Ci viene presentata la proposta della maggioranza di governo sul presidenzialismo come esigenza di semplificazione ed efficientamento delle istituzioni, ma qual è la domanda a cui queste misure dovrebbero rispondere? Con gli appunti che seguono vorrei invitare a riflettere su questo tema e sotto il profilo politico sottolineare come sia sbagliato il nesso semplificazione-presidenzialismo.

Il presidenzialismo non significa una semplificazione della vita dei cittadini, ma un cambiamento dei rapporti di potere e delle responsabilità.

Invece, va colta l’esigenza di una semplificazione della vita dei cittadini va colta e approfondita dopo una stagione di burocratizzazione esasperata. La vita civile è divenuta sempre più complessa negli ultimi anni a causa delle modificazioni sociali che si sono accumulate con il cambio d’epoca a cui stiamo assistendo, in un sistema amministrativo pubblico da un lato ricco di garanzie, ma soprattutto dettato da una spartizione di competenze, servita a garantire spazi di potere e gestire le risorse con oneri crescenti per i cittadini.

L’inerzia di una Pubblica amministrazione pensata dalla politica nel dopoguerra (con eredità addirittura precedenti) oggi risente di un’inerzia accumulata a causa dei continui cambiamenti e riforme , spesso tra di loro in conflitto, cui è soggetta. Da qui l’esigenza di una vera e propria trasformazione dei servizi pubblici che vadano incontro ai cittadini e non rappresentino un ostacolo, ma un supporto che garantisca i rapporti sociali e permetta l’accesso e la fruizione delle politiche locali e nazionali alle persone.

La transizione digitale, che dovrebbe assolvere questo compito di semplificazione, in realtà, spesso si trasforma in una complicazione incompresa, perché il cittadino impreparato trova solo maggiori ostacoli. Inoltre l’analfabetismo funzionale diffuso suscita sentimenti di frustrazione per la complessità della vita civile di una popolazione con un’età media avanzata e oneri insostenibili per le nuove generazioni.

Quelli appena descritti sono tutti sentimenti suscitati da problemi reali e quotidiani a cui si propone una risposta sbagliata, verticistica e non partecipativa, andando a confondere le funzioni distinte dell’istituzione, della politica e dell’amministrazione. Si vuole mascherare l’incapacità di governare, dando la colpa al sistema istituzionale che prende forma dalla nostra costituzione, per giustificare lo scarso operato di quanti, ricoprendo una carica pubblica, devono rispondere delle loro azioni ai cittadini in un sistema di gestione del potere equilibrato.

Cosa ce ne facciamo dell’elezione diretta del Presidente della repubblica quando il vero vulnus della sovranità popolare è una legge elettorale incatenante, che non permette di scegliere i rappresentanti (oltretutto ridotti)? La questione è dettata da una classe politica autoreferenziale, che non si vuole mettere in discussione, non vuole aprirsi troppo alla partecipazione e al confronto con una legge elettorale proporzionale in cui si possano esprimere le preferenze. Non a caso prima di essere inserito nel programma della “destra”, il presidenzialismo è stato il programma della P2, il cui obiettivo era quello di ridefinire i rapporti di potere e gli equilibri di controllo sanciti e garantiti dalla costituzione.

Il sistema parlamentare è certamente migliorabile, ma non è questo il problema che impedisce alle istituzioni di essere vicine e dare risposte ai cittadini; anzi è vero proprio il contrario: il Parlamento è il migliore organo di rappresentanza delle istanze plurali della popolazione nelle democrazie avanzate e il fatto che sia passato in secondo piano con l’abuso nell’utilizzo dei decreti legge dice l’incapacità di immaginare e costruire il futuro in modo partecipativo nel confronto di un disegno di legge discusso davanti all’attenzione degli elettori.

Viviamo in una società sempre più complessa e limitare le forme di mediazione istituzionale di istanze e interessi rischia di lasciarne molti inascoltati, a favore dei “più forti”, quelli che da soli possono far sentire la loro voce. Ciò che va rivisto non è il processo di decisione delle politiche pubbliche, sacrificando il pluralismo e la complessità delle questioni a favore di una “governabilità” semplificata, ma i sistemi di elezione politica e amministrazione, per cominciare a garantire ai cittadini una loro autonoma e piena scelta dei propri rappresentanti, perché si torni a partecipare attivamente e lo Stato svolga il suo servizio insieme alla politica, senza ostacoli, protagonismi o funzioni messianiche.

Concludendo, sul Presidenzialismo viene da chiedersi se è di questo che, oggi, abbiamo bisogno come italiani. Forse è il bipolarismo finto, di facciata, della politica d’impronta anglosassone, che oggi vediamo più sugli schermi televisivi che altrove, quello su cui bisogna iniziare a mettere mano con la Legge elettorale a favore della rappresentanza plurale e un nuovo patto di responsabilità partecipata.

Tommaso D’Angelo

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