In Lombardia, nelle feste paesane del Santo Patrono o nelle numerose fiere zootecniche, distribuite un po’ dappertutto sull’intero territorio regionale, può succedere talvolta ancora di imbattersi nella brigata delle “tre carte”.
Arriva, sbucando da chissà dove, un briccone che, armato di un tavolino retrattile, ad altezza d’uomo, coperto da un panno scorrevole, invita a scegliere una carta delle tre sul banco e, fissata la posta, ad indovinare quale posizione occupi dopo averle velocissimamente scambiate tra loro.

Non è mai solo, ma accompagnato da un collega che sta discosto a far da palo, per controllare che non vi siano vigili urbani o carabinieri nei pressi. In genere, lo si individua facilmente dalla cura che mette nel passare inosservato.
Altri tre o quattro compari, che sembrano capitati lì per caso, senza conoscersi, si mischiano al capannello di curiosi che si è andato aggregando attorno.

Viene bandito il gioco, ma nessuno osa farsi subito avanti, cosicché il malandrino che conduce la danza scruta un attimo gli astanti ed interpella il primo simil-Renzo Tramaglino che gli capita a tiro – ce n’è ancora in abbondanza – giovane e baldanzoso, ma anche ingenuo ed un po’ pirla oppure un anziano che gli sembri, tra gli altri, il più sprovveduto. A questo punto, per vincere le ultime resistenze, interviene uno dei compari che si offre di essere lui il primo a puntare una somma, almeno 50 euro, sostenendo che l’ interpellato, al momento, può essere che non abbia in tasca una tale banconota, anche perché la moglie è una signora avveduta che certo non gli concede una tale mancia da sprecare alla fiera.  A quel punto, il malcapitato è incaprettato in un gioco senza uscita, soprattutto se sta con amici ed è osservato da conoscenti che lo attendono al dunque e già sogghignano sotto i baffi.

La notizia sull’arrivo dei mascalzoni si diffonde per l’intera piazza ed è come se un lupo fosse entrato nel recinto delle pecore. Tutti si chiedono da dove siano giunti e la voce popolare – chissà perché, ad esempio nella Brianza che occupa la fascia mediana del territorio lombardo – non afferma mai che siano arrivati, che so, dalla Valtellina, ma piuttosto sempre dalla bassa padano o dal piacentino. Ma lo cosa più interessante, se si ha la pazienza di seguire gli sviluppi dell’imbroglio, piccoli e gustosi saggi di dinamiche di gruppo, sta nel fatto che almeno due su tre, come risposta sperabilmente vincente, atteso che nessuno si raccapezza dove sia finita la carta buona, indicano il centro.

Forse entra in gioco uno schema mentale pre-ordinato ed inconscio che, per una qualche ragione, predilige il centro.
Il quale, pur ove non fosse vincente, avrebbe il pregio di essere, comunque, contiguo alla postazione buona, indifferentemente a destra o a manca che sia. Solo i più smagati, quelli che fan conto d’essere furbi, cercano di spiazzare l’uomo del banco buttandosi dall’una o dall’altra parte. Eppure anche la loro scelta ha a che vedere con il centro: vogliono evitarlo perché pensano che pure chi conduce il gioco, a sua volta attratto forse dalla ricerca di una perfetta simmetria del sistema, vorrebbe sospingerli verso questa posizione perdente.

Insomma, fatta salva l’intenzione dolosa, si potrebbe dire che, sia pure solo per taluni aspetti, l’imbroglio delle “tre carte” è un po’ la metafora del funzionamento del nostro sistema politico. Le tre postazioni in campo sono connesse in un gioco di incastri e di reciprocità incrociate per cui ciascuna delle tre solo in parte si dice da sé. Ognuna si definisce soprattutto “ad contra”, cioè in negativo, per una sorta di mimetismo rovesciato, in rapporto alle restanti, cosicché finiscono per risultare, almeno in parte, reversibili l’una nell’altra, un po’ come succede effettivamente alle carte manipolate sul tavolino del briccone.

Chi soffre maggiormente di questa sostanziale espropriazione di identità è la postazione centrale che si trova esposta a queste interpolazioni su entrambe le interfacce ai lati. Insomma, si tratta di un sistema chiuso che si isola dal contesto circostante ed affoga nella sua autoreferenzialità, comportandosi, nel contempo – se possiamo azzardare una metafora nell’altra – come i “tre corpi di Poincare’”, la cui dinamica, fondata sulle reciproche attrazioni gravitazionali, può sfuggire ad una progressione predicibile ed approdare al caos.

Andrebbe compreso meglio questo insistente richiamo al “centro, che sembra evocare, appunto, una simmetria, una corrispondenza biunivoca tra le parti, che, per un verso armonizza, per altro verso esalta la polarizzazione delle estreme. Che sia difficile farne a meno lo si può evincere anche sul piano dello schieramento politico, laddove ognuno dei due poli, con il relativo trattino, ne rivendica il possesso o almeno una autorevole interpretazione che sia alternativa a quella della controparte. Cosicché cosa sia davvero, in sé, il fatidico “centro” nessuno è in grado di asseverarlo.

Domenico Galbiati

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