“….non possiamo pensare di esserlo (cristiani) perché facciamo politica…”. Lo sostiene il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Matteo Zuppi. Eppure c’è stato autorevolmente detto che “la politica è la forma più alta di carità”. Possiamo, dunque, esimerci dalla responsabilità di farcene carico?

Ove, sia pure per nobilissime ragioni formative e di testimonianza sociale, fossimo noi a precorrere l’invito di un certo mondo laicista che vorrebbe l’ esperienza religiosa circoscritta nell’interiorità della coscienza dei credenti, purché stia lontana dal discorso pubblico, non rischieremmo di imprigionarci da soli e sia pure senza volerlo, in una certa nuova forma di “non expedit”?

Del resto, il Cardinal Zuppi sostiene che i cristiani debbono “stare per strada”. E’ lì lo spazio elettivo della loro presenza. Senonché la strada è anche il luogo dove nasce la politica, quella vera, vissuta, appresa sul campo e sulla propria pelle, quella che non si risolve in algoritmi astratti, fatta, ad un tempo, di ragione e di cuore.

Se la politica non nascesse nelle strade e nelle piazze, nel vivo della controversia quotidiana così come scorre sui marciapiedi della vita, non potrebbe essere popolare e democratica, bensì risulterebbe elitaria ed ideologica. Sui cattolici grava, dunque, una doppia responsabilità: come cittadini e come credenti che sono chiamati a riproporre la vocazione democratica e popolare, intensamente partecipata di una politica che, in questo particolare momento, da una parte è asservita ad una opaca visione nazional-sovranista , populista e demagogica, dall’altra si rattrappisce in una postura tecnocratica ed intellettualistica.

La politica oggi è impotente nella misura in cui le cose del mondo sono andate oltre le tradizionali e superate chiavi di lettura della realtà sociale che le appartengono. Ha bisogno di nuove categorie interpretative, delle quali nessuno ancora dispone, eppure pare vadano ricercate in quelle mille nuove forme relazionali che trovano nella singolarità della persona il nodo ultimo della loro consistenza.

La persona, la sua libertà interiore, la sua autonomia di giudizio, la capacità critica che orienta la sua responsabilità costituiscono l’unico attrattore attorno a cui è possibile ricomporre la coesione sociale smarrita e ridisegnare una prospettiva ricca di senso. Anzi, il portato della fede, purché tradotto sul piano della presenza politica in termini di puntuale e corretta laicità, è oggi dirimente, nella misura in cui, ben più facilmente di quanto non sia per altre visioni, è in grado di rievocare e riproporre la dimensione di quella trascendenza perduta che è all’origine dello smarrimento di cui soffriamo. Del resto, privo del sentimento della trascendenza, l’uomo è posto fuori dalla sua verità e questo finisce per imprimersi anche sul carattere della sua azione politica.

Per questo, pur nella consapevolezza del poco che siamo, quello compiuto da INSIEME per transitare dal campo pre-politico all’ impegno politico diretto, è stato un grande passo. Sappiamo di esserci assunti un onere che non possiamo reggere da soli, eppure abbiamo aperto un cammino che ovviamente non può essere solo nostro. Molti possono percorrerlo, sia pure, se lo ritengono, per altri sentieri.

Nel frangente storico che stiamo attraversando, il partito “di ispirazione cristiana” come l’ha concepito INSIEME, rappresenta un’impresa anche più ardua di quella sostenuta dai nostri padri. Nella misura in cui deve saper elaborare un linguaggio del tutto nuovo che sappia mostrare l’intensità umana e civile, la fecondità anche sul piano dell’azione politica, di quei valori e dei criteri di giudizio che abbiamo ricevuto gratuitamente in dono, in uno con la fede, così da renderli comprensibili, accettabili e, forse, addirittura accattivanti anche per chi credente non è.

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