Notoriamente la politica non è una scienza esatta. Anzi, neppure una scienza. Per fortuna. Questo vuol dire che, ogni qual volta ci accingiamo ad una valutazione in tale campo, fatichiamo. Forse non riusciamo mai del tutto a prescindere dalla nostra soggettività. Dobbiamo tenerne d’occhio il versante emozionale che, inevitabilmente, s’intrufola ed altera quella presunta cristallina limpidezza del nostro giudizio destinato ben raramente ad essere raggiunto.
Questo va bene nell’ordinaria amministrazione delle faccende che la politica ci propina quotidianamente. Quando la questione riguarda i fondamenti ultimi di un’antropologia, cioè di una concezione dell’uomo e della vita, bisogna fare uno sforzo in più: liberarsi dalla propensione a cadere in giudizi che, anziché insistere sull’oggetto specifico, risentono della considerazione complessiva che si ha di chi propone una certa posizione. Ciò vale a maggior ragione  quando il tema concerne la vita e il rispetto integrale che le è dovuto. Sono questioni su cui non si fanno sconti, né ci si sottrae a dialoghi utili e positivi, chiunque sia l’interlocutore.
Essere “autonomi”, prima che indipendenti da precostituite valutazioni di schieramento, significa essere liberi mentalmente. Non ingabbiati in schemi prefabbricati ed inossidabili.
Non ho mai condiviso nessuna posizione della Lega. Non penso affatto che la cultura di cui tale partito ha fatto sfoggio, in modo particolare con Salvini al Viminale, abbia niente a che vedere con la difesa ed il rispetto della vita e  con altrettanto plateali strumentalizzazioni della religione cui abbiamo assistito nel corso dell’ultima campagna elettorale. Il rosario esibito in quel modo rischia di essere ridotto ad oggetto di un rito pagano, più o meno alla stregua delle pagane ampolle di acqua che Bossi attingeva alle sorgenti del dio Po.
Eppure, sono d’accordo con la Tesei, Presidente leghista della Giunta Regionale umbra che ha disposto il ricovero ospedaliero per le donne intenzionate a ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza, tramite l’ assunzione della pillola RU486.
Intanto, considero che non si tratta di una subdola manovra dissuasiva, come taluni ritengono, e neppure dell’intenzione d’introdurre ostacoli strumentali o addirittura immaginare una cinica volontà punitiva nei confronti della donna che decide di abortire. Meno ancora di procurare sensi di colpa che vadano ad appesantire una condizione che è già di per sé drammatica per ogni donna. Nessuna abortisce a cuor leggero, anche se taluni vorrebbero farlo credere.
Si tratta, piuttosto, di una cautela senz’altro opportuna dal punto di vista sanitario e, quindi, doverosa da parte delle istituzioni. In nessun modo, una sorta di privazione della libertà, dato che un ricovero ospedaliero non è mai coercitivo e può essere rifiutato in qualunque momento, il che consente di conciliare la responsabilità dell’istituzione che lo propone e la libertà della donna che lo rifiuta.
Ovviamente c’è chi, da parte di certa sinistra, ha cominciato a suonare la grancassa dei diritti violati e della libertà conculcata e non sarebbe parsa stonata la voce di qualche esponente cattolico che, anche da quella sponda, perlomeno consigliasse prudenza. Per parte nostra, riteniamo che, ad oltre quarant’anni dall’introduzione dell’interruzione volontaria della gravidanza nel nostro ordinamento, anziché limitarsi alla relazione che annualmente, nel merito della applicazione della legge 194/78, il Ministero della Salute assegna al Parlamento, con buona volontà da parte di tutti, senza preconcetti o pregiudizi di carattere ideologico, senza che nessuno accampi la pretesa di rimettere in discussione la legge come tale, sarebbe opportuno che se ne approfondissero i criteri di applicazione della sua prima parte, in cui pure sono previsti interventi diretti alla prevenzione dell’aborto.
Siamo ben consapevoli come, per quanto non si rimetta in discussione la facoltà della donna di ricorrere all’ IVG, il tema sarebbe ostico e si presterebbe a mille strumentalizzazioni da ambo le parti probabilmente destinate su un tale argomento ad affrontarsi aspramente. Purtroppo, questo è il segno di un’immaturità che persiste nella nostra democrazia e le impedisce di guardare in faccia fenomeni che meriterebbero una sensibilità e un’attenzione più profonde.
E’ irridente il divario avvertito tra il rispetto per la sofferenza della donna che ricorre all’aborto volontario e la superficialità con cui se ne discute sul piano pubblico e se ne esalta la funzione “libertaria” da parte del suoi sostenitori.

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