Il 21 settembre è stata pubblicata la Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sulla attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, relativa al periodo luglio-dicembre 2020: si tratta di un documento importante, fondamentale per comprendere il livello di infiltrazione che la criminalità organizzata è riuscita ad ottenere in ogni ambito della vita collettiva, rimanendo al passo con i tempi, trasformandosi e sfruttando le occasioni presentate, pandemia inclusa.

1. Il primo dato significativo che emerge dalla relazione della DIA-Direzione Investigativa Antimafia, consegnata al Parlamento e relativa al secondo semestre del 2020[1], è l’entità dei sequestri alle organizzazioni criminali: essi corrispondono a un valore di 287 milioni e 441mila euro, tre volte di più di quanti ne sono stati sequestrati nei primi sei mesi dell’anno, quando i sequestri si fermarono a 88 milioni. Le confische sono più che triplicate: dai 42 milioni del primo semestre ai 181 del secondo.

Cosa Nostra, Stidda, Camorra, ‘Ndrangheta sono organizzazioni attive capaci di infiltrarsi grazie alle loro capacità imprenditoriali, dovute ai enormi capitali illeciti accumulati e alla collusione di imprenditori e ‘colletti bianchi’. Secondo la Relazione le organizzazioni “potrebbero rivolgere le proprie attenzioni operative verso i fondi” stanziati dal PNRR-Piano nazionale di ripresa e resilienza, ”che giungeranno a breve grazie alle iniziative del Governo per assicurare un tempestivo sostegno economico in favore delle categorie più colpite dalle restrizioni rese necessarie dall’emergenza sanitaria”.

2. Nel 2021, per la maggior parte delle associazioni di tipo mafioso la liquidità di cassa non è stata un problema, come sembra confermare l’indagine della Procura di Reggio Calabria sull’imprenditore di Palmi Roberto Recordare: costui “stava cercando di spostare in paesi extraeuropei e che non subissero l’influenza degli americani, un’ingentissima somma di denaro che era depositata in diversi istituti bancari di vari paesi, anche europei, ma soprattutto in paesi da ‘black list’ che, comunque, non potevano risultare, ad eventuali controlli, giacché ‘nascosti’ su conti speciali. Per quanto emerso in numerose conversazioni intercettate gli indagati hanno parlato di una somma che superava i 136 miliardi di euro” di cui “36 già pronti cash”[2]. Secondo i primi esiti dell’indagine, Recordare gestiva 500 miliardi di euro in fondi.

La priorità delle associazioni di tipo mafioso, a oggi, è far rientrare capitali illeciti nel circuito lecito, tramite il riciclaggio di denaro, e in secondo luogo mantenere e se possibile espandere il controllo e il potere sui territori, sfruttando le vulnerabilità esistenti, sulle quali si giocherà la “partita” più importante.

La peculiarità dell’emergenza Covid è che, se pure con marcate differenze, ha colpito tutto il territorio nazionale senza distinzioni, senza limiti territoriali definiti e soprattutto senza settori di interesse predefiniti: questo si traduce in maggiori opportunità di scelta da parte delle associazioni di tipo mafioso e di maggior difficoltà di controllo da parte dello Stato. È interessante notare come gli Studi sulla strategia d’impresa sembrano dare una giustificazione imprenditoriale a questo schema mafioso basato sullo sfruttamento delle emergenze.

3. La più ‘globalista’ delle mafie italiane è la ‘ndrangheta, che negli anni l’ha portata a stabilirsi in molti Paesi e a creare efficaci affinità con i produttori di stupefacenti dell’America Latina, così da poter essere considerata una “vera e propria holding criminale del narcotraffico”. Con la ‘Covid Economy’ è cresciuta la “capacità imprenditoriale” delle mafie, che ora “potrebbero rivolgere le proprie attenzioni operative verso i fondi comunitari”. Secondo la Dia, per effetto della pandemia, la tendenza delle organizzazioni criminali “ad infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale ‘sano’ si è ulteriormente evidenziata”. E “i sodalizi mafiosi potrebbero utilizzare le ingenti risorse liquide illecitamente acquisite per ‘aiutare’ privati e aziende in difficoltà al fine di rilevare o asservire le imprese in crisi”. Una strategia mafiosa che “si rivelerebbe utile anche per il riciclaggio e per l’infiltrazione nei pubblici appalti”.” Dalle mascherine ai farmaci contraffatti, la criminalità organizzata italiana all’estero cerca nuovi spazi di affari ‘offerti’ dall’emergenza pandemica[3] mentre per il suo business più tradizionale, il narcotraffico, si aggiorna all’utilizzo delle tecnologie e del ‘dark web’.

La ‘ndrangheta “silente” è “più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale” nonché “saldamente leader del traffico internazionale di cocaina”. Le indagini più recenti confermano “l’attitudine delle ‘ndrine a relazionarsi agevolmente e con egual efficacia sia con le sanguinarie organizzazioni del narcotraffico sudamericano, sia con politici, amministratori, imprenditori e liberi professionisti. La ‘ndrangheta esprime un sempre più elevato livello di infiltrazione nel mondo politico-istituzionale, ricavandone indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche”. Secondo la Dia, “grazie alla diffusa corruttela vengono condizionate le dinamiche relazionali con gli enti locali sino a controllarne le scelte, pertanto inquinando la gestione della cosa pubblica e talvolta alterando le competizioni elettorali”.

A conferma di ciò interviene il significativo numero di scioglimenti di consigli comunali per ingerenze ‘ndranghetiste anche in aree ben lontane dalla Calabria. Le cosche sono attive in numerose regioni italiane (46 le locali individuate, di cui 25 in Lombardia, 14 in Piemonte e 3 in Liguria) e, all’estero, in Paesi europei quali Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Romania e Malta, nonché in Australia, Canada e Usa. La ‘ndrangheta, rileva la Relazione, risulta “perfettamente radicata e ben inserita nei centri nevralgici del mondo politico-imprenditoriale anche nei contesti extraregionali” ed i numeri “dimostrano la capacità espansionistica delle cosche e la loro vocazione a duplicarsi secondo gli schemi tipici delle strutture calabresi”.

3. Quanto a Cosa Nostra, i clan, non riuscendo a ricostruire la Cupola cui spettava il compito di definire le questioni più delicate, hanno adottato “un coordinamento basato sulla condivisione delle linee di indirizzo e dalla ripartizione delle sfere di influenza tra esponenti di rilievo dei vari mandamenti, anche di province diverse”.

Gli interessi intorno ai quali si concentra l’azione mafiosa “risultano sempre gli stessi. Nel dettaglio, estorsioni, usura, narcotraffico, infiltrazione nel gioco d’azzardo illecito e controllo di quello illegale. A questi si aggiungono l’inquinamento dell’economia dei territori di riferimento soprattutto nei campi imprenditoriali dell’edilizia, del movimento terra e dell’approvvigionamento degli inerti, dello smaltimento dei rifiuti, della gestione dei servizi cimiteriali e dei trasporti”.

4. La camorra ha strumentalizzato “a proprio vantaggio le gravi situazioni di disagio” dovute al “protrarsi dell’epidemia da Covid”. Nel dossier si afferma inoltre che l’organizzazione campana “resta per dinamiche e metodi un fenomeno macro-criminale dalla configurazione pulviscolare-conflittuale”. Le consorterie che operano sul territorio “sono tra loro autonome ed estremamente eterogenee per struttura, potenza, forme di radicamento, modalità operative e settori criminali ed economici di interesse”. Queste peculiarità le “contraddistinguono dalle mafie organicamente gerarchizzate come cosa nostra siciliana e ne garantiscono la flessibilità, la propensione rigenerativa e la straordinaria capacità di espansione affaristica”.

Una strategia volta a rimodulare “di volta in volta gli oscillanti rapporti di conflittualità, non belligeranza e alleanza in funzione di contingenti strategie volte a massimizzare i propri profitti fino ad arrivare, per i sodalizi più evoluti, alla costituzione di veri e propri cartelli e holding criminali. Di qui anche il contenimento – si afferma nella relazione -, in linea di massima, del numero degli omicidi di matrice camorristica il più delle volte ormai paradossalmente ascrivibili proprio a politiche di “prevenzione” e/o logiche di epurazione interna, finalizzate a preservare gli equilibri complessivi e a controllare ogni spinta centrifuga”. Resta comunque “alto l’interesse della criminalità campana verso i settori più remunerativi tra i quali figura quello dei rifiuti. Inoltre, continua a trovare riscontro su più fronti l’ingerenza delle compagini malavitose nel mondo politico-amministrativo dell’intera regione”.

Una pletora di gruppi minori e baby gang che, seppur sprovviste di background criminale, si rivelano “pericolose” per la pressione che esprimono sul territorio. Accanto ai grandi sodalizi mafiosi operano “gruppi-satellite minori a composizione prevalentemente familiare e spesso referenti in loco dei primi e di baby-gang che non possiedono un background criminale di particolare consistenza e stabilità – si legge nel dossier -. Queste “bande” si rivelerebbero comunque pericolose per la pressione che esprimono a livello locale pur di acquisire o conservare il controllo anche di limitati spazi territoriali, rendendosi spesso protagonisti di eclatanti forme di gangsterismo urbano (agguati, stese e caroselli armati)”.

5. La criminalità organizzata in Puglia sconta “improvvise rimodulazioni degli assetti gerarchici dei clan” e si registrano “efferate modalità con le quali sono stati compiuti agguati e gambizzazioni, episodi delittuosi che solitamente maturano in ambienti legati allo spaccio di sostanze stupefacenti”[4]. Il contesto mafioso nella regione è dunque “in continua evoluzione” e le tensioni sono da ricondurre “non solo ai contrasti tra clan antagonisti ma anche a frizioni interne e talvolta anche a mutamenti repentini dei rapporti di alleanza”. In Puglia si evidenzia un “trend di crescita dei delitti di associazione di tipo mafioso espressivi sia delle tradizionali attività criminali del controllo del territorio, sia di quelle che denotano una vocazione affaristica e finalizzata al riciclaggio anche fuori regione”.

“Ricalcando il percorso evolutivo della ‘ndrangheta i clan foggiani si sarebbero mostrati capaci di stare al passo con la modernità, pronti a cogliere e sfruttare le nuove occasioni criminali offerte dalla globalizzazione. In questi termini il fenomeno mafioso foggiano desta maggior allarme sociale tanto da essere considerato dalle istituzioni, soprattutto negli ultimi tempi, un’emergenza nazionale”. Nella regione si distinguono varie espressioni criminali legate, oltre che alla provincia di Foggia, al territorio di Bari e al Salento. Ma è la ‘società’ foggiana ad aver fatto il “salto di qualità”: “tra affari criminali e politico-amministrativi appare sempre più come una mafia ‘camaleontica’ capace di essere insieme rozza e feroce ma anche affaristicamente moderna con una vocazione imprenditoriale”. Per cui “alla struttura operativa in senso criminale si accompagna quella economica che annovera non solo imprenditori collusi ma anche commercialisti e professionisti di varia estrazione nonché esponenti della pubblica amministrazione”.

6. ”L’esistenza di una multiforme varietà di sodalizi stranieri e di collegamenti con organizzazioni criminali all’estero soprattutto per il narcotraffico, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani, documenta come la criminalità transnazionale rappresenti una minaccia reale a fronte della quale appaiono necessari un approccio globale e una più ampia visione del fenomeno. In tal senso l’avviato percorso di cooperazione internazionale cui la dia partecipa anche attraverso una progettualità autonoma ha permesso di conseguire significativi risultati info-investigativi”.

La “criminalità etnica” rappresenta una componente consolidata nel panorama criminale nazionale”. “I criminali albanesi presenti su gran parte del territorio nazionale si esprimono attraverso diversi livelli di operatività. Alcuni agiscono in seno a piccoli gruppi anche multietnici per la commissione di reati contro il patrimonio. Di norma gli albanesi si occupano dell’approvvigionamento delle droghe che vengono poi cedute ai sodalizi autoctoni per la gestione dello spaccio”. I gruppi cinesi “appaiono organizzati con una struttura chiusa e inaccessibile e solo occasionalmente si rileva la realizzazione di accordi funzionali con organizzazioni criminali italiane o la costituzione di piccoli sodalizi multietnici per la gestione della prostituzione, la commissione di reati finanziari e il traffico di rifiuti”. I clan nigeriani sono attivi in italia dagli anni 1980 e hanno particolare rilievo i “cosiddetti secret cults le cui caratteristiche sono: l’organizzazione gerarchica, la struttura paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento e in generale un modus agendi tale che la corte di cassazione si è più volte espressa riconoscendone la tipica connotazione di “mafiosità”. Infine la criminalità romena si manifesta sia in forma non organizzata, sia attraverso gruppi strutturati. “Costituiscono inoltre settori operativi consolidati delle consorterie la tratta di donne da avviare alla prostituzione, i reati informatici e i reati predatori. Tale criminalità risulterebbe attiva nel settore dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento della manodopera in alcuni casi d’intesa con criminali italiani”.

7. Il rischio che corriamo adesso, anche alla luce di quella tendenza internazionale che le mafie hanno, è di perdere occasioni per limitare il potere mafioso in quanto il reato di associazione mafiosa esiste solamente in Italia. Svariati episodi, oltre a quello noto di Duisburg, spingono a porsi il problema, poiché non mancano forti radicamenti di di mafie italiane in Europa.

La macchina del contrasto a livello di Unione europea, pur con passi avanti, sembra girare a vuoto. Da almeno un decennio il Parlamento di Strasburgo approva documenti per l’estensioni a tutti i Paesi membri del reato di associazione mafiosa, il 416 bis presente nel codice penale italiano, e della possibilità di confiscare ricchezze non giustificabili anche in assenza di una condanna penale. Finora ciò è rimasto lettera morta, per l’opposizione di diversi Stati, nonostante le richieste di Europol ed Eurojust, vale a dire la polizia e la magistratura dell’Unione. Così le mafie e le organizzazioni criminali si dedicano allo “shopping giuridico”, cioè approfittano dei Paesi dove le norme (e le indagini) sono più morbide. Anche se uccidono poco, il pericolo messo in evidenza dagli investigatori è il condizionamento dell’economia, del mercato, della libera concorrenza[5].

Daniele Onori

 

Pubblicato su Centro studi Rosario Livatino


[1] Vedi https://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/semestrali/sem/2020/2sem2020.pdf

[2] Vedi https://www.corrieredellacalabria.it/2020/12/09/maxi-operazione-di-riciclaggio-anche-a-malta-si-indaga-su-recordare/

[3] Vedi  https://www.opinione.it/societa/2021/06/22/daniele-onori_mafia-emergenza-covid-repressione-prevenzione/

[4] Vedi http://www.opinione.it/societa/2021/05/13/daniele-onori_quarta-mafia-foggia-gomorra-corte-appello-dia-camorra-parlamento-tessuto-sociale/

[5] M. Portanova, Mafie unite d’Europa: tutti i “buchi” nella lotta al crimine in Ue, in https://www.ilfattoquotidiano.it/

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