Ciascuno di noi, nella sua parabola esistenziale, corre il rischio di concentrare energie nel risolvere questioni contingenti che sono sintomi, ma di faticare a pervenire al tema di fondo dal quale quegli stessi sintomi scaturiscono. Se ciò è vero nella vita personale, è non meno riscontrabile anche nella vita associata.
Quanto sta accadendo in questi giorni a Taranto o a Venezia non fa che dimostrare tale principio. Di fronte a questi eventi che ci interpellano nella pratica amministrativa quanto alla loro, cosiddetta, emergenza, dobbiamo anche chiederci: “Qual è la causa profonda, quali sono la dinamica e la logica di fondo che conducono a un tale risultato?”.
Se non risolviamo il problema a monte, se non convertiamo la logica di fondo, potremmo anche (e ci auguriamo) risolvere l’emergenza, ma presto o tardi ci troveremo di fronte ad altre simili “emergenze”. Penso che una proposta politica seria debba porsi innanzitutto il problema di individuare i temi di fondo che animano la società nella quale si propone di operare.
Quali sono allora, i temi di fondo principali della nostra epoca e della nostra area geografica italiana-europea-occidentale?
Mi pare che uno di questi temi, e forse il più fondamentale nell’occidente di oggi, sia la visione antropologica. Il bivio
antropologico che ci si pone innanzi è: pensiamo che ognuno di noi possa trovare il suo compimento in se stesso, nel soddisfacimento dei suoi bisogni, nel consumo dell’alterità volto al “vincere la gara” o che vi sia una pienezza di vita ulteriore nella relazione con l’altro? Ciascuno di noi è vocato alla difesa di sé rispetto all’altro che gli è lupo, oppure è vocato all’apertura all’altro che può essere la nostra salvezza? E viceversa, ciascuno di noi è vocato ad essere lupo per l’altro o la sua salvezza?
Non si parla qui di una vocazione sopranaturale, ma di una vocazione che viene dalla natura stessa dell’essere umano. Penso che oggi, un partito di ispirazione cristiana abbia il compito di rappresentare tutti coloro, cristiani e non, che si riconoscono in un modello antropologico basato sull’apertura all’altro come privilegiata possibilità di
pienezza di vita di una società, tutti coloro che pensano che i diritti individuali hanno senso se vissuti e contestualizzati in una comunità, tutti coloro che riconoscono nel tu la più profonda realizzazione dell’io.
Una buona parte delle energie comunicative dovrebbe essere finalizzata a veicolare questo messaggio; ma soprattutto, è importante dare testimonianza laddove, approcciando i problemi contingenti, trasparirà chiaramente l’orizzonte entro il quale vengono affrontati, la logica di fondo che li legge, lo spirito aperto che, senza facili trionfalismi, se ne prende cura. Certo, una volta individuato il tema di fondo non tutto è risolto; ci sarà la faticosa aplicatio ad opus sulla quale l’accordo spesso non è immediato.
Come affermava il teologo domenicano Schillebeeckx, una dose di conflittualità può e deve essere tollerata. Ma questo pluralismo, letto alla luce del tema di fondo antropologico che è stato individuato, appare come altamente salutare. Quanto è facile che una parte si sclerotizzi nelle sue posizioni o approdi a derive estreme se non contemperata dal dialogo con l’altra parte?
Per fare un esempio, in ambito ecclesiale assistiamo oggi a una dialettica, acutizzata rispetto al recente passato, tra un’area progressista/carismatica/sociale e una tradizionalista/istituzionale/spirituale. Anche in questo caso, l’altro è salvezza, salvezza dai “drittoni” che una parte o l’altra possono prendere se lasciate ciascuna a se stessa. È così che l’appello ad una politica che sia Insieme non può essere riservata ai soli cristiani, ma anche a tutti coloro che nella
loro vita quotidiana sperimentano che non è bene che l’uomo sia solo.
Dario Romeo