuo ciò che è odioso a te, questa è la tua legge”. Ed anche “Tu devi amare il prossimo tuo come te stesso.” Quindi, la strada che conduce verso Dio e l’aldilà incrocia necessariamente quella che porta all’uomo e particolarmente ai più deboli.

E a riguardo dell’ospitalità e dell’accoglienza le sacre scritture non prescrivono altro che chiedere ad ognuno di ospitare gli stranieri, tema diventato centrale nel dibattito politico, piuttosto assillante per noi cattolici, fino all’esplosione della pandemia corono-virale che l’ha spazzato via come argomento superfluo, insieme a quella spinta ideologica di una parte politica volta a fini elettoralistici e strumentalmente propagandistici.

Ma mi chiedo: il nostro Paese, definito “pigro e satollo” da Don Andrea Santoro, martire a Trabzon nel 2006, sarà capace di riprendersi da una certa atarassia, da un appiattimento intellettivo e morale che ha portato a favorire una terribile, scellerata “guerra tra poveri” metropolitani, che non appartiene alle nostre consuetudini (si pensi ai milioni di italiani emigrati tra l’800 ed il ‘900 in cerca di fortuna)? Così don Santoro auspicava energicamente di rivedere certe “disposizioni legislative emanate in Italia con fretta e approssimazione”, non che “di superare il fervore consumista”: detta chiave di lettura sembra una pietra miliare, oggidì, sul cammino che dobbiamo intraprendere. Ad esempio, nel processo di regolarizzazione dei tanti giovani extra-comunitari che occorre regolarizzare per le necessità dei lavori agricoli e agroalimentari, nel settore turistico, terziario e industriale.

Tant’è che l’elevazione dell’Amore a sentimento personale con funzione di nuove, edificanti relazioni sociali ed economiche – come già detto in merito ad un’imprenditoria e un sistema bancario etici e trasparenti, più vicini ai bisogni umani – significa un giusto coinvolgimento di tutti i soggetti attori, pubblici e privati, chiamati a contribuire da domani (leggasi maggio, fase 2) alla rinascita dell’Italia, del ns. made in  Italy, del turismo culturale e naturale, del commercio e dell’artigianato.

Un nuovo paradigma della vita individuale, comunitaria e nazionale non potrà prescindere dal riesame e rilancio di questioni “aperte”, come: i migranti, i tanti che hanno perso il lavoro o sono sull’orlo del baratro fallimentare, il sistema delle R. S. A., cioè della cura e assistenza per anziani, quello carcerario, della giustizia, fiscale e tributario, non che la procedura delle adozioni internazionali e degli affidamenti, strumenti di accoglienza e arricchimento della famiglia italiana, quanto mai necessari oggi (negli ultimi anni molto hanno subìto un tracollo in termini percentuali del 50%).

Certamente la sfida socio-culturale che ci aspetta dovrà superare le difficoltà derivanti dall’isolamento coatto e deprivazione della libertà individuale, contesto che ha lambito – secondo una corrente di pensiero giuridico – alcune modalità dello Stato di polizia (come le rincorse alla “guardie e ladri” per una passeggiata vietata o accerchiamento in mare aperto di un subacqueo) per ricondurci verso una nuova, ordinaria convivenza, fratellanza e socializzazione nel sempre maggior rispetto della natura con comportamenti responsabili e consoni rispetto all’economia “circolare” e sostenibile. A tal proposito, è è assolutamente auspicabile  sfruttare il momento favorevole del dis-inquinamento e rispolverare quel progetto di rigenerazione e modernizzazione del sistema dei trasporti, della produzione industriale e del consumismo, chiamato un pò pomposamente “new green deal” tanto dalle istituzioni europee, quanto dall’autorità governativa italiana; e collocandolo operativamente al centro dell’attenzione pubblica ovvero di un programma di Governo-bis che si va approntando sulla scorta di non poche commissioni e gruppi di studio, oggetto di polemiche, comunque molto attesi quanto ai piani di sviluppo economico che saranno in grado di elaborare e sottoporre al vaglio dell’Esecutivo (e auspicabilmente del Parlamento, come sottolineato dal prof. S. Cassese).

Infine, è d’uopo ricordare come una società più giusta non è quella in cui tende a rafforzarsi il divario del benessere tra le categorie più agiate e le altre, i c. d. “nuovi poveri”, ma quella che si organizza sotto il profilo del “wellfare” e programma una vera “ri-legittimazione della democrazia”, sia rappresentativa, che sociale solidale. A tal proposito non mi sembra affatto visionario, ma concreto e fattibile, il concetto formulato dal sen. Robert Kennedy nell’ormai lontano 1968: “il il limite del PIL …è basato sui numeri e non considera la felicità degli individui”.

Michele Marino

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