La riduzione del numero dei parlamentari, che tiene banco in queste ore a crisi di governo sostanzialmente aperta, è il simbolo della confusione politica, istituzionale e culturale nella quale siamo caduti. Ci voleva il cosiddetto “governo del cambiamento” per portarci a questo punto.
L’economia è ferma, il debito pubblico sale anche per effetto delle leggi assistenzialistiche finanziate in rosso, l’aumento dell’Iva che si abbatterà sui consumi è quasi ineludibile, siamo isolati in Europa e sospettati nel quadro dell’alleanza atlantica. Eppure il problema della riduzione del numero dei parlamentari è diventato improvvisamente dirimente nei rapporti tra le forze politiche.
Il movimento Cinque Stelle lo usa come un salvagente all’annuncio (tardivo) della Lega di togliere la fiducia al governo. Salvini lo usa invece come un espediente per tentare di uscire dalla trappola nella quale si è infilato da solo. Lo stesso PD, che ha già votato contro tre volte al provvedimento, è disponibile a rivedere le sue posizioni perché, in caso contrario, favorirebbe la pace tra i due partiti di governo. E così, una legge che modifica la Costituzione non ha un bel niente di una riforma ma ha tutto di una strumentalizzazione per fini personali.
Sorprende il silenzio di coloro che si erano schierati per il no al referendum “in difesa della Costituzione” quando si trattava di superare il bicameralismo. Eppure la proposta limitata alla riduzione del numero dei parlamentari oggi viene proprio da chi disprezza la democrazia parlamentare: dalla nota società a responsabilità limitata che è la padrona del movimento Cinque Stelle a quei parlamentari che non fanno mistero di essere per la fantomatica democrazia diretta. A questo punto siamo giunti: altro che sparigliare le carte come “abile” mossa di Salvini. Sembra piuttosto un gioco dove c’è chi nasconde l’asse nella manica della camicia, come chi vuole barare a poker.
Malgrado ciò, il Paese assiste senza sdegnarsi e i giornaloni non di parte scomodano i loro intellettuali, ma sono in pochi quelli che vanno oltre la semplificazione della cronaca venduta come raffinata analisi politica. Discettano se ci sono i numeri per un’altra maggioranza, si rifugiano nelle ipotesi che tutto sarà come prima, prevedono scenari ritenuti fino ieri impossibili. E persino già cominciata anche la riffa nel toto ministri prima ancora di sapere se ci sarà un nuovo governo oppure si assisterà al “rimpasto” dell’attuale, secondo tradizioni che sembravano superate.
Comunque vada si parlerà delle cose da fare, come se in politica contassero solo i programmi. Che fine hanno fatto i valori, le idee, la storia di questo Paese che ha conosciuto momenti di vera autocoscienza collettiva come quando ha fatto la ricostruzione, ha costruito il boom degli anni 60, ha battuto il terrorismo, ha difeso la democrazia nelle ore più buie?
Forse ci sarà un nuovo governo o forse l’attuale uscirà rafforzato come ci racconteranno. In ogni caso continueremo ad assistere a poco più di una fervida attività di propaganda, chiunque vinca. Perché la politica a questo oggi si è ridotta.
Guido Puccio