In questi giorni di caccia a ministri di “alto profilo”, di alta qualità”, le candidature vere o presunte si sono abbattute le une sulle altre, per ministeri di prima o seconda fascia, ipotizzando che a guidarli siano destinati politici o piuttosto tecnici, questi ultimi chiamati a migliorare il profilo del governo in fieri. Un Ministero, forse l’unico, dimenticato o meglio accuratamente aggirato è quello della Salute che, curiosamente, tutti si sono ben guardati dal rivendicare.

Sarebbe stato legittimo attendersi che, secondo lo spirito di servizio al Paese che deve animare la nascita di un nuovo esecutivo, ogni partito della maggioranza si offrisse per dare il meglio di sé in un incarico talmente delicato e, soprattutto, dirimente, in questa fase di perdurante pandemia, per la vita – letteralmente la vita, in senso strettamente fisico – degli italiani. Sarebbe stato un gesto di orgoglioso amor patrio che, a costo di accapigliarsi con gli alleati, un partito o l’altro della maggioranza dicesse: qui la posta è talmente alta che voglio mettermi alla prova ed affrontarla, per il bene degli italiani, con un mio autorevole esponente. Invece, niente. Nessun capitano coraggioso in vista. Come se la pandemia mai fosse esistita e nel settore tutto fosse rose e fiori.

La stampa ha segnalato il nome di un tecnico, che pare, almeno fin qui, aver messo d’accordo tutti. Senza dubbio – sempre che l’indicazione abbia un reale fondamento – per l’eccellente competenza da tutti riconosciuta alla persona, ma anche, almeno questa è l’impressione, perché l’argomento scotta e va preso con le pinze, prima che ci si brucino le penne. In effetti, il ricorso ai tecnici viene invocato, sì, per aggiungere qualità al sistema, ma anche, forse soprattutto, per evitare, con un elegante slalom, di inforcare, appena fuori dal cancellerò di partenza, la prima porta del percorso di gara. Insomma, spesso, più che la qualità del tecnico rivela piuttosto l’inettitudine della politica a suggerire una certa soluzione. Ed il caso del Ministero della Salute è emblematico.

La memoria di quel che abbiamo vissuto dal marzo 2020 fa tremare i polsi, d’accordo, ma altri motivi rendono ardua la guida del Ministero di Lungotevere Ripa. Uno di carattere istituzionale in cui rilievo deborda al di là della questione sanitaria e concerne, in linea generale, la necessaria rivisitazione del rapporto tra Governo Centrale e Regioni. Argomento, anche questo potenzialmente divisivo, nella compagine di governo. A maggior ragione, nel momento in cui si contrappongono due tendenze: la richiesta di autonomia delle regioni leghiste del Nord e, per altro verso, la revisione delle responsabilità, pur condivise, appunto in campo sanitario tra centro e periferia. L’altro motivo, strumentale al consenso, concerne il corteggiamento dei no-wax e le possibili rivalità nel merito della gestione della salute pubblica in senso lato.

A livello di impatto sulla pubblica opinione, un conto è scontrarsi sullo scostamento di bilancio, altra cosa portare casa per casa, in ogni casa, tutte le sere, una possibile diatriba su un tema che tocca da vicino la vita delle
famiglie. In ogni caso, chiunque esso sia, buon lavoro al nuovo Ministro della Salute. Lo aspetta un compito che nessuno gli invidia.

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