L’economia si è fermata e ogni giorno c’è un segnale sempre più forte. Anche se il disastro della terribile epidemia in pieno sviluppo impone provvedimenti fino a ieri impensabili, verrà pure il momento di chiedersi che cosa succederà quando si dovrà ripartire, senza indulgere né a scenari di fede patria né tanto meno a contesti apocalittici.

Ciò che è certo sin da ora è che ci troveremo di fronte a situazioni ben diverse da quelle che sembravano ormai acquisite in quanto risultato dello sviluppo economico degli ultimi cinquant’anni.

Una prima conseguenza sarà negli effetti della precarietà della globalizzazione.

La catena della produzione industriale, che una volta si avvaleva del così detto “indotto”( quell’insieme di piccole imprese che assicuravano componenti e servizi) è ormai organizzata tra imprese che non sono più collocate nello stesso territorio o nello stesso Paese. L’informazione e la trasmissione dei dati digitalizzata, l’organizzazione dei trasporti e l’annullamento delle distanze hanno favorito integrazioni verticali tra imprese su scala intercontinentale. Gli esempi sono millanta: basti pensare ai telefoni dove il software è prodotto in California, l’hardware in Cina e altri componenti in India o in Norvegia. Oppure all’automotive o alle macchine utensili dove non tutto il prodotto finito è costruito in Germania, in Italia o in Giappone, o ai cantieri navali, alla produzione di aerei, di presidi ospedalieri e in parte alla stessa catena alimentare in ambito europeo.

La violenta emergenza sanitaria che è esplosa ha già avuto conseguenze geo-politiche che mettono in crisi un modello che sembrava  ineludibile e permanente ed ha comportato l’arresto della produzione in molte imprese, prima ancora della chiusura delle fabbriche per esigenze di contenimento della diffusione del virus.

Moltiplicando gli effetti si ha l’immagine di quanto sia precaria la globalizzazione e quanto richieda di un più deciso intervento della politica, quella vera speriamo, visto che indietro non si tornerà di certo. Ed è su questo piano che si giocherà tutto, sulla capacità di chi avrà responsabilità di governo come di chi la avrà dall’opposizione, ben sapendo che la risposta alla esigenza di regolare la globalizzazione non è certo rappresentata dal ritorno dei sovranismi.

I fatti che in questi giorni si susseguono impietosi rappresentano infatti, pur nel dolore, una dura lezione ai sovranisti visto che l’epidemia non conosce barriere né confini. Avremo bisogno di eroi, nel senso che racconta una vecchia ballata di Bob Dylan quando li definisce come coloro “che hanno capito la responsabilità che comporta la loro libertà”.

Guido Puccio

 

Immagine utilizzata: Pixabay

 

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